Il coraggio dell’imprudenza. Che l’intervista di papa Francesco al Corriere della sera del 3 maggio scorso avrebbe corso il rischio di interpretazioni strumentali, soprattutto da parte dei politici nostrani, fino al punto da essere rubricata come la presa di posizione di un «leader politico», era abbastanza prevedibile.
Biagio De Giovanni è filosofo e politico. Accademico dei Lincei e docente emerito di Filosofia politica presso l’Università L’Orientale di Napoli, di cui è stato rettore dal 1987 al 1989, dal 1981 al 1986 ha diretto Il Centauro. Rivista di filosofia e teoria politica. Nel 1989 e nel 1994 è eletto al Parlamento europeo prima nelle file del Partito comunista (PCI) e poi del Partito democratico della sinistra. Affrontiamo con lui i recenti eventi di guerra in Ucraina e di come essi si stanno interpretando in Europa, segnatamente in Italia.
Con la brutale guerra d’aggressione all’Ucraina, che il presidente russo ha promosso personalmente senza alcuna causa esterna, non solo è stata violata l’integrità territoriale di una nazione sovrana, ma allo stesso tempo è stato condotto un attacco all’ordine dei valori dell’Europa e delle Nazioni Unite. Il popolo ucraino sta resistendo alla superiorità russa con grande determinazione e abnegazione, ma anche grazie all’incontenibile coraggio della disperazione.
Se gli ucraini fossero privi di capacità di decisioni autonome, allora è presumibile che tra la resa e la resistenza gli ucraini avrebbero scelto la prima opzione. Invece hanno deciso di resistere perché semplicemente era l’unica condizione che avrebbe potuto garantire l’esistenza del loro stato. Che poi è la condizione necessaria per avere una storia o almeno essere parte in modo autonomo di una storia. Resistere è dunque una espressione di lealtà alle proprie istituzioni.
In oltre due mesi dall’inizio dell’invasione russa, la Chiesa ortodossa russa non ha perso una sola occasione per affermare che il Vaticano è al suo fianco nella situazione in Ucraina. Mentre la diplomazia vaticana e papa Francesco cercano di scegliere le parole e i simboli per affrontare una guerra che sembrano interpretare come il risultato di un conflitto geopolitico di interessi tra Russia e Stati Uniti, il Patriarcato di Mosca è rimasto fermo nella sua determinazione a presentare il Vaticano come alleato e ignorare le evidenze del contrario.
La vicenda della Chiesa cammina nella storia, assumendo in sé i caratteri propri delle culture cui si comunica. Ne è un ambito esemplare la liturgia, insieme radicata nel passato e attenta al presente dei popoli, capace d’adattarsi, in un fluire vivo e continuo, alle necessità dell’annuncio evangelico. Se dunque atteggiamenti fissisti sono inopportuni per la ricerca della conoscenza effettiva delle vicende storiche, tutto ci spinge viceversa a essere quanto mai prudenti nell’esame e nella valutazione delle fonti.
Un annuncio atteso, eppure insperato: se le condizioni di salute glielo permetteranno, il prossimo luglio papa Francesco visiterà di nuovo il continente africano. E lo farà con due tappe che equivalgono a due sfide di prim’ordine. Il Sud Sudan, dove vorrà verificare a che punto sia il tanto atteso processo di pace, che i due contendenti Salva Kiir e Riek Machar si erano impegnati a perseguire nella loro storica visita in Vaticano nel 2019, davanti a quello storico gesto del papa che s’inginocchiava a baciare i piedi dei due contendenti.
Il Libano va al voto il 15 maggio. Dalle urne uscirà un Parlamento che dovrà affrontare una serie di nodi per portare fuori il paese dei cedri dalle secche di una profonda crisi che dura ormai dal 2019. La piccola nazione mediorientale (la sua superficie è la metà di quella della Lombardia) vive una difficile situazione, soprattutto in campo economico.
Pochi mesi dopo l’elezione a pontefice, papa Francesco prese una decisione che ha costituito una delle principali innovazioni del suo pontificato (cf. Regno-att. 20,2013,627): la convocazione (8 ottobre 2013) della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi (che per statuto prevede una «lmateria da trattare [che] pur riguardando il bene della Chiesa universale, esige una rapida definizione»), da celebrarsi l’anno successivo sul tema «Le sfide pastorali della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione».
Lo scorso 5 maggio si è tenuto a Roma, presso la Camera dei deputati, l’incontro «L’uguale libertà religiosa in Italia», al quale hanno partecipato i rappresentanti di quasi tutte le comunità di fede presenti nel nostro paese.
Nathan, un giovane scrittore interpretato da Xavier Dolan nel film Illusioni perdute di Xavier Giannoli e ispirato all’omonima opera di Honoré de Balzac, si lamenta col proprio editore che poco prima del lancio del suo nuovo romanzo manca la polemica. «Come faccio senza polemica?» si chiedeva, infatti, Nathan, privato di quella insalubre miccia per il lancio.
Sulla Chiesa fiorentina dei decenni centrali del Novecento molto è stato scritto, sottolineandone la ricchezza e la peculiarità. Si pensi soltanto alle figure di La Pira, don Milani e molti altri. I dibattiti, i consensi e i conflitti suscitati in quelle occasioni riflettevano le tensioni, le difficoltà di tutta la Chiesa italiana.
Nel cristianesimo, che ha avuto un ruolo importante nella strutturazione del pensiero e del costume occidentali, la sessualità è stata vista come qualcosa da controllare e, in certe epoche, in modo anche ossessivo. Ancora oggi, nonostante in questi ultimi tempi siano stati stampati autorevoli saggi sulla sessualità e l’etica sessuale, rimane una situazione di non chiarezza, non solo in ambito cattolico.
L’Ucraina sono loro, Viktoria e Yuri, mentre l’attenzione del mondo sembra concentrarsi solo su un uomo, Volodymyr Zelensky, il comico divenuto presidente. Scavo parla anche di lui, così come ripercorre le dichiarazioni, spesso smentite dai fatti, di Vladimir Putin. Ricorda le ferite del Donbass e alcune delle strutture civili colpite dai missili russi. E, a ragion veduta, ci apre a qualche scenario terribile quanto realistico, anche a diverse settimane dalla pubblicazione del libro.
Che cosa c’è di più inafferrabile dell’identità italiana? Refrattaria a ogni facile classificazione essa sembra condividere con la nazione lo stesso destino: essere un’incompiuta. Nord e Sud, élite e popolo, centro e periferia: non esiste una sola Italia, ma molte e diverse e, a volte, (apparentemente) inconciliabili. Eppure c’è qualcosa che unisce: il pallone.
La teologia di Sartori, fuor di metafora, non solo si mostra sostanziosa e profetica in rapporto al momento storico in cui è stata prodotta, ma anche pregna di eredità preziose che in più di un caso urgono a una pertinente esplicazione e declinazione. Soprattutto oggi, in relazione al soffio di novità e alle linee maestre d’impegno per il discernimento, la purificazione e la riforma della Chiesa che si sprigionano dal ministero di papa Francesco.
Quest’opera si propone l’ambizioso obiettivo di tracciare un affresco d’insieme sulla vita economica dei cristiani dei primi secoli, nell’arco di tempo che va dalla predicazione di Gesù – ricostruita essenzialmente sulla base dei Vangeli e degli altri scritti canonici – fino alla fine del III secolo.
Solo chi lavora nel campo editoriale può immaginare la miriade di motivi per i quali gli atti di un convegno – celebrato nel 2016 – siano usciti (5) anni dopo. Eppure a sfogliare i testi delle relazioni (in lingua originale) si trovano riflessioni tutt’altro che superate. Si parla poi di come sono sorte ed evolute queste circa 700 «nuove forme di vita consacrata» a cavallo del Concilio, come risposta a un periodo di crisi della vita ecclesiale.
Il Sinodo sulla sinodalità voluto da papa Francesco, variamente entrato nel vivo a seconda dei contesti nazionali soprattutto durante quest’anno, è sin dall’accostamento dei due vocaboli – sinodo e sinodalità – un invito a pensare un evento e la forma di cui è portatore.
Questo libro (rubo l’immagine a Pasolini) è nato due volte. La prima, più di vent’anni fa, quando Marco Belpoliti mi invitò a scriverlo per la «Biblioteca degli scrittori» di Bruno Mondadori. Oggi, su invito di Gianluca Mori, mentre si celebrano i cent’anni della nascita dello scrittore.
L'a. è uno dei più prestigiosi esponenti del campo di studi che attraversa filosofia, teologia e neuroscienze, e tra gli studiosi consapevoli delle possibili derive autoritarie dei nuovi saperi, «in particolare su argomenti inerenti la robotica, la bioinformatica, le nanotecnologie, la neurofarmacologia ecc.». È necessario avere «una comprensione generale della mente e del mondo in cui viviamo» come «impegno etico (…) per impedire che le decisioni vitali (…) vengano lasciate nelle mani di pochi individui a cui è stato attribuito il titolo di “esperto” o “scienziato”».
La monografia si compone di 3 sezioni fondamentali: le Vite antiche; l’immagine del santo nella visione dei maestri generali; il caso del San Domenico in Soriano. A queste si aggiungono saggi sulla tavola di «San Domenico a tavola con i suoi frati» nella chiesa di Santa Maria della Mascarella a Bologna; su Eckhart, Tauler e Domenico; sull’arte come strumento di devozione. Notevole il corredo iconografico, accompagnato da puntuali didascalie.
Ci si può accostare a questo testo come a un romanzo storico, perché parla di un viaggio cominciato un secolo fa e non ancora concluso. A questo lettore consigliamo un notes per appuntarsi i paesi, le città e le persone – ne abbiamo contati almeno 600 – che l’autore ha incontrato, frequentato e intervistato.
Il 13 marzo si è insediato alla presidenza della Repubblica cilena Gabriel Boric, giovane leader eletto per l’alleanza politica di sinistra Approvo dignità (i cui partiti principali sono il Fronte ampio e il Partito comunista del Cile). Contemporaneamente la Chiesa cattolica cilena fatica a uscire dalla crisi degli abusi e delle violenze sui minori compiuti dal clero, che l’hanno relegata all’ultimo posto in America Latina nella classifica sulla fiducia stilata da Latinobarometro. Ne abbiamo parlato con p. Jorge Costadoat, gesuita già docente di Trinitaria e Cristologia alla Facoltà di teologia della Pontificia università cattolica del Cile e attualmente ricercatore presso il Centro teologico Manuel Larraín.
La questione agraria e i diritti delle popolazioni indigene sono da alcuni mesi al centro delle preoccupazioni della Chiesa paraguaiana. La Conferenza episcopale ha infatti richiamato più volte come sia «urgente un progetto per promuovere la riforma agraria», esortando «tutti i settori sociali a un vero dialogo sui problemi legati al possesso e alla proprietà della terra», in un paese dove l’85% delle terre coltivabili è nelle mani del 2% della popolazione.
Se un gruppo di monache di clausura denuncia un arcivescovo, un vescovo e un sacerdote per «violenza di genere», la mente corre subito alla sfera dei reati sessuali. Ma di ben altro tenore è la vicenda in corso nell’arcidiocesi di Salta, nel nord-ovest dell’Argentina, ai piedi della cordigliera delle Ande.
Sono le «differenze» le protagoniste del discorso sulle donne nella Chiesa che questo studio del mese delinea attraverso cinque diversi punti di vista (cf. la nota-asterisco a p. 330). Ma il suo orizzonte è costituito dall’esercizio della sinodalità e dallo specifico percorso sinodale intrapreso dalla Chiesa su impulso di papa Francesco. Chiedersi «quale impianto antropologico si può elaborare, desiderare, ipotizzare per una Chiesa sinodale dove le differenze sono ascoltate e liberate» e «lo Spirito soffia senza essere piegato a conferma di decisioni prese altrove» è infatti ciò che orienta il contributo di Lucia Vantini, che prende come falsariga un testo di Virginia Woolf considerato un classico del femminismo. Mentre fra le conseguenze prospettate da Simona Segoloni Ruta qualora si guardi a Maria di Nazaret come modello di discepolo, e su questa linea si ripensi la maternità di Maria nei confronti della Chiesa, si trova il dare forma «a una Chiesa realmente sinodale in cui l’esperienza credente di ciascuno e ciascuna possa giocare un ruolo nel decidere e nel discernere».
Alcune emergenze legate a immagini problematiche dell’universo maschile sono sotto gli occhi di tutti. L’incremento dei maltrattamenti delle donne, fino all’estrema sorte del femminicidio, suona allarmante e va chiaramente ricondotto a un modo malato – tossico, si dice con molta efficacia! – dell’autocomprensione della maschilità.
Con qualche approfondimento sul tema ho imparato che omosessuali e trans non si diventa, non si sceglie d’esserlo. Perché mai una persona dovrebbe fare una scelta tanto complicata, che nella nostra società e nella nostra Chiesa comporta così tanta sofferenza, stigmi, emarginazione, derisioni?
In quanto comunità di donne e di uomini, la Chiesa cattolica è da sempre attraversata dalle differenze, ma essa ancora si presenta inesperta riguardo il significato e le conseguenze che queste comportano per la libertà e la fioritura delle nostre storie singolari.
Ci fa bene, e ripulisce lo sguardo appannato che rivolgiamo a questo tema, ripartire dall’affermazione che le donne sono Chiesa e lo sono sempre state. Sono state le prime testimoni della risurrezione di Gesù, sono state discepole, apostole, diacone, evangelizzatrici, semplici fedeli che hanno dato la vita per la loro fede.