Dire Maria: tra immaginario femminile e letteratura
La solennità dell'Immacolata concezione ci invita a guardare alla storia di Maria. Ne parlano Lucia Vantini e Cristina Simonelli a partire dal suo immaginario femminile fino all'ampia produzione lettararia dedicata a lei.
Maria, l’imprevisto del desiderio
Lucia Vantini
Se dovessimo andare tra i fedeli a raccogliere commenti sul dogma dell’Immacolata concezione – che celebriamo l’8 dicembre –, scopriremmo che non sono in pochi a pensare erroneamente alla verginità di Maria. La tradizione la presenterebbe come pura in vista della missione che le è stata assegnata nella storia: mettere al mondo Gesù, Figlio di Dio nella carne. Invece qui siamo di fronte ad altro, a qualcosa che riguarda la nascita di Maria stessa, la sua origine, la sua radice: per il cattolicesimo è questa a risultare non contaminata dalla chiusura, dall’autoreferenzialità, dalla miseria dello sguardo che vuole solo prendere e avere per sé. Maria non è gravata dal peccato delle origini.
Quest’affermazione invita a tornare indietro nella storia di questa donna, e a interrogare ciò che la muove: il suo desiderio. Un desiderio che dunque non può essere inteso in termini riduttivamente sessuali, seppure per negazione.
Probabilmente, come molte ragazze dell’epoca, Maria sognava di essere la madre del Messia che si attendeva da tempo. Il suo immaginario di donna sarà stato attraversato dalla promessa di un Dio che ha il nome di una presenza costante (cf. Es 3,14) e che ha mostrato la sua fedeltà attraverso nascite inattese e difficili, che nel mistero della generazione si trasformano in luoghi viventi della Parola. Il desiderio di Maria avrà immaginato il futuro a partire da questa memoria, che è una memoria di fede. È questo processo del desiderio che va interrogato quale spazio di rivelazione che racconta di un Dio che si apre la strada attraendo con il proprio sogno di comunione, di salvezza per tutte e per tutti.
Eppure le cose vanno come lei non avrebbe mai immaginato. Si realizzano nell’impossibilità. Maria dunque si fida di una possibilità che passa per l’impossibilità: non conosce uomo. Si fida però del suo desiderio, che la spinge a lasciarsi coinvolgere in questa storia con Dio. E si fa madre di Dio. Deve essere stata molto libera per dire di sì. Il suo desiderio, che avrà avuto una forma precisa, era tuttavia sufficientemente libero per integrare l’imprevisto di un evento felice, ma davvero incerto nei modi e nel destino. Ben presto all’orizzonte compare la profezia di una spada che avrebbe trafitto la sua anima (cf. Lc 2,35). Chissà se Maria aveva presagito quanto questa si sarebbe conficcata a fondo.
L’attenzione al desiderio di questa giovane donna di Nazaret porta a cogliere come non si sia trattato di una mediazione solo nella carne. Nell’incarnazione Maria ha un ruolo anche spirituale, proprio perché coinvolge il proprio desiderio e lo affida alla cura del suo Dio. Il Magnificat ne è un’espressione, che tra l’altro si fa molto concreta nell’immagine di un mondo liberato dai poteri disumanizzanti.
Quello che lei ha incontrato è un Dio che entra nella trama della vita rimettendosi al consenso di una donna. Un Dio che non si impone, non forza, non pretende e non violenta. Nella voce dell’angelo le parole divine sono parole di grazia, ed è in quest’orizzonte di benedizione che si apre il cammino. Non ci sono riferimenti a posizioni e a gerarchie che dovrebbero intimorire. È semmai Maria, inizialmente colpita e turbata, ma poi attratta e consenziente, a nominarsi come serva. Di questi tempi è particolarmente significativo ricordarlo.
Con quest’approccio Dio rivela come si ama, come si accompagna, come si protegge e si salva la vita di chi ci sta a cuore. È un Dio che desidera creare relazioni, guarirle, rilanciarle, nutrirle e che raggiunge lo scopo risvegliando i desideri delle sue creature. Li porta a compimento, indubbiamente non senza sorprese.
Accanto a Maria c’è un uomo che non è da meno. Giuseppe si trova infatti ad amare una donna che vive un sogno che non ha condiviso con lui, e proprio per questo si ritrova in una posizione marginale, umiliante, escludente. Eppure il fantasma della maschilità ferita nell’onore lo tenta ma non del tutto. La sua è la maschilità dell’uomo giusto che sta dalla parte dei legami e che alla fine, invece della legge, fa vincere la storia. Giuseppe si lascia così coinvolgere in una vicenda di cui non è l’origine e accetta di accompagnare la sua donna in una via diversa da quella che aveva immaginato per loro. Anche in lui c’è dunque un consenso prezioso: egli si affida al sì di colei che ama.
E la storia non sarà facile: inizia nello sconcerto di un figlio che fa la volontà di un altro Padre (cf. Lc 2,49) e finisce sulla croce. Maria è lì sotto (cf. Gv 19,25-27) e poi sparisce dalle pagine bibliche. Nessun incontro con il Risorto. Forse si può pensare che sia stata tra i beati che hanno creduto senza avere visto (cf. Gv 20,29) in quanto ha mantenuto il proprio desiderio vivo e ardente, desiderio di una madre che non si rassegna alla morte di un figlio, mai.
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LIBRI - Scrivere di Maria
Cristina Simonelli
«Scrivere di Maria, la madre di Gesù di Nazareth, è impresa quanto mai ardua; i dati storici che la riguardano, infatti, si intrecciano con l'elaborazione teologica delle comunità cristiane delle origini, le formulazioni dottrinali dei primi secoli, la vita liturgica delle Chiese strutturate, le apparizioni mistiche e la devozione popolare che hanno portato a riconoscere in lei la donna privilegiata e unica: vergine, Madre di Dio, immacolata, assunta in cielo».
Consentendo alle parole con cui Adriana Valerio dà avvio alla sua ultima pubblicazione (Maria di Nazaret. Storia, tradizioni, dogmi, il Mulino, 2017), si potrebbe dire che oltre che ardua impresa «scrivere di Maria» è pratica inesausta, così che anche la più recente produzione può ben onorare l'antico detto: riguardo a Maria numquam satis, non si dice mai a sufficienza. Constatazione che, specie in campo cattolico, potrebbe essere scontata se non si caratterizzasse per un aspetto particolare: le teologhe hanno preso sul serio la sfida, e senza tacere gli aspetti complicati del discorso mariano, nonché quelli dannosi soprattutto per le donne, hanno dato vita a una ampia produzione letteraria, con sim/patia e complicità.
Certo sono molto note alcune pubblicazioni internazionali, tradotte anche in italiano – in particolare Elizabeth Johnson, Vera nostra sorella (trad. italiana: Queriniana, 2005) che nel titolo riprende un'espressione di Paolo VI, sviluppata non brevemente (640 pp), ma con originalità e, meno noto ma interessante, Christa Mulack, Maria. Vergine e ribelle, la dea nascosta del cristianesimo (trad. italiana: Red, 1996) – ma esiste anche una importante rete di autrici italiane, che fa registrare una “concentrazione mariana” in questo stesso 2017.
L'intervento di Adriana Valerio appena ricordato può essere percorso anche attraverso la trasmissione televisiva Quante storie del 15 novembre scorso, in dialogo con un Corrado Augias elogiativo come raramente si mostra nei confronti di simili pubblicazioni, con un discorso che ha saputo mostrare l'interezza della “posta in gioco”, dalle narrazioni evangeliche alle tradizioni delle dee madri, dall’“esilio del femminile”, espulso dal divino e dalle sue raffigurazioni, ai rapporti ecumenici, fino alla ambigua posizione delle donne nella Chiesa cattolica.
In questo stesso anno è stato dato alle stampe anche L'amore viscerale. Maria di Nazareth e il grembo di Dio, di Simona Segoloni Ruta (EDB, 2017), che in termini anche molto personali, “a partire da sé”, secondo l'opzione prevalente di molta riflessione di donne, incrocia l'esperienza della gravidanza, dell'amore, della vita coniugale con passi biblici e temi teologici e, ancora una volta, con quanto balbettiamo su Dio, su di Lei, che ci avvolge e ci lancia nel mondo, che ci libera anche da sé proprio mentre mai ci abbandona.
Di altro taglio, ma in fondo di non dissimile intento, il romanzo di Mariapia Veladiano, dal titolo breve come un respiro aperto all'immaginazione: Lei (Guanda, 2017). L'autrice narra e narrando riscrive e medita, accogliendo e rilanciando testi evangelici e tradizioni apocrife, così importanti in questo ambito perché formano quello che si può definire un “canone popolare e iconografico” (si pensi, per brevità, ai cicli di Giotto ‒ Scrovegni e Assisi–, ma anche alle tradizioni del presepio, in libera relazione con le narrazioni sinottiche).
Uscendo tuttavia dalla immediata attualità, mi piace ricordare anche la sezione dedicata a Maria, madre di Yehoshua di Nazareth, ne Il Vangelo dei bugiardi di Naomi Alderman (Nottetempo, 2014 – traduzione di Silvia Bre), veramente capace di mostrare potenzialità inedite dell'infinito racconto di una vicenda che pensiamo troppo spesso di poter dominare. Si potrebbe poi anche ricordare Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna, di Michela Murgia (Einaudi, 2012), che tuttavia, come lei stessa afferma, non è “solo” un libro su Maria:
«Dovevo fare i conti con Maria, anche se questo non è un libro sulla Madonna. È un libro su di me, su mia madre, sulle mie amiche e le loro figlie, sulla mia panettiera, la mia maestra e la mia postina. Su tutte le donne che conosco e riconosco. Dentro ci sono le storie di cui siamo figlie e di cui sono figli anche i nostri uomini: quelli che ci vorrebbero belle e silenti, ma soprattutto gli altri. Questo libro è anche per loro, e l'ho scritto con la consapevolezza che da questa storia falsa non esce nessuno se non ci decidiamo a uscirne insieme».
In ogni caso oserei dire che le molte scritture segnalate – così come gli svariati contributi e saggi ad esempio di Marinella Perroni, Lucia Vantini e Stella Morra – sono aperte e in certo senso anche “autorizzate” (non nel senso rigido dei permessi del potere, ma in quello aperto del creare spazi di libertà e authorship) dall'impresa di Cettina Militello, testimoniata dai libri e sostanziata anche dagli anni non brevi di insegnamento sul tema: Mariologia (Piemme 1991) e ‒ più importante e generale ‒ Maria con occhi di donna (Piemme 1999). Vorrei tuttavia ricordare con particolare gusto anche Nostra Donna coronata di dodici stelle, (Monfortane 1999), forse non facile da reperire, felicissimo nell'equilibrio fra lettura teologica, iconografica ed esperienziale. Nella stessa direzione teologico/iconografica anche Maria di Nazareth, Una donna “all'ombra” di Dio (Città Ideale, 2013). Infatti “camminando si apre cammino”, in una rete di passi pensosi e arguti, affabili e critici, per tutte e tutti.
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