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Il Regno delle Donne

Cittadine attive per un’Europa amica delle donne

In diversi paesi dell’Unione europea le politiche di genere attraversano una fase critica che richiede vigilanza, conoscenza e un’azione politica consapevolmente non “neutra”. Le elezioni del 26 maggio sono un’occasione importante per elettrici e candidate.

Finora la conoscenza dell'Europa da parte delle donne – a partire da me – è stata tiepida. Troppo: è per questo che non esiste una visione di genere dell'Unione europea.

Nonostante si sappia che le direttive europee “obbligano” i singoli stati membri ad applicarle, nessuno si cura della loro applicazione. Bisognerà dunque relazionarsi meglio con le istituzioni per renderle “nostre” non solo teoricamente. Infatti è molto più facile che si conoscano i benefici (o i danni) delle normative “neutre” sulla produzione agricola (il latte, l'olio, la pesca...) che non le direttive al femminile.

Buoni esempi da Bruxelles

Per esempio, alcune settimane fa sono state definitivamente approvate nuove misure per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita famigliare, aumentare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre (o di un secondo genitore) a beneficio dei bambini e della vita familiare. Si tratta in concreto di poter ottenere almeno dieci giorni lavorativi di congedo di paternità retribuiti per i giorni vicini alla nascita del figlio e di due mesi di congedo parentale non trasferibile e retribuito a diritto individuale, e gli si accompagna un accorgimento interessante per impegnare anche il familiare meglio retribuito (che spesso è un uomo) ad avvalersi del diritto del congedo parentale: senza la fissazione prevista di un livello adeguato di retribuzione per il periodo minimo di tale congedo, potrebbe esserci una perdita di reddito per la famiglia. Inoltre sono previsti cinque giorni all'anno di congedo per i/le lavoratori/lavoratrici che prestano assistenza personale a un parente o a una persona che vive in famiglia a causa di un grave motivo di salute o di infermità connesse con l'età; inoltre il lavoro flessibile per genitori/lavoratori che chiedono modalità di lavoro adattabili (telelavoro oppure orari flessibili), mentre i datori di lavoro terranno conto non solo delle proprie risorse, ma anche delle esigenze specifiche del dipendente che ha figli con disabilità, o lungodegenti, oppure genitori soli. Non sono benefici eccezionali, ma è interessante l'importanza attribuita al recupero della parità genitoriale degli uomini e, in particolare, ai bisogni dei genitori anziani.

Gli strumenti europei per la parità

Come con questa direttiva, Bruxelles delibera sempre, su iniziativa parlamentare, misure che ovviamente non è Bruxelles ad applicare. È compito dei singoli governi acquisire le nuove normative con proprie leggi, anche se le forze interessate non sono mai tempestive e attente a curarne l'informazione pubblica. Sono allora partiti e sindacati a dover sollecitare le istituzioni. Ma quando sono in gioco gli interessi e i diritti delle donne, bisogna rassegnarci: tocca alle cittadine documentarsi e attivarsi per ottenere gli eventuali benefici. Come fanno le associazioni che, trovati su internet i progetti finanziati dall'UE, si inseriscono, forniscono contributi importanti alle donne del loro paese e contano, dato l'impegno volontario, su mille euro per i loro magri bilanci.

Vale comunque la pena di sapere che esistono una Commissione Femm, agenzie e istituti orientati a valorizzare i diritti delle donne e funzionarie disponibili a richieste di informazioni. Ma tantomeno va dimenticato che fin dall’origine le legislatrici vengono elette nel Parlamento europeo anche per realizzare l'implementazione dei diritti di genere. Non meraviglia rendersi conto che, essendo la leadership culturale ancora maschile, le parlamentari scelgono politicamente di impegnarsi nelle Commissioni che si occupano di commercio o di sanità piuttosto che in una “parità” che non fa notizia nemmeno all'interno dell'UE.

Per non tornare indietro, riprendiamo a fare politica

Per dare effettività alla politica di genere anche in sede comunitaria occorre dunque interagire, favorire le comunicazioni in rete tra le parlamentari europee e quelle nazionali e attivare ogni connessione culturale con e tra le associazioni di donne d'Europa. Viviamo tempi pericolosi per gli interessi di genere: la politica in Italia è già intervenuta a togliere finanziamenti ai centri antiviolenza e sostegni alle donne (vedi il bonus bebè), mentre le lavoratici vengono risospinte alla casalinghità se hanno in famiglia problemi di nonni con l'Alzheimer o persone con handicap. Non possiamo permetterci di arretrare, anche se il linguaggio dei dati critici è pieno di “si dovrebbe”, rinvii e dissolvenze.

L'esercizio critico, quindi, non può che rimandare alla necessità di riprendere a fare politica. D'altra parte è ora che incomincino proprio le donne a ricordare che - l'ha detto Aristotele con un linguaggio che sembra quasi nostro –

«poiché ogni conoscenza e ogni scelta aspirano ad un bene, diciamo che cos’è, secondo noi, ciò cui tende la politica, cioè qual è il più alto di tutti i beni raggiungibili mediante l’azione: quanto al nome, sia la massa sia i singoli lo chiamano “felicità”».

Nelle crisi non bisogna avere paura: le cose cambiano, non necessariamente in peggio.

Lo diciamo alla vigilia delle elezioni più impegnative delle altre otto votate in quarant'anni di troppo cauta costruzione di un’Europa federata: occorre che il nuovo Parlamento sia in grado di esprimere al meglio le sue potenzialità. Si suppone che la destra nazionalista si impegnerà nel Consiglio (dei capi di stato e di governo) sia per le previste riforme necessarie, sia per proposte già anticipate all'interno dei diversi paesi, volte a riformare l'interpretazione dei diritti umani e della famiglia. In caso di stallo o di maggioranze dubbie, il Parlamento potrà alzare la voce e fare sentire con più forza che in passato l'importanza degli interessi rappresentati. Non si deve perdere nemmeno un parlamentare democratico in più.

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