8 marzo - Ragazze
Hanno preso la parola, eredi di madri e nonne e di altre donne, e non smettono di usarla. Quando non possono, per i motivi più vari, stanno male, e il loro corpo diventa linguaggio o estremo conflitto. Combattono per le parole, per l’equilibrio, spesso per le loro famiglie fragili. Combattono per stare in piedi, da sole. Sono simili alle loro nonne, arruolate però non in una guerra, ma in una guerriglia.
Insegno. Attorno all’8 marzo guardo le mie alunne, le ragazze, come le chiamo ostinatamente da molti anni. Le prime che ho guardato e visto sono donne ormai mature. Di molte conosco la vita. Quello che erano da ragazze non è andato perduto, nel bene e nel male.
Ho visto molte generazioni e resisto alla tentazione di inventariare per lustri, cerco di rimanere fedele ai nomi personali, ai volti. Per motivi direi biografici ho avuto a scuola ragazze colte e coltivate, almeno secondo le statistiche, figlie di un ceto medio-alto, con poche eccezioni, più in basso o più in alto. È molto cambiato, negli anni, il numero dei cognomi stranieri, le mille radici che si ritrovano in una classe, con intrecciarsi di culture e storie e lì sì le generazioni contano; sono i nonni o i genitori ad essere arrivati in Italia dal mondo intero? E anche come sono arrivate, bambine o poco di più, fa la differenza. Passare una frontiera a 13 anni con una parrucca bionda in testa, pesa sull’uscire il sabato pomeriggio o no, e sul non passare (a volte quasi ideologicamente) un compito a qualcuno che non ha studiato. La geografia delle storie e delle lingue, delle patrie, si è fatta complessa.
Bellissime, sognatrici, disinvolte...ma anche "diverse"
«Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo» scrive Tolstoj nell’incipit di Anna Karenina. Si potrebbe dire della felicità e della infelicità delle ragazze? O forse al contrario? Sono in genere bellissime e quelle meno belle sembrano malate. Sono diverse le une dalle altre? Sì, lo sono, per intelligenza, per capacità di autonomia, per esperienze di viaggi e non solo, per saldezza psicologica.
Sono simili per le madri e i padri che spesso non hanno visto insieme durante l’infanzia e l’inizio dell’adolescenza, per mamme alle volte infelici o troppo velocemente felici, per padri/ragazzi o padri/nonni. Quelle solide, hanno in genere nonni presenti e finalmente adulti. Nonne mitiche, che hanno lavorato, che hanno studiato, che sanno fare le torte di mele e che non si scandalizzano di nulla. Hanno, tutte, sogni e progetti sulle loro vite. Quasi mai si sentono all’altezza di questi progetti. E così si deprimono, la mancanza di autostima le mangia. Si tagliano, più spesso di quanto non si pensi; mangiano troppo o troppo poco. Quelle forti sembrano competitive, vanno dritte allo scopo: fanno i conti su cosa convenga alla loro formazione, quali percorsi di studio seguire. Hanno scarsa fiducia nelle loro passioni, le passioni distraggono e danno debolezza. Come le emozioni.
Hanno una certa facilità nelle scelte sentimentali, molte conoscono i nomi delle loro configurazioni personali. Anche di quelle psicologiche. Sono disinvolte, apparentemente. Molte sono legatissime a un ragazzo e ne parlano come di un trentennale marito. In capo ai 17 anni disfano relazioni e legami. Certo, nessuna pensa (o dice) che un certo lavoro, un certo mestiere non è una cosa da donna. Nessuna. Sembrano, come tutti, più preoccupate dei soldi e della certezza di un lavoro. Ma poi è ancora molto forte il non scegliere facoltà scientifiche, torna spesso il ritornello “non-so-cosa-fare-legge-o-lingue”. Moltissime, uscite dalla scuola superiore passano un anno o due a guardarsi attorno (anche dentro?) e non sono poche quelle che non entrano nelle cittadelle universitarie.
Le adolescenti, le ragazze, vanno anche guardate nel gruppo delle persone comprese tra i 14 e i 25 anni. In questa fascia d’età si registra un grande malessere, ormai riconosciuto anche dalle organizzazioni sanitarie che hanno in molti casi rimodellato i loro obiettivi. Non si può farne a meno, non solo per amor di realtà, ma perché in questo contesto le ragazze hanno un posto molto significativo. È un’emorragia silenziosa di vite a rischio, di famiglie oscure, di storie psichiatriche, di spalle troppo ossute che emergono a primavera, quando le grosse felpe non si possono più portare. Ce ne accorgiamo solo se vanno male a scuola, ma spesso sono brave. Mappe familiari, storie di sofferenze, disagio, emotività imponenti, mancata educazione sentimentale, adulti soltanto anagrafici. Mappe dolorose.
Ignare combattenti
Sanno della loro differenza, queste ragazze? Difficile cogliere la differenza quando si è cresciuti solo con una madre e/o quando i ragazzi non hanno particolari investimenti da fare e la società non ha grandi aspettative sui maschi. Differenti da cosa o da chi? La scuola è un ottimo posto per la coltivazione delle differenze, di tutte le differenze. E loro, le ragazze di adesso, non sembrano avere il desiderio di essere conformi, ma uguali sì, uguali a quelli che emergono, per qualche motivo, da qualche parte.
Cosa le rende contemporanee, almeno in generale, a questo tempo erede di tanta battaglia delle donne e per le donne? Hanno preso la parola, eredi di madri e nonne e di altre donne, e non smettono di usarla. Quando non possono, per i motivi più vari, stanno male e il loro corpo diventa linguaggio o estremo conflitto. Parlano, di se stesse, delle cose che studiano, del mondo attorno, delle famiglie meno, dello sport, dei viaggi e cercano parole, cercano pensieri e parole. Non sono poche le ragazze che, benché armate di smartphone, hanno un libro nello zainetto. Anche le loro posture nel silenzio (adolescente sempre, un certo silenzio), nel muso lungo, è molto parlante.
Tutto questo accade in una sorta di Babele di codici espressivi e di storie che premono per essere parlate. Questa Babele di espressioni e di linguaggi potrebbe ingannare chi guarda le ragazze con gli occhi delle donne degli anni ’70 e ’80. Le ragazze non combattono quella battaglia, quelle battaglie. Ogni tanto sembrano ritornate agli anni ‘50, per una certa immagine seduttoria o perfettina, perché non sono come le loro nonne. Ma sono combattenti, spesso e senza saperlo. Combattono per le parole, per l’equilibrio, spesso per le loro famiglie fragili. Combattono per stare in piedi, da sole. Sono simili alle loro nonne, arruolate però non in una guerra, ma in una guerriglia. E questa è la radice carsica forse della libertà e della differenza.
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