Intervista a mons. S. Hocevar
Sarah Numico
Serbia sospesa. Serbia che guarda all’Unione Europea, ma che ha un legame strettissimo con l’Oriente del continente e la Russia in particolare. Serbia che si lecca ancora le ferite della guerra, in una regione dove la pace c’è, ma è fragile, perché gli Accordi di Dayton hanno ridisegnato le carte geografiche, ma la storia, le religioni e le etnie hanno bisogno di più tempo per imparare a convivere e trasformare la loro convivenza in ricchezza sociale, culturale, economica e politica. Mentre il Kosovo resta una ferita aperta, alla piccola Repubblica serba tocca nel 2015 la presidenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). L’impegno per una mediazione pacifica in Ucraina è la priorità in agenda. E nel cuore dei Balcani, in Serbia, la comunità cattolica è composta da ungheresi, croati, albanesi, bulgari, rumeni e ucraini, minoranza nella minoranza. Arcivescovo di Belgrado è Stanislav Hočevar, salesiano, classe 1945. Determinato, vicino al suo popolo, lancia un appello perché la Chiesa cattolica di questa regione non sia lasciata sola.
Studio del mese - Inserto, 15/03/2015, pag. 207