Non ragioniam di lor, ma guarda e passa
Nelle ultime settimane alcune parole del papa sull’omosessualità e sulle donne hanno suscitato valanghe di commenti, a differenza di altre, anche sugli stessi temi, che passano molto più inosservate. Non è un caso: c’è un preciso interesse a screditare ogni tentativo di cambiamento. Ma chi ha a cuore la riforma sinodale della Chiesa non ha tempo da perdere, e non si ferma.
In queste ultime settimane i giornali, ma soprattutto i social media e le chat di ogni tipo, sono stati intasati da commenti sulle parole del papa (mi riferisco a quelle sulle persone omosessuali nei seminari o sulla non percorribilità del diaconato femminile cui si è fatto riferimento in un’intervista o sul fatto che le donne sarebbero portate per le chiacchiere e non per discorsi di contenuto). Non vorrei però discutere qui i singoli interventi, anche perché il merito di queste parole è stato già commentato non solo compostamente ma anche con intelligenza: possiamo rimandare per esempio agli interventi di Marinella Perroni su Domani e su Rocca (dove dovrebbe uscire a breve anche un articolo di Selene Zorzi), e quelli di Luca Castiglioni e di Anita Prati su SettimanaNews). Vorrei invece discutere sul perché ci sia stato tanto interesse e da che cosa esso venga fomentato.
Certamente, mi si dirà, l’interesse dipende dal fatto che è il papa a parlare. Ma il papa ogni settimana tiene un’udienza e pronuncia svariati discorsi. Inoltre moltissimi sono stati i motu proprio di Bergoglio e molti i (bellissimi) documenti firmati dall’attuale vescovo di Roma: sinceramente in questi casi non mi risulta tutto questo interesse da parte di media e social. Quindi tale interesse non dipende dalla fonte autorevole, ma dalle parole, dagli argomenti o dallo stile – come definirlo? – irrituale di certe affermazioni.
Comportamenti irresponsabili
Certo, verrebbe da aggiungere, irrituale è anche andare a spifferare ai giornali una parola che il papa ha detto a porte chiuse, ma a quanto pare questo non è un problema di dirittura morale per nessuno. Chiunque l’abbia fatto non ha pensato a coloro che avrebbero sofferto di quelle parole, non si è chiesto quale effetto esse avrebbero avuto sulle vite delle persone: interessava diffamare il papa, screditarlo, e hanno colto al volo l’errore per approfittarsene. Non hanno forse usato parole triviali, ma hanno avuto comportamenti disgustosi, studiatamente meschini, di cui dovranno rendere conto, se non agli esseri umani, a Dio (che devono sperare abbia un metro di giudizio diverso dal loro).
Strategie di conservazione
Comunque sembra che il papa diventi interessante quando dice qualcosa di pruriginoso sull’omosessualità o sulle donne; nel primo caso interessa per screditare le aperture seppure tiepidissime che sono state messe in atto in questo campo, nel secondo caso per rassicurare chi ne ha bisogno che mai nulla cambierà nella Chiesa cattolica: le battezzate, qualunque carisma, amore o formazione abbiano, non sono utili alla Chiesa se non nei ruoli privatistici e marginali che i maschi (qualunque carisma, amore o formazione abbiano o non abbiano) decidono per loro.
Le parole non hanno tutte lo stesso peso
Il punto di domanda vero, sotto il profilo ecclesiale ed ecclesiologico, è: davvero tutto questo clamore per mezze parole è sensato? Abbiamo in corso un processo sinodale che ha trattato entrambi gli argomenti (omosessualità e ministeri/ruolo delle donne nella Chiesa) e che dovrà affrontarli di nuovo, il papa stesso ha voluto il Sinodo: possono ora una parola fuori luogo (senza sminuire la sofferenza causata alle persone) o una dichiarazione rilasciata durante un’intervista essere più importanti di un intero processo sinodale che ha coinvolto un numero impressionante di persone, che ha messo in gioco vite e riflessioni e cui il papa stesso ha partecipato?
E ancora: è a una parola scomposta del Papa che si può ridurre tutta l’urgenza che abbiamo di ripensare i seminari e i diversi problemi legati all’affettività e alla formazione in genere dei futuri preti? Non sarà quello che le Chiese sperimentano, le sofferenze dei ministri ordinati, la fallimentarità di certi percorsi nonostante la buona volontà di tutti a premere sulla coscienza ecclesiale più di una mezza parola uscita male al vescovo di Roma?
C’è una Chiesa che vive e respira
La vita della Chiesa non è concentrata tra le mura vaticane, ma fiorisce e si affatica ovunque due o tre che credono nel Vangelo si radunano, si legano, si intrecciano per vivere la propria fede e testimoniarla. Finiscono sui social e sui giornali i dettagli e rimane nascosta la vitalità di donne e uomini che portano avanti la buona notizia del Vangelo. C’è da domandarsi chi abbia interesse a un tale spostamento e a un tale fraintendimento che oltretutto ostacola anche il ministero del vescovo di Roma, che non è la Chiesa in persona, ma il vescovo chiamato a servire l’unità e la vitalità delle Chiese sparse nel mondo, proprio in quanto presiede la Chiesa più autorevole di tutte in ordine alla testimonianza apostolica.
La domanda resta lì e non vale la pena nemmeno perderci tempo. Non vale la pena cercare chi ha interesse a fomentare lo scandalo e screditare ogni possibile processo di cambiamento che comunque, anche a fatica e a volte contraddittoriamente, è stato avviato o ipotizzato. Abbiamo da fare altro (le donne lo sanno molto bene): dobbiamo prenderci cura delle vite, dobbiamo ridire il Vangelo in modo che possa essere compreso e liberi dalle fatiche che schiacciano, dobbiamo pensare la riforma della Chiesa perché questa sia davvero il segno e lo strumento della comunione con Dio, dobbiamo spendere la vita per affrettare la venuta del Regno. Tempo ed energie da perdere non ne abbiamo.