Gigliane, inviata di una Chiesa «samaritana e maddalena»
Il 6 settembre una giovane donna del Mato Grosso è stata nominata dal suo vescovo coordinatrice e animatrice delle attività pastorali della parrocchia di Santa Cruz do Xingú. Non è un caso isolato, ma il frutto condiviso di scelte precise e di un cammino comunitario.
La prelatura di São Félix do Araguaia si trova nel cuore dell’Amazzonia legale del Brasile. Territorio di grandi conflitti a causa del latifondo e del capitalismo estrattivista dell’agrobusinnes sempre più violento, territorio del dolore dei popoli indigeni Xavantes, Tapirapés e Karajás. Fin dalla sua origine, con il vescovo Pedro Casaldáliga, la Chiesa della prelatura ha fatto chiaramente l’opzione del Vangelo tra le persone impoverite, per difendere la vita dei popoli e della terra. Pedro, tornato nel cuore di Dio poche settimane fa, abitava in una semplice casa di mattoni di fango e si muoveva con bicicletta, barca e autobus per essere umilmente presenza, ascolto e lotta tra le comunità di base lungo le grandi strade sterrate e lungo il fiume Araguaia. Una Chiesa, quella di Pedro, in comunione con “Pietro” di Roma, molto impegnata nell’annuncio-testimonianza mistico-politica del Vangelo e che ha vissuto la fatica ecclesiale che tutta la Chiesa dei poveri in America Latina ha sperimentato nei decenni passati.
Superare il clericalismo, essere «presenza»
Il grido delle comunità amazzoniche è diventato sempre più forte e, allo stesso tempo, soffocato dall’organizzazione clericale e gerarchica. Un grido che migliaia di comunità hanno espresso nel lavoro di preparazione al sinodo sull’Amazzonia tenutosi a Roma lo scorso anno: «vogliamo una Chiesa che sia presenza e non solo visita».
Negli ultimi otto anni, con il nuovo vescovo Adriano – missionario fidei donum da alcuni decenni in Brasile – nella prelatura di São Felix ci siamo domandati come potevamo proporre un processo formativo che superasse il clericalismo e fosse incarnato tra le comunità.
Abbiamo perciò organizzato una scuola di teologia, facoltà riconosciuta presso il ministero dell’educazione brasiliano, che potesse formare, a partire dalla pratica pastorale tra le comunità della prelatura, nuovi agenti di pastorale, presbiteri, laiche e laici, religiose in un progetto di Chiesa non solo petrina ma anche samaritana, una Chiesa cioè assetata dell’acqua buona che la persona “altra” può donare. Una Chiesa che si prende cura di chi è ferito nella vita, che riconosce nella carne delle persone impoverite la carne di Cristo; una Chiesa in cui l’unico potere sia concretamente diaconia, servizio. Una Chiesa petrina ma anche maddalena (come il Sinodo per l’Amazzonia ha chiesto nel documento finale): comunità di uguali, nel respiro del sacramento fondante che è il Battesimo, dove l’annuncio «il Signore è risorto!» possa essere la pratica quotidiana tra e con le comunità.
Ministeri delle donne: richieste al Sinodo, responsabilità dopo il Sinodo
Durante la fase di preparazione del Sinodo sull’Amazzonia molte comunità avevano chiesto con chiarezza e forza sia un ministero ordinato che un ministero istituito per le donne, per il pieno riconoscimento e la stabilità ecclesiale del loro essere veramente presenza di cura e animazione pastorale tra le comunità stesse, e non solo in Amazzonia.
Queste istanze erano state presentate in seguito all’ascolto delle più di 80.000 risposte di gruppi e comunità amazzoniche. Sono state poi portate nell’Instrumentum laboris e in tutti i lavori sinodali fino alle sintesi della maggior parte dei Circoli minori e nell’elaborazione del Documento finale, e anche riconosciute da papa Francesco in Querida Amazzonia.
Era necessario però iniziare a fare passi concreti, con quella creatività pastorale peculiare a ogni Chiesa particolare in Amazzonia.
Dopo il Sinodo ci siamo domandati che passi concreti potevamo fare. Per questo, agli inizi del mese di settembre, in tempo di grande difficoltà pandemica per il Brasile con i centoquarantamila morti a causa della completa noncuranza del presidente della Repubblica e delle sue politiche genocide, il vescovo di São Félix do Araguaia ha promulgato un decreto di invio di Gigliane Leite (nella foto, la seconda da sinistra) come coordinatrice e animatrice delle attività pastorali della parrocchia di Santa Cruz do Xingú, parrocchia di grande estensione territoriale, senza presbitero residente, con una équipe pastorale composta da due religiose in servizio a tempo pieno nella pastorale e due laiche teologhe volontarie nella pastorale.
E il vescovo mandò lei
Poco più di quarant’anni, nata nell’antica capitale del Mato Grosso, territorio di identità e lotta della gente afrodiscendente che porta sulla pelle, tutta tessuta di anima, i segni dei lunghi secoli di schiavitù Gigliane Leite ha studiato nella facoltà teologica fondata dalla prelatura e contemporaneamente ha lavorato come agente di pastorale unendosi a équipe pastorali composte da religiose e presbiteri, sia diocesani che religiosi che preparano il materiale popolare per gli incontri biblici e tutto il cammino di vita e formazione liturgica delle comunità. Per cinque anni ha accompagnato i gruppi di lettura popolare della Bibbia nei vari quartieri e i gruppi di donne: un cammino di pratica pastorale che poi era cammino condiviso e riflettuto e studiato nella formazione accademica della scuola di teologia.
Per mesi ha vissuto insieme al gruppo delle persone in formazione teologica per essere nuovi agenti di pastorale nella prelatura, composto da laiche sposate con i loro figli piccoli, uomini nel discernimento del cammino presbiterale e diaconale, donne nel discernimento del cammino della vita religiosa, padri di famiglia nel cammino del discernimento come ministri: tutti ugualmente inseriti nella vita delle comunità, e responsabili del proprio mantenimento.
Ora Gigliane, in forza del sacerdozio battesimale, è inviata dal vescovo nello Xingú per animare gli aspetti formativi e celebrativi della comunità. Il decreto episcopale, dopo una precisa declinazione di tutti gli aspetti del ministero riconosciuto e affidato a Gigliane, riafferma che il servizio dell’animatrice-coordinatrice della pastorale della comunità parrocchiale non è un ministero «davanti alla comunità ma nella, per e con la comunità intera».
La “Matria”: a servizio dei poveri e nel respiro della Terra
Gigliane risponde così alla chiamata vocazionale di garantire una presenza profetica di un “noi” ecclesiale nel territorio, secondo la richiesta dei vescovi nel Sinodo e quanto indicato da papa Francesco in Querida Amazonia (n. 94 e nota 136). Alla fine del decreto, il vescovo ha augurato: «che Dio benedica ed illumini il servizio pastorale affidato a Gigliane e che fortifichi il cammino delle comunità che le sono affidate».
Il decreto è stato promulgato con una celebrazione eucaristica la sera del 6 settembre, il giorno che precedeva la festa brasiliana della “Patria”, della proclamazione della Repubblica. Festa in un tempo oscuro di pandemia. Tempo di un allarmante «cristofascismo» da parte del potere politico. La vocazione e la risposta profetica e pastorale di Gigliane annunciano un tempo umile di cura dove non si esalta una Patria in cui sempre più la bandiera gronda di lacrime e sangue ma una “Matria”, uno spazio umile di relazioni ricreate nell’unico potere che è servizio, in un modo di essere Chiesa samaritana e maddalena, per vita e vita piena a partire dalle persone impoverite e nel respiro della Terra.
Amen, e continuiamo amando.
* Missionaria laica da 30 anni in Brasile, durante gli ultimi sette è fidei donum nella prelatura di São Félix do Araguaia. Si occupa della formazione teologica e dell’accompagnamento dei nuovi agenti di pastorale della prelatura.