Il gender system della santità
Ci sono santità diverse per uomini e donne? Leggendo il Messale sembrerebbe di sì: i formulari riservati alle sante, riflettendo una mentalità patriarcale, non rimandano – come avviene invece per i santi - alla pienezza dell’esistenza in Cristo, ma a caratteristiche e ruoli stereotipati. E l’esaltazione della verginità fisica del corpo femminile è tale che la si ritiene più importante della vita stessa.
Siamo vicini alla festa di tutti i santi. Celebriamo il mistero della santità e quindi del compimento della vocazione umana e cristiana, ma anche di fronte a un tale scenario di gioia e speranza non possiamo fare a meno di mettere in gioco i significati legati alla differenza sessuale. Questo perché la Chiesa, come tutte le aggregazioni umane, si struttura secondo un gender system, attribuendo cioè all’essere maschi e femmine significati sulla base dei quali determinare prassi e ruoli. Quando leggiamo il Vangelo o i testi della Tradizione anche senza saperlo incaselliamo ciò che ascoltiamo in base a ciò che pensiamo significhi essere maschi o femmine, cosicché a volte lasciamo che la fede ci offra possibili letture della differenza sessuale, ma molto più spesso confondiamo la fede con i significati preconcetti che abbiamo già interiorizzato.
Cosa fa di una donna una santa
Celebrando la memoria dei santi è antica tradizione che essi vengano raccolti in “categorie” per le quali si danno formulari in comune e un panorama di letture ritenute adeguate. I “Comuni”, cioè l’insieme di formulari che può essere utilizzato per una stessa tipologia di celebrazioni, riguardano: la dedicazione di una chiesa, Maria, gli apostoli, i gruppi di martiri, un martire singolo, i pastori e i dottori, le vergini, i santi e, infine, le sante.
Partendo da quest’ultimo gruppo, santi e sante senza ulteriori specificazioni, occorre notare che mentre i testi utilizzati per gli uomini celebrano la vita cristiana vissuta in comunione con Dio o offerta per i fratelli, senza specificare in che modo questo si addica a un maschio, per le sante si trovano ancora letture e formule a dir poco stereotipate: la moglie che fa felice il marito, la donna dedita alle faccende domestiche e via così. Una volta si potrebbe leggere anche l’epopea di Giuditta che se ne torna in città con la testa di Oloferne in mano! Almeno per cambiare.
Vittoriose perché vergini?
Mi interessa di più però sottolineare che solo per le donne è stato predisposto un “Comune delle vergini”, intendendo con questo non le sante che hanno vissuto uno stato di vita celibatario, ma quelle che, non avendo avuto rapporti sessuali, hanno una precisa condizione dell’apparato genitale. Mi rendo conto che tale modo di esprimersi è duro, ma d’altra parte quando utilizziamo il termine vergine legandolo a una precisa connotazione biologica chiediamo a tutti di fare attenzione a una precisa parte anatomica. Il motivo è facilmente intuibile: nella cultura patriarcale la sessualità femminile è sottoposta a un rigido controllo maschile, che ne associa l’esercizio all’idea di perdita di integrità e di contaminazione con il peccato e ne fa criterio dirimente per classificare le donne.
Chiaramente i formulari che vengono proposti per celebrare queste sorelle riverberano tali convinzioni: si parla di integrità, di vittoria sulla carne e sul sangue, di cuore indiviso. Se prendessimo sul serio queste espressioni dovremmo bollare come una perdita di integrità personale e di peccato ogni atto sessuale. Ovviamente nessuno più si colloca su tali posizioni; allora perché abbiamo ancora un “Comune delle vergini”? Perché un aspetto biologico è così determinante da caratterizzare la santità di una persona? E perché se è tanto importante non si celebra anche per gli uomini? Il dato è lo stesso, ma non lo è il significato, perché è il gender system di riferimento a fare la differenza.
Meglio morta che stuprata
Dire che siamo di fronte a uno stereotipo sessista è poco, ma evidentemente è difficile accorgersene, se ancora scivoliamo dall’onorare giustamente le scelte personali di alcune donne al comunicare il messaggio che solo se una ragazza è uccisa prima che il suo aggressore riesca stuprarla diventa santa perché ha preferito difendere la propria verginità piuttosto che la vita. Mi sembra offensivo persino spiegarlo: l’unico a perdere integrità e santità è lo stupratore. Nessuna ragazza violentata dovrebbe preferire la morte; per quanto io comprenda fin troppo bene che ciò che le accade diventerà per lei un inferno, certamente pensare che la morte di qualcuna sia eroica perché la preferisce alla perdita della verginità è choccante.
Chi viene stuprata e riesce a sopravvivere non ha ceduto a nessun peccato, ha invece subito il peccato altrui con drammatiche conseguenze fisiche e psichiche.
Non insegnerò a mia figlia che è meglio morire piuttosto che non essere più vergine; le insegnerò invece che è meglio vivere e amare e che, se si dona all’uomo che la ama, la sessualità per lei diventerà un luogo di santità e un compimento del suo essere personale. Sulla verginità non credo abbia bisogno di sapere niente: ne avrebbe avuto bisogno in una società e in una Chiesa sessiste e patriarcali, in cui qualcuno si poteva arrogare il diritto di classificarla in base alla condizione biologica di qualcuno dei suoi organi, ma questa è storia passata. O lo sarà.
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