Da che pulpito viene la predica?!
Tuttora le donne non hanno la facoltà di presiedere e neppure di tenere le omelie durante le celebrazioni eucaristiche. Tra richiesta, bisogno e desiderio molte cose però si muovono: le donne fanno meditazioni bibliche e scrivono, anche tracce per le omelie: che sia il caso di fare qualche cambiamento, per il bene della Chiesa? Nell’immagine del resto vediamo che la storia è ricca di presenze: nel Monastero di S. Anna di Foligno le Terziarie francescane che predicavano per le strade avevano voluto ritrarre Maria che insegna nel tempio.
Le donne non possono predicare. Di fatto. E questo nonostante la predicazione ecclesiale in casa cattolica sia in grosso affanno. Infatti una delle lamentele più diffuse riguardo la vita quotidiana delle chiese è proprio l’omelia domenicale: difficile farla e difficile trovarla gustosa. Però, nonostante le fatiche e l’evidente bisogno di aiuto, le donne nella chiesa cattolica non possono predicare. Perché? Per una disposizione giuridica che lega la predicazione liturgica al ministero ordinato e, già lo sappiamo, questo al sesso maschile. E perché? Difficile dare una motivazione teologica che regga, soprattutto se si guarda all’interezza della tradizione ecclesiale: non a caso l’immagine che apre questo post è antica, viene dal Chiostro verde (XVI secolo) del Monastero di S. Anna di Foligno e ritrae Maria che insegna nel tempio. Lì una comunità di Terziarie francescane aveva attivato fin dal XIV secolo una forma di vita evangelica, testimoniando il Vangelo per le strade, accanto ai bisognosi e ancora due secoli dopo la fondazione resistevano, commissionando questi affreschi!
Tornando al presente, abbiamo ministri ordinati troppo spesso in affanno con la predicazione e donne che potrebbero avere la capacità di essere di aiuto, ma, dal momento che sono donne, decidiamo che i doni dello Spirito non sono utili nel caso specifico e proprio per il sesso biologico delle persone che hanno ricevuto il dono.
Spezzare la Parola: una pluralità di modi
Tutto questo è così insensato che la chiesa stessa, da sola e al di là delle proprie regole pur senza trasgredirle, trova il modo di risolvere e soddisfare così il proprio bisogno che la parola di Dio venga spezzata in modo efficace da una pluralità di voci. Si moltiplicano infatti i sussidi liturgici, i blog, i podcast, in cui laici e in particolare laiche, che non avrebbero altre possibilità, spezzano la parola di Dio, la spiegano, la offrono a chi sente un gran bisogno di pregare, di meditare, di entrare dentro la bellezza della propria fede.
In questo dinamismo sta anche il volume delle omelie Senza indugio curato dal CTI, in cui donne teologhe, con sensibilità e formazioni diverse, ma tutte con l’adeguata competenza e con l’esperienza vissuta di predicazioni al popolo cristiano, hanno composto tracce di omelie per l’anno liturgico che abbiamo davanti. Stando alle norme attuali un prete può leggere le omelie pubblicate in questo libro rispettando il Codice, ma nessuna delle autrici può pronunciarle in assemblea. Se ci guardassimo un attimo da fuori apparirebbe ridicolo, ma ciò che più conta vedere è come là dove soffochiamo lo Spirito, questo trova il modo di soffiare comunque, inaspettatamente, per altre vie. Così accade anche che alcune donne scrivano un libro di omelie per tutti coloro che sentono il bisogno di approfondire ulteriormente la parola ascoltata la domenica o per coloro che devono preparare la propria omelia: per la chiesa, comunque essa ne abbia bisogno.
È una presa di parola femminile. E già questo conta. Ed è una presa di parola femminile ecclesiale. E questo conta ancora di più. Ma soprattutto è una presa di parola femminile per la Chiesa. Non tacciono le donne che hanno qualcosa da dire e non si turano gli orecchi tutti quelli che hanno bisogno di una parola che li nutra.
Perché donne? Per la Chiesa
Perché le donne? La parola dei ministri ordinati non è sufficiente? Non basterebbe, nel caso fosse questo il problema, fornire a chi deve predicare la formazione che serve? Quale motivo c’è che prendano parola anche le donne? Il punto è che la Chiesa trasmette tutto ciò che essa vive e tutto ciò che essa è (DV 8) e quanto trasmette cresce con lo studio dei credenti e la comprensione delle cose spirituali, cioè con la sapienza che viene dal vivere la fede: in tutto questo le donne sono determinanti, come tutti. Senza il vissuto e il sentire delle donne, non si dà tradizione ecclesiale e quindi predicazione. Guardiamo ad apostoli, dottori e predicatori e vediamo solo maschi, perché vogliamo raccontare la storia così, ma i maschi erano solo alcuni, non tutti.
La provocazione al lettore/ascoltatore
Forse dovremmo rileggere la conclusione del Vangelo di Marco, la prima, quella che si chiude al versetto 8 del capitolo 16. Siamo al sepolcro, la mattina di Pasqua, le donne trovano il sepolcro vuoto e incontrano il giovane che dà loro l’annuncio della resurrezione. Marco (genialmente) conclude dicendo che queste donne per la paura non dissero niente a nessuno. Il genio sta nella provocazione al lettore: lo ammonisce che se questo annuncio non viene raccontato non può portare frutto. Ma evidentemente se il Vangelo è stato scritto e il lettore lo sta leggendo, queste donne hanno parlato e lo sappiamo dagli altri evangelisti. Che sarebbe successo però se avessero taciuto? Che sarebbe successo se avessero obbedito alla norma che non riconosce loro una parola autorevole? Molto semplicemente e molto drammaticamente la tradizione ecclesiale non si sarebbe nemmeno avviata perché, che ci piaccia o meno, le discepole ne sono il primo indispensabile anello.
E per questo le donne cercano - e viene loro sempre più spesso chiesto - di prendere parola nella Chiesa. A volte hanno paura. Sanno anche che forse molti criticheranno. Non è però possibile sottrarsi alla propria responsabilità: i talenti ricevuti si investono, senza indugio.