11 gennaio 2021: lettrici e accolite
Togliendo le parole “di sesso maschile” dal can. 230 del Codice di Diritto canonico Francesco ha sanato l’anomalia epocale fra i ruoli che le donne svolgono di fatto, anche nella vecchia Italia, e il riconoscimento del loro carattere ministeriale. Un bel giorno per la Chiesa cattolica. Un’opera di giustizia, che accogliamo con soddisfazione ma senza ingenuità, tenendo aperte le domande sul suo significato, sul metodo, sulle motivazioni.
Vale effettivamente la pena consegnare alla memoria questa data e riflettere sui diversi risvolti di un semplice atto, una Lettera Apostolica di Francesco, che corregge una anomalia, una incongruenza che aveva privato di significato la realtà dei ministeri laicali istituiti – lettorato e accolitato – riservandoli, senza poterne dichiarare il motivo, ai battezzati di sesso maschile. Di fatto a proclamare la Scrittura e fare la catechesi in questi decenni sono state in grande maggioranza le donne, così come alto è stato il numero di donne “ministre straordinarie dell’eucaristia”, senza che si riuscisse a sanare questo varco: ne svolgevano il ministero, ma sempre in una sorta di stato di eccezione.
Un muro… che era di carta
Decenni di pratiche, decine di interventi anche autorevoli, alcuni proposti al Concilio, altri da Sinodi di vescovi: niente, tutto si spuntava contro un muro apparentemente invalicabile. Qualcuno magari non aveva remore a spiegare – fuori onda – il motivo: alle donne, se dai un dito, ti prendono non solo il braccio, ma tutto. All’altare non si dovrebbero proprio avvicinare, altrimenti poi non le cacci più da lì.
Il muro era però infrangibile solo in apparenza, in realtà era di carta velina: eccolo già infranto, anche se i suoi brandelli vanno oggi conservati, perché quello che è stato chiede di diventare elemento di riflessione e parte della trasmissione della memoria.
Quei ministeri sconosciuti che non vanno travisati
Un bel giorno, comunque: per la Chiesa, prima di tutto, perché è uscita da una situazione ormai insostenibile e imbarazzante. Per il ministero della Parola: in queste ore un amico confidava che avrebbe gradito essere Lettore, ma tutti lo sconsigliavano, dicendo che era un ministero vecchio e di nessun rilievo. Chissà, proseguiva nella riflessione, che ora che vi accedono le donne non prenda peso, per tutti. Anche per le donne ha un certo significato, perché la ferita simbolica data da questa esclusione è una cosa che riguarda in qualche modo tutte.
Certamente ci accostiamo a questa novità con senso di responsabilità – ministeriale anche quello, ne siamo convinte – e dunque non senza accompagnarla con più larghe riflessioni.
La prima prende corpo man mano che riceviamo non solo da persone totalmente esterne alla comunità ecclesiale richieste di chiarimenti: di cosa si sta parlando, se adesso per “leggere in chiesa” serve un permesso del vescovo, se gli accoliti sono quelli che raccolgono le offerte e cose simili.
Da una parte questo ribadisce l’emorragia di significato che questi ministeri avevano subito, tornando a essere, in pratica, i vecchi “ordini minori”, cioè i gradini percorsi quasi unicamente dai seminaristi nel cammino verso l’ordinazione.
Suggerisce inoltre però che anche da questo punto di vista si gioca una partita che riguarda la comunità nel suo complesso e nella sua articolazione. Nessun ministero si può svolgere come sottrazione di responsabilità collettiva, ma dovrebbe essere il suo potenziamento e lo svelamento del suo significato: qualcuna sarà lettrice a mostrare che tutta la Chiesa è chiamata ad ascoltare e a proclamare la Parola di Dio; sarà accolita a dire che tutte e tutti sono chiamati a ricevere e condividere il pane eucaristico.
Che esiti avrà? Dipende dalle prassi
Diversamente, si darebbe ragione a chi ritiene che questo sia solo un passo ulteriore verso l’esproprio della soggettività ecclesiale nel suo insieme o un contentino di ruolo per le rivendicazioni di donne facilmente appagate da una fascia, da un titolo, da un compitino.
Con quanto appena detto, sia pure per prenderne le distanze, si evoca non solo il sarcasmo che si può percepire in alcuni, da sempre contrari a simile operazione, ma anche i giustificati timori che abitano molte amiche e che è giusto tenere in considerazione. Sono convinta che solo la prassi che effettivamente verrà messa in atto potrà dire quale sarà, da subito e progressivamente, l’esito di questo cambiamento di significato di una serie di azioni che le donne già svolgono da tanto tempo, salendo all’ambone, facendo catechesi, portando l’eucaristia nelle case.
Perché adesso, che si sta parlando d’altro?
Restano anche tante domande, che è bene non lasciare silenti, da subito, anche se non è bene precipitare le risposte.
Perché proprio ora e perché in questo modo?
Inoltre, come si pone questo cambio di un canone del Codice rispetto ad altri cambiamenti possibili, rispetto alle altre riflessioni sul ministero ordinato, in specie sul diaconato? Dopo ripetute richieste sul lettorato che erano cadute nel silenzio e nel rifiuto (si pensi alla proposizione 17 del Sinodo 2008 sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa), arriva una risposta positiva oggi, quando sempre più insistente si fa l’esigenza di un ripensamento globale del ministero, dal Sinodo Amazzonico ai fermenti della Chiesa Cattolica tedesca, sia nell’episcopato che nella Associazione delle donne cattoliche che hanno animato lo sciopero Maria 2.0 e sono interlocutrici per il percorso sinodale promosso da quella conferenza episcopale. Si pensi anche, fra il resto, al dibattito suscitato dall’enciclica Fratelli tutti, teso fra l’apprezzamento dell’ampia visione e la perplessità per la forma neutra, cioè maschile, del discorso.
Non c’è ragione perché sia l’unica e ultima risposta
Si deve perciò pensare a un parziale recupero ai supplementari, per evitare “danni peggiori”? Non si può escludere, evidentemente. Si può tuttavia anche pensare diversamente e ritenere che sia pure nella forma apparentemente poco sinodale del Motu proprio questa sia una risposta alle istanze comunitarie. E non c’è nessuna ragione per la quale debba essere l’unica, tanto meno l’ultima, in primo luogo per questioni che hanno da esibire motivi pastorali, di significato, di tradizione e anche ecumenici, cioè sia rispetto ai ministeri per le donne (si pensi al lungo e non ancora concluso discernimento sulle diacone) e per l’ordinazione degli uomini sposati.
Il tempo complesso che stiamo vivendo suggerisce tuttavia modalità dialettiche e dinamiche di pensiero: teniamo aperte le domande, assumiamo in forma provvisoria ipotesi diverse e risposte differenti. E intanto, accogliamo con rinnovati crediti di fiducia questa parziale novità. In molte ci hanno scritto «oggi è un giorno bello».