Figlie e figli di Dio a Parigi
Qualche giorno fa, al Centre Sèvres della capitale francese, la discussione della tesi dottorale di don Luca Castiglioni, dedicata al rapporto tra uguaglianza battesimale e differenza sessuale. Si tratta della ricerca coraggiosa di un uomo che ha saputo ascoltare gli studi femministi e le donne concrete, in quello spirito di autentica amicizia che trasforma anche la maschilità.
«Figlie e figli di Dio» è un’espressione ancora piuttosto insolita nei contesti teologici. Troppo ridondante, sembra: basta dirlo al maschile, forma che vale per tutti. Inutile (o forse no?) ricordare che i femminismi hanno smascherato questo gioco dell’universale, che nasconde una grave e imperdonabile esclusione simbolica e pratica delle donne.
Rallegra che invece proprio questo – Figlie e figli di Dio – sia il titolo di una brillante tesi di dottorato discussa qualche giorno fa al Centre Sèvres di Parigi da Luca Castiglioni. Sotto la direzione di Christoph Theobald, don Luca – docente di Teologia fondamentale a Milano e socio del Coordinamento teologhe italiane (CTI) – si è impegnato in una lettura tanto rigorosa quanto coraggiosa, che l’ha portato a ripensare la nostra comune uguaglianza battesimale alla luce della differenza sessuale e delle sue interpretazioni storiche. Il campo che si è aperto è ovviamente sconfinato e particolarmente difficile da esplorare, perché reso accidentato da molte tensioni. È questo l’esito nefasto di un’uguaglianza pensata in modo formale, dove le differenze vengono ordinate sempre in modo gerarchico, messe per forza una sopra l’altra.
L’urgenza dell’inclusione
Eravamo in molti alla discussione, tanto che è stato necessario cambiare l’aula originariamente prevista ed entrare in un’altra, dedicata a Michel de Certeau. Sembrava fatto apposta: tutto, infatti, avrebbe poi fatto pensare a quel “Pas sans toi” (“non senza di te”) del teologo gesuita, che era stato il titolo della dissertazione dottorale della teologa Stella Morra e che una donna vorrebbe sempre avvertire nelle parole degli uomini che cercano Dio, raccontano di storie salvate in Cristo, celebrano le trasformazioni nello Spirito del Risorto e immaginano una Chiesa capace di lasciar trasparire il Regno che accade sempre e di nuovo.
Nel lavoro di Luca Castiglioni questa attenzione inclusiva si avverte chiaramente come qualcosa di urgente e di appassionante. Lo squilibrio delle relazioni tra donne e uomini è percepito nel suo dramma, un dramma che corrompe irreparabilmente ogni desiderio umano di vivere secondo lo stile esistenziale proprio di Gesù Cristo e paralizza l’agape, che non può circolare. L’approdo lascia molte questioni aperte, ma il sentiero è già scandito da passi condivisi.
Quando la teologia parla di differenza sessuale
Non era affatto scontato. Capita spesso, anzi, che i percorsi teologici attenti alla differenza sessuale si incaglino in orizzonti essenzialisti e ingiusti, e finiscano per allargare le distanze tra donne e uomini. Questi orizzonti sono particolarmente insidiosi. Non funzionano come un errore di distrazione infilato per stanchezza in un esercizio matematico, dove basta correggere dal punto in cui abbiamo sbagliato. Qui è necessario andare molto più indietro, perché fin dall’inizio qualcosa risulta distorto. Ci vuole un lavoro paziente, rigoroso e serio.
E ancora non basta. L’intelligenza non è sufficiente, se non è capace di conversione.
Perché ciò accada davvero, inoltre, dev’esserci una comunità attorno, una comunità aperta, inclusiva, attenta ai movimenti del presente e capace di dar credito a chi non l’ha ancora avuto dalla storia. In questo senso, non ci si salva mai da soli.
Nella discussione di questo dottorato tale comunità si è sentita. Nell’eco delle sue voci diverse, la riflessione ha potuto così farsi armonia, intrecciata in un tessuto ben ordito, ricco di colori e senza alcuna smagliatura. Queste voci non venivano dal nulla, ma da incontri reali e autentici con le donne: con le femministe che hanno lasciato traccia di sé nei testi teologici classici, e con quelle in carne e ossa, compagne di viaggio incrociate nei diversi contesti. Ognuna con il proprio timbro singolare: chi riflette davvero con le donne sa che queste non sono tutte uguali e che non la pensano allo stesso modo. Vanno ascoltate a una a una.
Uomini che dicono “Senza di te no”
Ciò che colpisce e che rincuora davvero molto, in un momento in cui i rapporti tra i sessi non sono facili e ancora troppi sono i luoghi in cui i pregiudizi e le ideologie allontanano il sogno di un lavoro condiviso, è una parola concretamente ospitale verso un disagio femminile divenuto importante anche per un uomo. Questa parola si radica sulla promessa del Vangelo e domanda uno sguardo escatologico che raccoglie il bene possibile senza distogliere lo sguardo dalle relazioni salvate. È una parola di amicizia, intesa come un carisma su cui edificare la Chiesa di oggi e di domani, da vivere come forma di verità: nell’amicizia lo sguardo si fa trasparente e ciascuno si scopre per quello che è, un essere finito e parziale, che vive di legami fraterni.
C’è davvero bisogno di uomini così: uomini che si sono accorti di non essere tutto e che hanno osato trattare della differenza come quella maschilità che li riguarda in prima persona; uomini che, nella ricerca di Dio, sono stati capaci di dire: senza di te no.
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