Maria Maddalena e la logica del Regno
Il film di Garth Davis delinea finalmente il personaggio di Maria a partire dai testi evangelici. Come si legge anche in un libro di scritti di Carlo Maria Martini, uscito proprio negli stessi giorni, la prima apostola di Gesù è la sua vera discepola, perché capisce che la rivoluzione messianica non implica il passaggio da un potere a un altro, ma la liberazione da ogni forma di potere.
In un giorno due “uscite” dedicate a Maria di Magdala, un libro e un film, e ciò non fa che confermare l’interesse per un personaggio a cui i Vangeli – e in modo tutto particolare Giovanni – riconoscono il ruolo di protagonista, ma a cui anche la lunga tradizione successiva ha dedicato un’attenzione tutta particolare.
Data la grande autorevolezza del suo autore, il compianto cardinale Carlo Maria Martini, è probabile che il libro riscuoterà un successo decisamente superiore a quello che verrà riservato al film. Eppure, a parte un’evidente coincidenza di fondo tra le due opere, anche il film va preso molto sul serio.
Non per il suo specifico valore cinematografico, rispetto al quale non ho alcuna competenza per poter giudicare, ma per la capacità di delineare finalmente il personaggio di Maria a partire dai testi evangelici e non continuare meccanicamente a ripetere quanto una lunga storia dell’interpretazione, sia scritturistica sia artistica, ha contribuito a scolpire nella memoria storica dell’occidente cristiano, e cioè un’immagine totalmente adulterata della discepola di Gesù, prima apostola del Vangelo della risurrezione.
Il libro...
Per presentare il film, però, è bene forse prendere le mosse proprio dalla sua coincidenza con quanto affermato dal cardinale Martini. Il libro riprende un corso di esercizi spirituali che egli ha tenuto mentre era a Gerusalemme a un gruppo dell’Ordo virginum della diocesi di Milano alla fine del 2006.
A partire dall’accostamento tra Maria e la Sulamita del Cantico dei Cantici, caro alla liturgia, Martini presenta la figura della donna di Magdala
«come l’amante estatica, come colei che agisce appunto al di fuori di sé, al di fuori di tutte le misure umane, di tutte le convenzioni, di tutto il discorso del “politicamente corretto”, per compiere gesti di superamento e conoscere così il cuore di Dio, facendolo a sua volta conoscere» (29).
Mi sia permesso di dire che quasi alla lettera, le stesse parole potrebbero essere utilizzate a commento del film dell’australiano Garth Davis che, giustamente a mio avviso, è stato definito più spirituale che religioso. Ed è forse proprio per questo che se anche se non avrà un grande successo di pubblico, meriterebbe invece di essere sfruttato almeno in quei circuiti in cui può favorire una sana divulgazione delle narrazioni evangeliche.
Il film: espressione del femminismo
Il film ha certamente i suoi difetti, perché prende quota lentamente, rischia di essere troppo didascalico e, in alcuni momenti, anche un po’ oleografico. Né si può pensare d’altra parte che il tema ingeneri alcuna suspense, dato che si sa benissimo come va a finire. Ha però il grande merito di rendere finalmente giustizia a questa donna a cui l’annuncio della fede nel Messia risorto deve tanto, se non tutto.
E chi dice che il film è un agglomerato di luoghi comuni, non sa quello che dice, mentre chi dice che è espressione di un femminismo dell’epoca del #Metoo coglie qualcosa di molto importante. Infatti, la riabilitazione di Maria di Magdala, finalmente non più presentata come la peccatrice pentita voluta da Gregorio Magno (591), è stata resa possibile da un secolo di esegesi femminista che ha riaperto i faldoni ritenuti ormai definitivamente chiusi e depositati nell’archivio della memoria e obbligato a mettere in discussione l’immaginario occidentale, dominato da opere letterarie e artistiche spesso anche straordinarie ma, altrettanto spesso, del tutto lontane dai testi evangelici.
La teologia del Regno
Anche per Garth Davis, come per Carlo Maria Martini, Maria di Magdala è colei che «esce al di fuori di sé». Come per Gesù, che era considerato dalla sua stessa famiglia «fuori di sé» (Mc 3,21), la ricerca di un rapporto con Dio profondo e totalizzante porta Maria a mettersi al seguito del profeta di Nazareth, ma soprattutto a essere l’unica in grado di capire lo stretto rapporto che intercorre tra la sua persona e il suo messaggio. Non a caso il film si apre e si chiude con la parabola del granello di senape (cf. Mc 4,30-32 e par.) che, in modo quanto mai incisivo, enuclea la teologia del Regno e ne comunica l’autentica spiritualità.
Tra i discepoli che seguono Gesù, Maria è l’unica che arriva a coglierne il senso perché l’annuncio del Regno raggiunge appieno le sue aspettative e risponde al suo bisogno di un Dio in grado di far implodere dall’interno il sistema patriarcale, oppressivo per le donne, come per tutti i poveri, ma anche per gli israeliti costretti a sopportare la crudele occupazione romana.
Fino alla fine gli altri discepoli, invece, non capiscono e sperano, chi in un modo chi nell’altro, che il messianismo di Gesù si risolva in una rivoluzione intramondana. Il serrato raffronto tra Maria e Giuda esprime quanto solo lei, per dirla con Martini, ha avuto il coraggio di porsi «fuori di tutte le misure umane, di tutte le convenzioni». La rivoluzione messianica non è quella attesa da Giuda e dagli altri discepoli, perché non implica il passaggio da un potere a un altro, ma la liberazione da ogni forma di potere, perfino quello delle convenzioni sociali e religiose.
Maria di Magdala, vera discepola
Maria, che i Vangeli sinottici presentano, insieme ad altre, come colei che ha seguito e servito Gesù durante tutto il suo ministero (cf. Mc 15,41s e par.) e il Vangelo di Giovanni la presenta come colei che cerca (cf. Gv 20,15), è l’unica che sa pienamente farsi discepola di Gesù perché si fa plasmare dalla sua parola e capisce appieno il valore della sua attività taumaturgica.
Per questo Gerusalemme, luogo per tutti gli altri della grande disillusione, diviene per lei luogo della vittoria: Maria è l’unica in grado di emergere dall’abisso in cui la morte del Maestro ha fatto precipitare i suoi seguaci perché l’unica in grado di percepire che l’incontro con il Messia Risorto ormai si gioca tutto su un nome appena sussurrato.
Un nome che è percepibile solo da chi è stata in grado di capire la logica del Regno con l’intelligenza del cuore. Pietro, come conservato in alcune tradizioni apocrife, fa fatica ad accettarlo perché, come mostra proprio la sua visone delle implicazioni di esclusione collegate alla differenza sessuale, non ce la fa a svincolarsi dall’ideologia patriarcale, quella stessa ideologia che stritola Giuda e le sue aspettative religiose. Proprio per questo, forse, Maria Maddalena è un film più spirituale che non religioso, come sono più spirituali che religiose le narrazioni evangeliche.
Per approfondire:
- M. Perroni, C. Simonelli, Maria di Magdala. Una genealogia apostolica, Aracne, Ariccia (RM) 2016.
- E. Lupieri, Una sposa per Gesù. Maria Maddalena tra antichità e postmoderno, Carocci, Roma 2017.
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