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Moralia Dialoghi

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Nel tirare le fila di questo «Dialoghi» dedicato ai giovani, ho ripensato anche alla mia esperienza personale, caratterizzata – come per tutti – da momenti di enorme fatica, di fallimento, d’impotenza, di scoraggiamento, ma anche di speranza, di possibilità, di entusiasmi, di condivisione… E ritengo che «discrezione», nella sua accezione positiva, possa essere la parola d’ordine con cui potremmo sia seguire i lavori del Sinodo, sia impostare l’impegno – di riflessione e pratico, sul campo – che ne seguirà.

 

Qualche tempo fa lessi un saggio di Pierre Zaoui, L’arte di scomparire. Vivere con discrezione (link), in cui la «discrezione» è rivisitata in chiave positiva; pur definita anche «sottrazione», non si traduce in una perdita negativa. Al contrario: diventa un’esperienza di arricchimento, in cui si gode della gioia di osservare senza essere osservati, in cui si permette al mondo di esistere e si riconosce che esso ruota anche senza di noi.

«Il piacere baudelairiano di perdersi tra la folla della metropoli; la gioia profonda e silenziosa di osservare, inosservati, il proprio amato mentre dorme o i propri bambini mentre giocano tranquilli; il sollievo di poter placare finalmente l’ansia di mostrarsi. Lontano dalle vetrine sfolgoranti, dal calcolo prudente, dalla paura o dal desiderio di essere notati, l’anima discreta offre al mondo una presenza giusta, misurata» (Introduzione).

Nel tirare le fila di questo «Dialoghi» dedicato ai giovani, ho ripensato anche alla mia esperienza personale, caratterizzata – come per tutti – da momenti di enorme fatica, di fallimento, d’impotenza, di scoraggiamento, ma anche di speranza, di possibilità, di entusiasmi, di condivisione… E ritengo che «discrezione», nella sua accezione positiva, possa essere la parola d’ordine con cui potremmo sia seguire i lavori del Sinodo, sia impostare l’impegno – di riflessione e pratico, sul campo – che ne seguirà.

Non intendo la discrezione come un tratto psicologico del carattere o una semplice questione di compostezza, di riserbo, di «buone maniere», ma come uno stile profondo, di atteggiamento morale e teologico che coinvolge (dovrebbe coinvolgere) integralmente l’essere umano, anche nelle sue relazioni sociali e comunitarie.

La discrezione come «tempo breve»

La prima specificità della discrezione risiede nel suo essere «tempo breve», capace di bastare a sé stesso. Tempo quasi effimero, connotato dalla gioia di essere tale.

Come ricordavo in un post di un anno fa circa, si sente parlare spesso di «genitori spazzaneve», che eliminano dalla strada dei propri figli qualsiasi ostacolo possa presentarsi, di modo che non vivano nessun fallimento e nulla possa incrinare l’autostima.

Mi pare di poter affermare che il Sinodo ci inviti a non essere «Chiesa spazzaneve» nei confronti dei nostri giovani. La nostra relazione con i giovani non deve produrre «pupazzi».

La nostra riflessione teologico-morale e la nostra azione pastorale devono mirare a generare persone capace di assumersi il loro proprio cammino, in libertà, responsabilità e consapevolezza. Ecco quindi che la discrezione come «tempo breve» ci chiede anche la forza e il coraggio – ma anche l’umiltà – di fare ogni tanto un passo indietro, per lasciare quello spazio (che non va occupato, ma preparato) capace di mettere in moto «processi possibili» (cf. Evangelii gaudium, n. 224s).

La discrezione come «sguardo d’insieme»

La discrezione, in quanto capacità di fare un passo indietro, amplia la prospettiva, allargando orizzonti in cui il mondo appare molteplice, decentrato. È quindi la possibilità di mantenere la capacità «di costruire visioni d’insieme», come ci ricordava mons. Giuliodori nella sua intervista, tanto urgenti e tanto necessarie nel nostro contesto frammentato e frenetico.

La discrezione come «rinuncia alla volontà di (onni)potenza»

Il «passo indietro», la discrezione, il passare inosservati, quasi trasparenti, apre a un’esperienza nuova: l’abbandono dei fantasmi di (onni)potenza. Non si è indispensabili, non si è responsabili di tutti e di ciascuno. Piuttosto: si è corresponsabili.

La rinuncia alla «volontà di (onni)potenza» implica che si debba lasciare anche la pretesa d’imporre dei modelli prestabiliti, fissi, «chiari e distinti». Il prof. Garelli ci ha mostrato come la «condizione credente» dei giovani sia assai variegata, fluida, per certi versi «nuova».

E in quanto tale richiede un approccio che sappia tenere conto delle sue caratteristiche e aprire la strada all’ascolto.

La discrezione come «ascolto»

Per non ascoltare, basta non smettere mai di parlare… E la discrezione è quindi anche la capacità di tacere. Tacere per ascoltare realmente i giovani, nel loro vivere gaudium et spes, luctus et angor.

Ma anche per riformulare linguaggi che a loro appaiono vuoti, insignificanti, lontani – dato che è emerso in praticamente tutti i contributi di questo «Dialoghi». Tacere è anche lasciare spazio per «riconoscere la voce dello Spirito, tra le tante che nel mondo si fanno udire, e a decidere di seguirla», come indicava p. Costa.

La discrezione è quindi possibilità per l’esercizio di coscienza. La discrezione come ascolto è, di conseguenza, anche spazio per porre attenzione alle circostanze.

La discrezione come «attenzione alle circostanze»

Così intesa come sin qui elencato, la discrezione è quanto ci consente di rispondere sinceramente alla vocazione. Siamo «chiamati alla (e dalla) realtà», secondo l’espressione e la riflessione della dr. Lazzarini.

Tuttavia non dobbiamo dimenticare che le circostanze, la realtà non investono soltanto i giovani, ma anche noi adulti. In gioco vi è la vocazione di noi tutti, non solo dei giovani.

La discrezione come «amore»

La discrezione, infine, non corrisponde a un «vedere senza essere visti» (non è un pedinamento, che potrebbe celare ancora forme di manipolazione), ma di vedere senza sovrastare, senza togliere la libertà e la responsabilità all’altro. La discrezione potrebbe anche essere quindi intesa come la pazienza dell’amore nei cammini di accompagnamento che ci ha indicato (link) la prof. Bichi e che con forza ci vengono richiesti.

Credo che la discrezione oggi – nella società della sovra-esposizione delle immagini e del presenzialismo sui social – ci possa aiutare a prediligere la profonda identità (personale, comunitaria, ecclesiale…) al posto della visibilità; possa, pertanto, promuovere una predominanza l’essere sull’apparire. E così intesa ci possa aiutare anche a superare forme più o meno velate di individualismo che tutti viviamo.

La discrezione ci aiuterebbe a comprendere che non siamo chiamati a una «trasmissione della fede», quanto piuttosto a una «generazione alla fede»: non si tratta di consegnare una dottrina, ma di suscitare e accompagnare la vita. E in questa «generazione alla fede» siamo allo stesso tempo genitori e figli (ponendo attenzione a non diventare adultescenti o giovanilistici!) con e dei nostri giovani.

Concludo – a nome della redazione di Moralia – ringraziando gli autori che ci hanno offerto il loro contributo e augurando «tempo di discrezione» a coloro che parteciperanno attivamente, a Roma, ai lavori del Sinodo e a tutti coloro che, nelle forme e nei tempi più svariati, condivideranno e questa occasione di confronto, attivandosi per ricucire, rinnovare, implementare l’alleanza intergenerazionale e indicare strade percorribili di corresponsabilità per l’annuncio del Vangelo.

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