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Il Regno delle Donne

Guerra e pace: rovesciare la prospettiva

Una chiesa bolognese che porta la memoria di Celestino V – quello de L’avventura di un povero cristiano – conserva una tela di forte attualità nonostante la data

Una chiesa bolognese che porta la memoria di Celestino V – quello de L’avventura di un povero cristiano – conserva una tela di forte attualità nonostante la data: l’esibizione della forza, così come le guerre col clamore delle armi sono sullo sfondo. In primo piano un sistema rovesciato, un anti-patriarcato. Sebastiano, il corpo glabro esposto agli sguardi, viene curato da Irene, in abiti eleganti, gesto tenero e politico. Il nome di lei significa evidentemente «pace»: quella del disarmo e della cura, ma anche quella delle parole franche e delle analisi lucide. Perché la violenza si annida anche negli stereotipi non affrontati, nelle omertà travestite da buone intenzioni.

Forse non a tutti è noto che san Sebastiano venne praticamente martirizzato due volte, almeno secondo il racconto popolare; infatti, dopo la prima esecuzione, il corpo venne lasciato a terra esanime ma vivo e fu recuperato e curato da una figura femminile, una vedova romana di nome Irene, che, anche dopo il secondo martirio, ne avrebbe trovato il corpo – questa volta realmente morto – gettato nella Cloaca maxima, dandone sepoltura dove si trovano le catacombe che ora portano il nome del santo.

Nel Seicento europeo questo episodio divenne popolare anche perché Sebastiano era invocato durante epidemie e pestilenze; ne troviamo traccia in opere di vari autori (tra gli altri, Jusepe De Ribera, Georges De La Tour, Paolo De Matteis, Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino). Ci vogliamo soffermare su una tela conservata nella chiesa di S. Giovanni Battista de’ Celestini a Bologna e dipinta sempre nel XVII secolo da Giovanni Andrea Donducci, detto il Mastelletta, un artista della scuola bolognese dei Carracci ma con una evoluzione autonoma, anche perché rispetto ad altre opere ha alcune particolarità.

Un corpo esposto al centro della scena

Ovviamente al centro si trova il corpo. È un corpo nudo, sul quale il potere ha esercitato violenza almeno in due modi diversi: prima, durante il servizio militare, lasciandolo combattere in «rappresentanza» dell’impero; dopo, rifiutandolo e decretandogli l’esperienza della morte. A differenza di altri artisti, infatti, Mastelletta non dipinge un possente corpo maschile, ma un corpo pallido, stremato, abbandonato sulla roccia sul quale è stato posato e solo con un piccolo cenno di desiderio di cielo tracciato dal suo braccio e dal suo volto. Quel desiderio è rimasto in quel corpo nudo.

Un altro corpo domina insieme la scena; questa volta ricco di vesti preziose, ricco in dignità, capace di trasmettere subito la grandezza della persona. A ben vedere, però, è il gesto di cura che viene colto dall’artista e dallo sguardo: togliendo le frecce dal corpo ferito e conservandole in ordine dentro uno scudo a terra, risalta la memoria e la serietà di quanto è stato vissuto. Un corpo nudo e un corpo vestito, un uomo e una donna che qui giocano quasi a parte inverse, e che rivelano l’unica e identica umanità: un’umanità capace di cura e un’umanità che richiede d’essere curata, un’umanità ferita e un’umanità gloriosa.

Una seconda possibilità

L’umanità che ferisce, l’umanità della guerra, l’umanità della violenza sprofonda invece in seconda scena, anche qui sovvertendo l’ordine di questo momento storico. Gli eserciti – di solito sulla ribalta – restano quasi nascosti, nel buio, dove solo un occhio attento e la giusta luce permette di vederne la presenza, quasi a monito che anche in loro può restare un barlume di salute.

Intanto, Irene – cioè la pace – continua nel suo compito che quegli eserciti e la violenza che rappresentano non riescono a portare a termine: portare al centro dello sguardo la compassione che ci rende simili a Dio e costruire strade alla pace.

Come con Sebastiano: ci è data una seconda possibilità.

Commenti

  • 02/12/2025 S. Bocchini

    Ho apprezzato e riflettuto sul bel commento a quest'opera conservata a Bologna. Un saluto

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