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Il Regno delle Donne

Festa della mamma | Mettere al mondo: traiettorie in divenire

Madri non si nasce; madri si diventa, e in relazione a "tutto il resto". «Cerco di vivere la mia esperienza di maternità come uno spazio insaturo in cui fare i conti con la mancanza. I miei figli, forse, impareranno a non pensare che una donna si possa possedere, ma capiranno che ogni tipo di relazione deve dirsi e darsi nello spazio della separazione».

Sono madre di due figli, maschi. In questo (poco) tempo ho maturato alcune convinzioni che piano piano vanno tramutandosi in certezze. Madri non si nasce. Pur tenendo conto della base biologica di cui siamo intessute, che darebbe ragione a un concetto essenzialista di donna/madre, scegliere di dar vita ad un altro/a da sé non può essere solo l’esito di un determinismo biologico giunto al suo punto di maturazione. Madri si diventa giorno dopo giorno, in relazione alle differenze individuali e ai contesti socio-culturali, tenendo conto della complessità dell’esperienza umana.

Il significante “madre” ancora apre scenari idealizzati, pone in essere schemi e canoni preimpostati; il modello di maternità al quale anche io, nella mia esperienza, ho spesso fatto riferimento è quello della “madre oblativa”, tutta rivolta/piegata verso la prole. Una madre che rischia facilmente di trasformarsi in un coccodrillo – per usare un esempio di Lacan – poiché per fare il bene e per l’accudimento dei nostri figli, alle volte rischiamo di “ucciderli”.

Ho imparato a discostarmi e a temere la madre oblativa: cerco di vivere la mia esperienza di maternità come uno spazio insaturo in cui fare i conti con la mancanza. Nonostante il baluginare a tratti del senso di colpa, paradossalmente è proprio la mancanza che permette alla relazione di restare un luogo aperto, di respiro, in cui a incontrarsi sono due soggetti. I miei figli, forse, impareranno a non pensare egoisticamente che una donna si possa possedere, come un oggetto proprio; ma capiranno che ogni tipo di relazione deve dirsi e darsi nello spazio della separazione.

Essere madri…in divenire

Ho imparato che mettere al mondo significa «generare amore, desiderio, linguaggio, arte, società, politica, religione...» (L. Irigaray); prendersi cura significa contribuire alla costruzione di identità relazionali che imparino a “svuotarsi” per ospitare l’altro/a. Io considero questo come un codice (materno) da trasferire prima ai miei figli e da far sviluppare nei contesti in cui ci troveremo a vivere.

Essere madre, per me, è dar luce a pratiche, visioni e pensieri per contribuire alla costruzione della nostra umanità comune. Non è mai stato un pensiero astratto, è diventato a un certo punto un progetto di vita che va realizzandosi, non in assoluto rispetto a tutto ciò che riempie la mia stessa vita (il lavoro, le amicizie, gli affetti..), ma in concreto, quotidianamente, e in relazione a tutto “il resto”.

Il tentativo che una madre compie è quello di porre in interdipendenza le sue diverse esperienze. Una madre pone costantemente in relazione le traiettorie di significato in un’ottica di dinamicità dove quello che si viene a configurare è una sorta di apprendistato quotidiano. Imparo ad essere madre dal mio essere amica, insegnante, moglie e viceversa.

Per tutti questi motivi dico che madri si diventa, poiché è la stessa mia identità ad essere in divenire, fondamentalmente temporale e rinegoziata costantemente nel corso della vita. Ogni identità crea delle traiettorie: la sua temporalità è più complessa di una nozione lineare del tempo, incorporando il passato e il futuro in un processo di negoziazione del presente; il lavoro sull’essere madre è continuativo nel tempo, ed in base alle proprie traiettorie di significato ognuna potrà stabilire quali esperienze possano entrare nella cosiddetta “trasversalità dell’interesse materno”.

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