Le elezioni politiche del 25 settembre mostrano – cf. in questo numero a p. 547 – un risultato inedito. Fratelli d’Italia (FdI), che nel 2018 aveva circa il 4%, diventa la prima forza politica con il 26%. Se guardiamo la sequenza dei vincitori, dalle elezioni europee del 2014, il panorama politico italiano risulta impressionante.
Indifferentemente dal colore politico del partito che ha ricevuto più voti in ciascuna di tali elezioni, i rispettivi leader hanno sempre rivendicato per sé di essere «nuovi» rispetto al ceto politico tradizionale. Una novità reale, nel caso del Movimento 5 Stelle nel 2013. Parziale, nel caso di Renzi alle europee del 2014 e di Salvini nel 2018 e nel 2019, più legata al messaggio politico che alla loro personalità, essendo tutti leader di partiti in campo da tempo. Alle scorse elezioni è stata Giorgia Meloni a presentarsi con questa stessa novità, perché coerentemente all’opposizione di tutti i governi dal 2013 a oggi, nonostante fossero lei stessa e i suoi uomini (si pensi a La Russa) tutti politici di lunga data.
A poco più di sette mesi dall’inizio della guerra che Vladimir Putin ha mosso contro l’Ucraina il 24 febbraio scorso, il papa nel discorso che ha preceduto la preghiera dell’Angelus del 2 ottobre ha per la prima volta sistematizzato il pensiero suo e della Santa Sede sulle parti in conflitto, sui negoziati possibili, sul rischio di un’escalation nucleare come punto di non ritorno.
Le «religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa» (Regno-doc. 17,2022,514). Lo ha affermato papa Francesco a Nur-Sultan, capitale del Kazakistan (ridenominata Astana all’indomani della sua visita effettuata dal 12 al 14 settembre scorsi), in apertura del VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali. Un discorso che ha ricalcato il solco di quell’impegno alla Fratellanza umana che era stato suggellato con la firma della Dichiarazione firmata ad Abu Dhabi tre anni fa dal pontefice e dal grande imam di al-Azhar al-Tayyeb.
Il Catechismo della Chiesa cattolica, con riguardo al divieto di uccidere, gioca sull’equivoco. Già nel n. 2.258, che apre il settore relativo al quinto comandamento, dichiara infatti, citando Donum vitae, che «nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente». E il termine innocente ricorre altre 7 volte nei numeri successivi, allo scopo di precisare l’oggetto di quel divieto. Con tutta la palese ambiguità prodotta da una simile scelta.
Il pluripremiato documentarista Gianfranco Rosi (Leone d’oro a Venezia per Sacro GRA nel 2013 e Orso d’oro a Berlino per Fuocoammare nel 2016) ha dedicato un pezzo della sua recente carriera cinematografica al papa e ai suoi viaggi. Fatta salva la pausa della pandemia, essi hanno infatti avuto un forte impatto anche quanto ai numeri, come chiarisce il regista fin dai titoli di testa del film: 37 viaggi, 53 paesi, 9 anni.
Il 6 marzo, elevando la guerra contro l’Ucraina a una guerra metafisica del bene contro il male, simboleggiato dalla libertà di tenere i Gay pride nei paesi occidentali, il patriarca ha affermato: «Quello che oggi sta accadendo nell’ambito delle relazioni internazionali non ha soltanto un significato politico. Si tratta di qualcos’altro e di ben più importante della politica. Si tratta della salvezza degli esseri umani, di dove l’umanità si troverà: alla destra o alla sinistra di Dio salvatore, che viene nel mondo come giudice e retributore» (Regno-doc. 7,2022,242).
Il 3 ottobre si è tenuto alla Pontificia università urbaniana un simposio sui 60 anni dall’apertura del concilio ecumenico Vaticano II, intitolato «60 Years after the Opening of Vatican II: Its Legacy and Mandate». Nel suo intervento d’apertura, non di forma ma di sostanza, il card. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, presidente della Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e relatore generale per il prossimo Sinodo sulla sinodalità, ha richiamato il contributo (talvolta pagato a caro prezzo) dei teologi al concilio Vaticano II e si è augurato un maggiore sostegno della Chiesa al lavoro teologico. Allo stesso tempo, Hollerich ha inquadrato lo studio della teologia del Concilio e della sua eredità all’interno del momento ecclesiale presente con riferimenti diretti al processo sinodale in corso.
Il 20 settembre 2022 i vescovi delle Fiandre hanno pubblicato un testo pastorale dal titolo: Essere pastoralmente vicini alle persone omosessuali. Per una Chiesa accogliente che non escluda nessuno (bit.ly/3yQAIvJ). I vescovi ricordano i loro anni di sforzi e preoccupazioni, durante i quali hanno lavorato insieme ad altri attori della società per creare un clima di rispetto, riconoscimento e inclusione nei confronti delle persone omosessuali. Incoraggiano esplicitamente tutti gli operatori ecclesiastici a continuare su questa strada e a non allentarla.
In occasione della Giornata internazionale di lotta alla povertà (17 ottobre), Caritas italiana divulga il suo 21° Rapporto su povertà ed esclusione sociale dal titolo L’anello debole. Il testo prende in esame le statistiche ufficiali sulla povertà e i dati di fonte Caritas, provenienti da quasi 2.800 centri di ascolto Caritas su tutto il territorio nazionale. Il volume presenta anche i risultati di due indagini empiriche: una ricerca quantitativa e qualitativa sul tema della povertà ereditaria e intergenerazionale, realizzata su un campione rappresentativo di utenti dei centri d’ascolto Caritas.
In Italia i livelli di mobilità ascendente appaiono assai contenuti e sembrano avvantaggiare per lo più chi proviene da famiglie di classe media e superiore; per chi si colloca sulle posizioni più basse della scala sociale si registrano invece scarse possibilità d’accedere ai livelli superiori.
Le rapine nelle abitazioni le lasciano ad altri, semmai può scapparci un furto in negozio e, più spesso, qualche borseggio per strada. Spacciano droghe, ma non si lasciano coinvolgere in estorsioni. Però per atti vandalici, bullismo, risse, percosse e disturbo della quiete pubblica stanno diventando i massimi esperti, almeno a sentire il racconto delle forze dell’ordine. Sono gruppi composti mediamente da una decina di ragazzi, per lo più di età compresa tra i 15 e i 17 anni, che solitamente prendono di mira altri giovani tra i 14 e i 18 anni.
Più di 200 i partecipanti d’ogni parte d’Italia hanno preso parte al XXVIII Convegno nazionale promosso dalla Comunità del diaconato in Italia ad Assisi dal 3 al 6 agosto scorso, evento realizzato in collaborazione con Caritas italiana (sul sito www.comunitadiaconato.com i video e gli interventi dei relatori). Tenuto presso la Cittadella Ospitalità, luogo storico degli incontri della Comunità, e dopo tre anni e un tempo carico di tante sofferenze e dolore a causa della pandemia, il convegno è stato motivo di grande gioia e rilancio. Il tema scelto è stato: «La Sinodalità come stile diaconale. Diaconi sulla strada a servizio della missione della Chiesa».
La dimensione cultuale del cattolicesimo (dalla liturgia al culto dei santi alle devozioni) è profondamente calata nella storia e porta il riflesso del rapporto con le società del proprio tempo dei diversi soggetti (non necessariamente istituzionali) che la promuovono, la preservano o la innovano. Lo ha ampiamente dimostrato la storiografia religiosa che da diversi decenni si è misurata con il suo studio storico-critico.
L’attualità del messaggio e della testimonianza di santità di don Tonino Bello risiede nell’aver incarnato lo «spirito» del concilio Vaticano II. Egli infatti non solo ha saputo cogliere gli aspetti centrali del grande evento ecclesiale, ma li ha anche tradotti in scelte concrete di vita. In lui, come ha sottolineato anche papa Francesco, si è resa visibile la figura ideale del pastore secondo il concilio Vaticano II.
Salvatore Berlingò, docente emerito dell’Università di Messina, tra i maestri del Diritto ecclesiastico e canonico in Italia, dà veste organica ad alcuni dei suoi più recenti saggi, tracciando un itinerario giuridico che segna la «transizione», come si legge nel sottotitolo dell’opera, «dal privilegio al diritto». Vale a dire, dall’eliminazione dei privilegi all’affermazione dei diritti in quelle democrazie che, in un mondo sempre più complesso e globalizzato, aspirano a essere «transculturali» (termine preferito dall’autore rispetto a «interculturali»).
Fede, speranza e carneficina – il libro-intervista in cui il cantautore australiano Nick Cave, una delle voci più significative (e tormentate) del panorama del rock contemporaneo, si racconta al giornalista Seán O’Hagan – è un lungo, sofferto, coraggioso, a tratti ipnotico, corpo a corpo con l’esperienza del lutto e con la capacità della musica di trattenere, restituire e mitigare l’ustione del dolore.
La domanda di fondo che guida l’intero saggio si può riassumere in questo modo: se c’è un Dio unico, onnipotente e onnipresente, a che servono gli angeli? Sono state avanzate diverse ipotesi che, tuttavia, non permettono di comprendere tutta la letteratura elaborata su di essi e di spiegarne, di conseguenza, la loro ragion d’essere.
L’immigrazione ha rappresentato uno dei fattori più rilevanti di cambiamento della società italiana negli ultimi decenni. Non è sempre facile riconoscerlo, e i conflitti politici e culturali che hanno accompagnato il fenomeno hanno drammatizzato le questioni poste, più che contribuire a risolverle.
Con questo nuovo libro, ben argomentato e che raccoglie anche articoli e interviste pubblicati in precedenza includendoli in una riflessione più organizzata, il filosofo Massimo Borghesi, docente all’Università di Perugia, analizza il presente del cattolicesimo, ne ricostruisce le origini e commenta gli sviluppi in un percorso diviso in 5 capitoli più un’Appendice, degno di nota per il coraggio delle puntuali denunce al sistema di accuse contro papa Francesco.
Francesco Massobrio, rigoroso studioso che riflette sui rapporti tra teologia e scienza, prende decisamente le distanze dai sicuri bastioni della filosofia della natura e della teologia naturale, che trovano nella philosophia perennis tomista il loro costante riferimento. Ciò che, infatti, l’autore critica è «un impianto ermeneutico deciso a monte, formulato a partire dall’osservazione volgare della realtà e non sull’osservazione più precisa delle scienze».
Nel «libro dell’Apocalisse c’è una cristologia? Sì, no, forse. Certamente i biblisti e i dogmatici direbbero di sì... Ciò che invece ho chiaro è che tutto il testo testimonia ciò che nell’esperienza della fede si percepisce come divina presenza. Il suo nome in ebraico è Shekinah». L’autrice, suora domenicana, ha così impostato la sua indagine sull’Apocalisse di Giovanni, ultimo libro delle Scritture.
Bujumbura, Burundi. È il pomeriggio del 7 settembre 2014. Due anziane missionarie italiane, Olga Raschietti e Lucia Pulici, vengono trovate orribilmente massacrate nella loro abitazione. La polizia circonda l’edificio per garantirne la sicurezza. Ma in piena notte, anche una terza saveriana, Bernardetta Boggian, viene uccisa. Il fatto, per la sua brutalità e per l’età avanzata delle consacrate, fa il giro del mondo, suscitando orrore. Nel giro di poche ore la polizia burundese arresta un malato psichiatrico, che confessa d’aver ucciso le religiose per dissidi legati a un terreno. In pochi gli credono ma il clamore internazionale si placa.
Viviamo un’epoca paradossale, perché a fronte della moltiplicazione dei mezzi di comunicazione rischiamo di comprenderci sempre di meno; a fronte della crescita dei problemi, operiamo un impoverimento del linguaggio. C’era un patto tra le parole e le cose, tra i verba e le res, che sembra essersi rotto, per cui le parole «scelgono una sorta di sciagurata autonomia rispetto alle cose». Di qui il «bisogno di una vera e propria ecologia linguistica». Dionigi ripercorre i passaggi che hanno portato al fraintendimento di parole che ritenevamo uniche e inalterabili.
E se possedessimo il mondo intero e non avessimo il ridere, quanto saremmo poveri (... modificato secondo Paolo e Lutero). E che patetici se non potessimo ridere di noi stessi. Io spero che Orazio possa suscitare un sorriso in Albio e anche in voi, cari lettori e lettrici. Per me ha funzionato. Questa poesia mi ha accompagnato – anch’io sono un poeta paffuto – da molto, molto tempo.
Il risultato logico del fascismo è «un’estetizzazione della vita politica». Questa è la tesi centrale del famoso saggio di Walter Benjamin L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935). Benjamin considerava logica l’estetizzazione della politica perché vedeva il fascismo come un tentativo di mobilitare il pubblico in modo che potesse esprimere il desiderio di una società diversa, di un «cambiamento nei rapporti di proprietà», pur lasciandoli intatti. Quando si vuole un’espressione priva di effetti, si ha un’estetica.
Le proteste contro il regime continuano a espandersi in Iran. Tuttavia, le immagini che arrivano in Occidente sono ancora frammentarie e rendono difficile farsi un’idea di che cosa stia realmente accadendo. Se nei primi giorni erano scene di giovani donne che buttavano nei falò i loro veli, ora i video mostrano sempre più frequentemente notti di sangue, come quella vissuta il 2 ottobre dagli studenti e dalle studentesse intrappolati e poi massacrati dalla polizia nella Sharif University, a Teheran, un ateneo di ricerca tecnologica avanzata, fiore all’occhiello dell’Iran. In centinaia, compresi alcuni docenti, sono stati arrestati con la colpa d’aver convocato un’assemblea.
Se è già abbastanza grande il clamore mediatico e la crisi di fiducia che si crea quando vengono resi noti casi di vescovi colpevoli di non aver agito (o non correttamente) nei casi di violenze e abusi da parte di propri chierici o religiosi, si arriva quasi a non credere alla notizia di un vescovo che sia egli stesso pedofilo.
A 112 anni dalla nascita e a 25 dalla morte, avvenuta a Calcutta il 5 settembre 1997, la figura di santa Teresa di Calcutta resta assai popolare in India e non solo tra i cristiani. Madre Teresa, com’è comunemente nota, ha lasciato nel paese dov’era arrivata nel 1929 un vuoto nei tanti che hanno avuto la possibilità d’incontrarla direttamente, ma la sua esperienza e il suo insegnamento restano ancora vivi negli istituti femminili e maschili da lei voluti e nelle numerose iniziative di carattere caritativo.
Una nuova Costituzione verrà scritta, perché in tal senso si è espresso a grande maggioranza il popolo del Cile al plebiscito nazionale del 25 ottobre 2020 (cf. Regno-att. 20,2020,637), ma a tutt’oggi ancora non è chiaro come si procederà per redigerla, dopo la netta sconfitta del «sì» al referendum che il 4 settembre scorso ha sottoposto al giudizio popolare la nuova Carta.
«Futuro». È la chiave sotto la quale Alberto Orioli è riuscito a raccogliere le questioni poste oggi dal potere dei mercati e delle tecniche in un mondo che sta sperimentando il tempo della post-globalizzazione. La «grande ansia del futuro» è quella cui il mercato e la tecnologia cercano di rispondere: lo si vede bene nell’ambito finanziario, dove dominano le «aspettative», talvolta esito della costruzione di una vera e propria «realtà parallela». Le aspettative sono al centro dell’azione delle Big Tech: «un’entità difficilmente catturabile dalle regole», che «tutto sa di noi» e che attraverso la gestione delle informazioni mira a «creare e anticipare i nuovi mercati dei comportamenti futuri». Le aspettative sono anche ciò che sta trasformando la guerra in corso in Ucraina nel tragico «laboratorio delle nuove tendenze dei mercati e del mondo in cerca di un nuovo equilibrio, finita la fase dell’entusiasmo verso la globalizzazione». Ma con il rischio che «il mondo si rimpicciolisca»: la discriminante principale pare infatti essere la paura, sia nelle scelte dell’homo oeconomicus, sia in quelle delle imprese, sia in quelle politiche. Ciò che sta venendo a mancare, purtroppo, «è la più importante delle infrastrutture economiche: la fiducia».