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Moralia Dialoghi

Aspettando l'enciclica sull'ecologia

Attese sull'enciclica

Che significa "aspettare" un'enciclica, attendere un documento annunciato con tanto anticipo, su un tema che mai ha ricevuto tanta attenzione dal Magistero pontificio? Innanzitutto, certamente, vuol dire interrogarsi su come potrà essere affrontato un tema che raccoglie gioie e speranze, tristezze e angosce di tanta parte dell’umanità. E anche, d’altra parte, guardare alla densità etica e teologica di un ambito in cui ruotano questioni di vita o di morte.

Dare voce ad attese può avere significati diversi, pur tra loro collegati... Molti testi in questo "Dialogo" – quelli di Costa e Bignami, ma anche l’articolata analisi di Guenzi - indagano alcuni temi di cui ci si attende la presenza e l'approfondimento nel testo, perché già presenti nel magistero di papa Francesco.

I contributi di Benanti e Mascia, d'altra parte, segnalano aspettative sulla considerazione del rapporto tra etica e questioni ambientali. In questa seconda direzione guarda anche questo intervento introduttivo, che prova a indicare alcuni nodi, per raccoglierli in uno sguardo d'assieme.

1. Mutamento climatico

Più volte la S.Sede ha espresso la sua preoccupazione per il riscaldamento globale in atto: al forte intervento del card. Pietro Parolin al Vertice ONU di New York nel settembre 2014 ha fatto seguito il messaggio dello stesso Francesco alla Conferenza delle Parti di Lima del dicembre 2014.

Il tema è centrale: da esso dipendono molte altre questioni legate all'ambiente (acqua, cibo, abitabilità di aree del pianeta...). In esso l'intera famiglia umana si trova coinvolta, nel duplice ruolo di vittima (attuale o potenziale) e di responsabile (pur in modo differenziato). La prima attesa, dunque, è per una potente parola di sapienza: c’è da richiamare la comunità internazionale alla sua "responsabilità di proteggere", all'assunzione di risposte efficaci, condivise e vincolanti, per evitare gli scenari drammatici che la comunità scientifica ci prospetta.

L'abbiamo scritto molte volte: il V rapporto IPCC disegna un futuro che – in mancanza di interventi incisivi – è davvero inquietante per il pianeta terra e per l'umanità. Inquietante soprattutto – lo sa bene Francesco – per i poveri, primi a pagare per un mutamento incontrollato: il riscaldamento globale rivela lo stretto rapporto tra custodia del creato e giustizia, centrale nella dottrina sociale della Chiesa. Tanti i problemi, locali e globali, da cogliere in uno sguardo unitario, a disegnare una biociviltà sostenibile, a superare un modello di sviluppo intessuto di cultura dello scarto.

2. Teologia della creazione

Se il primo nodo è etico-politico, confidiamo pure che l'enciclica offra spunti e prospettive per ritrovare quel radicamento nella creazione che il sentire dell'Occidente sembra aver smarrito. Non siamo più capaci di intendere il linguaggio di sora madre terra, che Francesco d'Assisi – come tanti altri santi e sante – ha articolato con tanta forza. Così la nostra umanità diventa scarna e  fragile, e usiamo la terra senza coglierne lo splendore, quasi ne fossimo i padroni, invece che gli ospiti.

Eppure la tradizione cristiana offre una grande ricchezza di riferimenti in tal senso; la Scrittura canta la bellezza del creato, testimoniando come ogni realtà – gigli, passeri... – sia preziosa per il Signore. In orizzonte ecumenico, possiamo raccogliere la testimonianza della Chiesa ortodossa, che apre il proprio anno liturgico con una giornata per la custodia del creato; possiamo ricordare l'acuta riflessione di tanta teologia protestante (si pensi a J. Moltmann o a N. Habel).

Il problema è come rendere vitali tali risorse in un contesto segnato dal discorso scientifico: come far risuonare la potenza della confessione del Creatore senza apparire lontani da un tempo che parla altri linguaggi? Come ritrovare uno sguardo che contempli il mondo come creazione preziosa, ma che valorizzi pure l’altro sguardo – quello della scienza e della tecnica? Abbiamo bisogno di parole forti, di indicazioni significative per la ricerca in tali direzioni.

3. Tra pratiche e teologia: lo spazio dell'etica

Tra prassi socio-politica e approfondimento teologico, il vasto spazio dell’etica: chiamata a lasciarsi ispirare dalla densa ricchezza del secondo, essa dovrà pure argomentare in forme che interpellino chi non lo condivide. Lo ricordava lo stesso Francesco fin dalle prime battute del suo ministero: “La vocazione del custodire (…) non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato”. Non si tratta certo di rinunciare alla specificità della parola di fede, ma di declinarla per accompagnare il cammino dell’umanità, nei suoi sforzi per custodire la terra, nelle sue lotte contro chi degrada l’ambiente, casa di tutti.

L’ecologia, scienza della casa, invita, del resto, a un discorso polivalente, che attraversa i diversi livelli in cui si articola lo spazio dell’etica. C’è da ripensare la dimensione antropologica: un umano la cui relazione solidale con altri si radichi in un positivo rapporto con l’ambiente. Ci sono da individuare alcuni imperativi, per trasformare in energie vitali e agire condiviso – nel segno della giustizia e della custodia del futuro – le preoccupazioni di tanti. Ci sono, ancora, da elaborare categorie e linee d’approccio, per affrontare le tante questioni conflittuali che ruotano attorno ai beni ambientali (tra i quali fondamentale è anche la stabilità climatica).

Attendere un’enciclica è lavorare su fronti diversi, per parole e pratiche all’altezza della sfida che essa disegnerà per la riflessione morale, così come per l’agire concreto. In questa direzione vanno anche i contributi presenti in questo Dialogo, stimoli per un dibattito che ne costituisce il vero scopo.

Ecologia umana: il viaggio di un'idea

«I papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all'ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell'ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell'uomo»: con queste parole papa Francesco, nell'udienza generale del 6 giugno 2013, fa propria una riflessione presente nell'insegnamento dei suoi predecessori.

Il termine “ecologia umana”, e un primo abbozzo del suo significato, sono proposti nell'enciclica di Giovanni Paolo II Centesimus annus (1.5.1991) estendendo il paradigma ecologico oltre alla questione ambientale, per porre l’attenzione al rispetto, tipico dell’uomo come essere «donato a se stesso da Dio», della propria «struttura naturale e morale, di cui è stato dotato» (n. 38).

L’autorevole documento auspica anche una corrispettiva “ecologia sociale” all’interno delle molteplici attività umane. Non diversamente Benedetto XVI, nel discorso al Parlamento federale di Berlino (22.9.2011), allarga il senso dell’ecologia alla tutela della struttura, degli equilibri e delle relazioni che definiscono la specificità umana, utilizzando il lemma “ecologia dell’uomo”: «anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé».

1. La “ripresa” di papa Francesco

Francesco innesta su questi insegnamenti una ripresa creativa. Mentre in Giovanni Paolo II e Benedetto XVI il riferimento al paradigma della lex naturalis sembra accentuare la possibilità di definire un orientamento etico fissato con chiarezza nella struttura dell’essere umano, l’attuale pontefice evidenzia piuttosto le dinamiche storiche tramite le quali l’uomo accede alla coscienza di sé e del peso delle proprie azioni, attraverso la cura delle relazioni originarie (naturali) nelle quali vivere la prossimità umana e comprendersi nello spazio di senso dischiuso dall'intera creazione di Dio.

Il passaggio decisivo consiste nella valorizzazione dell’identità e della relazione come tratti caratterizzanti la dignità della persona (cf. il Discorso al Parlamento europeo, Strasburgo, 25.11.2014). Un approccio che permette di illuminare anche un particolare modo di comprendere la stessa questione ambientale. Se l’ambito scientifico ecologico pone attenzione ai legami fattuali ed empirici, Francesco intende includere il campo dell’ambiente in quei “legami di senso” che devono essere riconosciuti e rispettati nelle molteplici dimensioni dell’azione umana.

Il termine “ecologia”, seguendo l’insegnamento del pontefice, lascia intendere la possibilità per il soggetto umano di riconoscere un senso (logos) all'“ambiente”, circoscrivendo spazi e relazioni che lo definiscono non solo per sé, ma in sé. Si tratta di comprendere il proprio “abitare la terra”, per “custodire” e “coltivare”, cioè rendere evidenti e lasciar esprimere le potenzialità del proprio essere e quelle della stessa creazione, con uno sguardo lucido e consapevole su tutto ciò che può costituire una minaccia per sé, per gli altri e per il mondo.

L’immagine della casa, contenuta nel lemma eco-logia, pertanto, non si riferisce unicamente alla fissazione di uno spazio (habitat) assegnato a ciascun vivente, alle forme di adattamento e alle interazioni tra gli esseri. Richiama la capacità propria dell’essere umano di elaborare una percezione originale del mondo come realtà «in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”» (Francesco, In occasione della veglia di preghiera per la pace, 7.9.2013). Si rimanda, pertanto, a una modalità di fare esperienza del reale che si radica su un fondo antropologico. E per questo non può far a meno di riferirsi all'identità del soggetto umano, nell'interazione complessa con tutto ciò che definisce (ambienta) il proprio vivere. Senza dimenticare che tale operazione inizia da uno sguardo attento che l’uomo è chiamato a rivolgere su di sé per definire la qualità delle proprie emozioni e dei pensieri che danno impulso alle azioni.

Su questo insiste papa Francesco, individuando come elemento imprescindibile per l’ecologia umana, la ripresa riflessiva dei motivi che orientano l’agire: «custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive» (Francesco, Omelia per la solennità di san Giuseppe, 19.3.2013).

Tale movimento introspettivo consente alla persona di scoprirsi già definita e ambientata, prima di ogni regola prodotta per organizzare il vivere sociale, dalla presenza dell’altro, che “altera” la compattezza egemonica del proprio io. Di riconoscersi anticipata da una relazione, quella con la propria vita, che si origina e prospera a partire da “altri”: dai legami umani e dal complesso sistema di interazioni con gli altri viventi. Per comprendersi circoscritta (limitata) da precise condizioni ed equilibri della biosfera, che permettono non solo la sopravvivenza di sé e delle altre realtà, ma la progettualità cooperativa tipicamente umana, cioè il compiersi nel tempo della specifica “natura” dell’uomo.

2. Coordinazioni e rimandi: ambiente persona e società

L’accostamento di ambiente, persona e società si rintraccia in ripetuti interventi del pontefice, nei quali si esplicitano i legami di senso che danno una dimensione unificante alla prospettiva ecologica.

Così è della correlazione tra biodiversità e molteplicità delle identità e delle culture umane, nell'integrazione dinamica e arricchimento reciproco delle differenze (cf. Francesco, Udienza generale, 5.6.2013). O ancora del modello olistico, proprio dell’ecologia ambientale, per una ripresa della solidarietà come paradigma della partecipazione all'humanum condiviso, con una specifica attenzione alle persone più fragili e povere, non solo nell'ottica (pur urgente e doverosa) dei bisogni da colmare, ma della loro promozione quali soggetti attivi nei processi sociali, per rivitalizzare la pratica della comunione e contrastare la “globalizzazione dell’indifferenza”. O, infine, dell’organizzazione politica della vita nella prospettiva del contributo partecipativo delle molteplici forze vive della società civile, assumendo un concetto sostantivo di democrazia (cf. Francesco, Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei movimenti popolari, 28.10.2014).

Il paradigma ecologico, inoltre, delinea un’analogia tra i dissesti ambientali e personali o sociali, con i ben noti ritorni, negli interventi del pontefice, alla “cultura dello scarto” e la gestione delle “eccedenze”, nei confronti della quale reagire, al pari delle buone pratiche ecologiche, per riparare le profonde ingiustizie perpetrate alla presente e alla futura generazione. È infine da segnalare l’accostamento del guasto ambientale alla corruzione che degrada il patto di fiducia alla base delle relazioni sociali (cf. Francesco, Discorso alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto penale, 23.10.2014).

«Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà […] Senza la vostra presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno dell’idea»: le parole di Francesco agli esponenti dei movimenti popolari sono da assumere come un ultimo elemento caratterizzante l’ecologia umana. La forza del principio non può prescindere da una profonda aderenza alla realtà. Sia in vista della traduzione operativa, cui allude il pontefice, sia in vista di una migliore intelligenza delle stesse idee, perché interpellino veramente le coscienze. Si rende, pertanto, necessaria un’osmosi continua tra la ricerca del senso e delle motivazioni per vivere e operare insieme e l’interpretazione della realtà per orientare le pratiche sociali. Senza utopismi, con profondo amore e aderenza alla realtà, come ricorda papa Francesco: «L’idea – le elaborazioni concettuali – è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà. L’idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classifi­cano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento» (Evangelii gaudium, n. 232).

Le parole viaggiano, si allontano dai loro inizi, acquistano nuovi campi di impiego, accorpano inediti legami concettuali. A volte si lasciano sottoporre all'usura del tempo. E poi ritornano alla freschezza originaria. Là dove la traccia del senso tende all'evanescenza, in profondità, la vitalità del concetto continua a illuminare la realtà. È questo il viaggio e il destino anche dell’ecologia umana.

Pier Davide Guenzi
Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale
Sezione parallela di Torino
pierdavide.guenzi@unicatt.it

L'ecologia come scienza

L'ecologia come scienza nasce come branca della biologia, nella seconda metà dell’Ottocento, per ampliare progressivamente il proprio ambito d'indagine. Oggi essa comprende le interrelazioni tra l'ambiente, gli organismi viventi e l'uomo e si pone quindi come un ponte fra scienze umane e biologiche.

Questo passaggio dell'ecologia da scienza disciplinare a interdisciplinare si afferma soprattutto nella seconda metà del Novecento. È in tale fase, infatti che – a causa del crescente sviluppo industriale del secondo dopoguerra – s'iniziano a vedere gli effetti sulle persone e sulle comunità dell'immissione di sostanze inquinanti e di sintesi chimiche nell'ambiente, prima a livello locale e poi continentale e globale. La questione ecologica viene, cioè, ad assumere una dimensione più ampia del solo problema dell'inquinamento e dello sfruttamento delle risorse ambientali, per coinvolgere, seppure in misura diversa e differenziata, tutti gli aspetti della vita delle persone e della società.

1. Due svolte

Nel 1972, poi, entra a pieno titolo del dibattito pubblico internazionale con due avvenimenti di risonanza internazionale. Da un lato, infatti, viene pubblicato il famoso rapporto del Club di Roma I limiti dello sviluppo: un messaggio chiaro e preoccupato sull'insostenibilità dei ritmi di crescita e di consumo delle risorse delle società umane. Dall'altro si tiene a Stoccolma la I Conferenza internazionale sull'ambiente umano, che richiama all'attenzione del mondo intero la situazione ecologica planetaria. Da essa prende inoltre avvio il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP), che diverrà il vero motore delle attività ambientale dell'ONU per gli anni a venire.

Gli anni Ottanta segnano un ulteriore passo in avanti nelle direzione del superamento della contrapposizione uomo-natura, anche per le sempre più evidenti interconnessioni tra la questione ambientale e quella sociale, tra diritti umani, sviluppo, povertà e protezione dell'ambiente. Nel 1987 viene pubblicato il rapporto della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo (Our common future / Il futuro di noi tutti) che adotta la riflessione sullo sviluppo sostenibile quale approccio strategico e universale per riconciliare tre dimensioni fondamentali del progresso umano, troppo a lungo considerate separate e in contrasto tra loro: economia, ambiente e società.

In questo periodo anche la riflessione etico-filosofica avvia un profondo ripensamento della tradizionale visione antropocentrica dell'uomo dominatore della natura, per ricercare un più approfondito e corretto rapporto dell'uomo con l'intera creazione. Un importante contributo in questa direzione viene anche dalle Chiese cristiane, come segnalano i temi al centro delle grandi Assemblee ecumeniche europea (Basilea 1989) e mondiale (Seoul 1990) su “giustizia, pace e integrità della creazione”.

2. Gli anni Novanta e oltre

Nel corso degli anni Novanta, anche come risultato della II Conferenza internazionale su ambiente e sviluppo (Rio de Janeiro 1992), alla riflessione teorica sulla sostenibilità dello sviluppo si affianca la progressiva elaborazione di importanti strumenti a livello giuridico, scientifico, politico e culturale. All'adozione di nuove convenzioni giuridiche internazionali su questioni globali come la biodiversità e il cambiamento climatico faranno seguito specifici protocolli attuativi. Tra di essi il più noto è il Protocollo di Kyoto (1997), il primo, e per ora unico, strumento multilaterale globale per fronteggiare il fenomeno del riscaldamento globale. A livello politico ed economico, poi, si affermano approcci integrati e nuove pratiche, che coinvolgono tutti i livelli di governo e tutti i soggetti attivi di una comunità, per trasformare le attuali modalità di produzione e consumo in direzione di un'economia verde a basse emissioni.

Sul versante scientifico, grazie a una sempre più puntuale capacità di raccolta e di elaborazione di una mole crescente di dati ambientali, si sviluppa quella che viene oggi definita la scienza della sostenibilità. I rapporti periodici dell'IPCC, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (il V è stato pubblicato nel 2014), così come il Millennium Ecosystem Assessment e i suoi aggiornamenti rappresentano i più autorevoli e completi resoconti dello stato del pianeta a livello globale.

Il 21° secolo, infine, si avvia con la crescente consapevolezza della rottura di alcuni equilibri ecologici globali. È in particolare il cambiamento climatico il punto focale della grande emergenza planetaria con cui le nostre società si trovano, e si troveranno sempre di più nei prossimi decenni, a confrontarsi. Si tratta, tra l'altro, di un fenomeno “moltiplicatore di minacce”, che tende ad accelerare e ampliare i processi di degrado e di vulnerabilità sociale, economica e ambientale, alla scala locale come a quella globale.

3. Ripensare il bene comune

In questa prospettiva è la stessa ricerca del bene comune – centrale per la dottrina sociale della Chiesa – che viene ad assumere un orizzonte nuovo. Esso, infatti, si rivela intimamente correlato con una più approfondita comprensione delle interrelazioni tra i sistemi socio-economici e quelli naturali, del loro valore etico così come del loro valore economico e sociale. L’ecologia naturale e l’ecologia umana, in altre parole, impongono una lettura unitaria delle crisi economiche, alimentari, sociali e ambientali che caratterizzano questo nostro tempo e “obbligano a riprogettare il comune cammino degli uomini”. È questo un presupposto indifferibile per elaborare risposte individuali e collettive in grado di ripensare in profondità tanto i rapporti tra l'uomo e l'ambiente, quanto i legami che uniscono le persone tra loro: i legami di solidarietà in un'ottica di giustizia ed equità planetaria.

 

Matteo Mascia
Coordinatore del progetto Etica e politiche ambientali
Fondazione Lanza
matteo.mascia@fondazionelanza.it

Francesco: una prospettiva ecologica per pensare la giustizia

«Il “coltivare e custodire” non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani» (Udienza generale, 5.6.2013). Se Francesco parla di ecologia quindi non lo fa in senso strettamente ambientalista, ma neanche a prescindere dall’ambiente.

La sua prospettiva coniuga l’attenzione alle relazioni umane con la considerazione e il rispetto del contesto dove queste si svolgono. Una prospettiva di “ecologia umana”, che articola quindi ambiente naturale, persone, comunità, popolazioni; si preoccupa degli spazi vitali in cui possano fiorire relazioni sociali giuste e cammini di sviluppo umano: è un modo di vivere il mondo – una spiritualità incarnata –, che genera vita e stili di vita e un indicatore di responsabilità umana e sociale. L’ecologia è così un paradigma di fondo con cui pensare oggi la giustizia.

Un ambiente corrotto

«L’inequità è la radice dei mali sociali». (Evangelii gaudium [EG], n. 202). In questo senso, ciò che innanzitutto minaccia l’ecologia umana è quella che il papa ha in più occasioni nominato come “cultura dello scarto”. Egli ricorre – è interessante notarlo – a un termine che ha un’immediata valenza ambientale, ma il cui significato viene esteso anche alle relazioni tra le persone, a segnalare che in radice si riconosce all’opera la medesima logica: «Quelli che non si possono integrare, gli esclusi sono scarti, “eccedenze”» (Discorso ai partecipanti all'incontro mondiale dei movimenti popolari, 28.10.2014).

Queste operazioni di scarto facilitano il passaggio a una “globalizzazione dell’indifferenza” − altra espressione ricorrente di Francesco − che anestetizza le coscienze e svuota di significato il termine responsabilità: «Ma perché allora ci abituiamo a vedere come si distrugge il lavoro dignitoso, si sfrattano tante famiglie, si cacciano i contadini, si fa la guerra e si abusa della natura? [...] Perché si è globalizzata l’indifferenza! […] che cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio?» (ivi). Come aveva già denunciato a Lampedusa l’8 luglio 2013, la globalizzazione dell’indifferenza «ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto».

Il passo verso la corruzione è così sempre più breve. Vale la pena approfondire le pagine del papa sull’uomo corrotto (cf. L. Biagi, Corruzione, Messaggero, 2014) che «arriva a interiorizzare la sua maschera di uomo onesto» e «non percepisce la sua corruzione, proprio come succede con chi ha “l’alito cattivo”: sono gli altri a doverglielo dire» (Discorso alla delegazione dell'Associazione internazionale di diritto penale, 23.10.2014).

Ma la corruzione non è solo a livello personale. È contagiosa e degrada ulteriormente l’ambiente umano proprio come i rifiuti e l’inquinamento degradano l’ambiente. Gli episodi di corruzione che affiorano sui giornali sono solo il sintomo di un malessere più vasto e profondo, che incide radicalmente sull’ecologia umana: Se pur si manifesta in singoli atti, la corruzione infatti ha bisogno di un terreno su cui attecchire. Se la famiglia non è messa in grado di svolgere il proprio compito educativo, se leggi contrarie all’autentico bene dell’uomo diseducano i cittadini, se la giustizia procede con eccessiva lentezza, se la moralità viene indebolita dalla trasgressione tollerata, se le condizioni di vita sono degradate, se la scuola non accoglie e non emancipa, non è possibile garantire quella “ecologia umana” sulla cui mancanza alligna poi il fenomeno della corruzione (cf. Pontificio consiglio della giustizia e della pace, La lotta contro la corruzione, 2006). Questa, infatti, implica un insieme di relazioni, di complicità, di oscuramento delle coscienze, di ricatti e minacce, di patti non scritti e connivenze che chiamano in causa, prima delle strutture, le persone e la loro coscienza morale.

L’uragano di speranza

A tutto ciò l’antidoto non può che essere la solidarietà, nel suo senso profondo ed etimologico di consapevolezza etica dell’esistenza di un legame che non può essere rescisso: una solidarietà fra le persone, fra i popoli e anche fra le generazioni, che implica la conservazione dell’ambiente per quelle future. È il legame che la prospettiva olistica dell’ecologia umana ribadisce e che la dinamica dello scarto e dell’indifferenza pretendono di spezzare.

Anche la solidarietà verso i poveri assume la prospettiva ecologica della biodiversità e della valorizzazione delle differenze; non riduce i poveri ai loro bisogni, ma li riconosce e li promuove per ciò che sono: soggetti attivi, capaci di protagonismo sociale e di creazione di soluzioni innovative: «Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali» (Discorso ai partecipanti all'incontro mondiale dei movimenti popolari).

La periferia verso cui papa Francesco spinge con decisione la Chiesa va quindi intesa come luogo preferenziale di salvezza, epifania della dignità della vita umana, riscatto e risurrezione dalla miseria collettiva attraverso l’esperienza della propria povertà e del bisogno dell’altro. Paradossalmente diventa chiaro che sono i contesti “sviluppati” a non poter fare a meno del contributo di quelli “sottosviluppati” per ridisegnare il proprio futuro. È, questa, un’ecologia della reciprocità e della comunione fraterna, che spinge in avanti la prospettiva della globalizzazione della solidarietà: «Che bello invece quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio» (ivi).

 

Giacomo Costa sj
direttore di Aggiornamenti sociali
presidente della Fondazione culturale San Fedele di Milano

La cultura dello scarto e lo spreco alimentare

Lo spreco di cibo è un fatto cronico e strutturale: potrebbe essere definita una «struttura di peccato» del nostro tempo. Che gli sprechi alimentari ammontino a 1,3 miliardi di tonnellate di cibo ogni anno, cioè un terzo della produzione mondiale, fa riflettere. Di questi, 670 milioni di tonnellate sono buttati nei paesi industrializzati, mentre 630 milioni in quelli in via di sviluppo.

1. Lo scandalo dello spreco

Ogni anno negli USA viene buttato il 40% dell’alimentazione disponibile, che significa lo sperpero di un quarto dell’acqua dolce utilizzata in un anno nel paese e dell’equivalente energetico di 300 milioni di barili di petrolio. In Italia ogni giorno finiscono nella spazzatura 4.000 tonnellate di cibo ancora buono, che al termine di un anno raggiungono i 6 milioni di tonnellate, ossia poco meno di un quinto dei rifiuti urbani prodotti.

La disponibilità di cibo nel mondo supera di oltre il 20% quanto basta a far mangiare tutti. Sarebbe sufficiente un quarto del cibo gettato ogni anno per risolvere il problema della denutrizione. Per questo cibo prodotto e sprecato in 12 mesi nel mondo s’investe un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga, si utilizzano 1,4 miliardi di ettari di terreno e si provocano 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Il cibo scartato ha un’impronta ecologica enorme: sono in gioco sia la sostenibilità ecologica, sia la giustizia tra le generazioni.

Papa Francesco in un passaggio della Evangelii gaudium (n. 191) afferma: «Ci scandalizza il fatto di sapere che esiste cibo sufficiente per tutti e che la fame si deve alla cattiva distribuzione dei beni e del reddito. Il problema si aggrava con la pratica generalizzata dello spreco». Il troppo e il troppo poco sono due facce della stessa medaglia: il non riconoscimento etico dell’altro.

2. Il cibo nella Bibbia: dono della Provvidenza
per una convivialità

Si spreca ciò che non è riconosciuto come dono. Nella Bibbia, invece, Dio si lega al cibo. Il popolo d’Israele dipende dalla Provvidenza di un Dio che si lascia consumare dalla logica del nutrimento, dal bisogno di sopravvivenza del popolo. Il patto di alleanza è anche risposta a quest’esigenza: il popolo non morirà perché sarà Dio a sostenerlo in vita.

Il racconto della manna in Esodo 16 è emblematico della risposta che Dio offre alla fame umana. Mentre il popolo rimpiange il cibo garantito in Egitto, Dio prospetta un cammino di liberazione dove è Lui stesso a provvedere. Ognuno può mangiare a sazietà: ciò significa che Dio elargisce la vita. Il cibo non si limita a un solo giorno, ma lungo tutto il tempo del cammino. È dono che si rinnova.

La manna si sostiene sul dono della Legge. La regola del «quanto basta per un giorno» salvaguarda la provvidenza di Dio, contesta logiche di accumulo e lega il cibo alla legge dell’uomo. È il modo con cui impariamo che Dio dà sempre e lo fa con abbondanza. È cibo da ricercarsi ogni giorno, a testimonianza che l’azione di Dio non può essere accolta una volta per tutte ma richieda un’adesione rinnovata nell'obbedienza alla Parola. Anche noi facciamo esperienza della scadenza del cibo. La legge dell'accumulo non è vincente: lo è invece quella della novità data dalla semina, raccolto, lavorazione, preparazione che si rinnova al ritmo delle stagioni e dei giorni. Tutti gli anni si semina e tutti i giorni ci si mette ai fornelli.

Non esiste la possibilità di fare incetta di cibo per sempre, nonostante la disponibilità di dispense, frigoriferi e congelatori: è pura illusione. Il cibo sottoposto all'usura del tempo ci rivela una dipendenza quotidiana e la necessità di un dono che ogni volta è nuova provvidenza.

3. Oltre la cultura dello scarto

Il cibo che finisce nella spazzatura è frutto della cultura dello scarto. Papa Francesco è tornato a più riprese sull’argomento, denunciando logiche di esclusione sociale a partire dal consumismo odierno. Nel discorso ai movimenti popolari del 28 ottobre 2014 sui temi della terra, della casa e del lavoro, ha associato le contraddizioni del mondo odierno alle disuguaglianze sociali. La fame è frutto di un processo globale: «Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall'altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile».

Se il livello di competitività diventa assoluto, il criterio vincente sottostà alla legge del più forte. Il più potente strumentalizza ed esclude il più debole. Mentre fa notizia il calo di percentuale della borsa, diviene trascurabile o inevitabile alla logica del sistema la morte di una persona per povertà. Così «grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare» (Evangelii gaudium, n. 53).

È una cultura che non scarta solo rifiuti-oggetti, ma genera rifiuti umani. Non scarta solo il cibo, ma anche le persone che sono considerate strumenti nel tritacarne del desiderio individuale di consumare. Questa mentalità contagia tutti: la persona non è più considerata un valore primario da promuovere, ma scarto da buttare.

Questa struttura di peccato va trasformata. Lo si può fare solo a condizione di rimettere al centro il valore della persona umana. La soluzione alternativa sta nell’affidare ai poveri il ruolo di protagonisti. Si tratta di organizzare le persone e camminare con i poveri. Serve un cambio di paradigma: il riconoscimento cioè che in diverse situazioni le periferie sanno adottare logiche inclusive attraverso il confronto, la contaminazione dei modelli di vita, l’affidarsi a stili di vita non consumistici. La fede alimenta una consapevolezza: ciò che l’uomo scarta può divenire pietra angolare agli occhi di Dio. È già capitato con Gesù Cristo, che rivela un modo di agire di Dio. Simone Weil amava parlare di un Dio che «pratica il recupero degli scarti».

Vi è un potenziale salvifico racchiuso negli scarti: sono un invito ad accogliere il limite e a comprendere il senso profondo della convivialità. Infatti, solo a partire dal gesto dello spezzare il pane è possibile capire il messaggio di Cristo. Sulla scia dell’Angelo della storia di Walter Benjamin il futuro dell’umanità cova sotto le ceneri dei nostri fallimenti. Non per ripeterli, ma per trasformarli.

La strategia dello scarto oggi produce esclusione e reificazione. Ripartire dai rifiuti umani perché siano al centro di una nuova cultura della condivisione finirà per rinnovare la nostra umanità. Ai credenti in Cristo il compito di servire questo progetto. Del resto è quello che sperimentano ogni domenica nell’eucaristia. È la Pasqua che continua.


Bruno Bignami
Istituto superiore di Scienze religiose di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano
Studio Teologico Interdiocesano

Tecnologia ed ecologia: una questione mai neutrale

Il Novecento, il secolo appena trascorso, si chiude lasciando al nostro secolo un patrimonio di conoscenze quale nessun secolo aveva prodotto. La logica matematica, la relatività e la meccanica quantistica, il DNA e la biologia molecolare, la virologia, la tettonica delle placche, l’informatica, i nuovi materiali, giusto per fare alcuni esempi, costituiscono un patrimonio tale che spinge molti a guardare al secolo appena trascorso come a “il secolo della scienza”.


Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il Novecento è anche il secolo in cui la tecnologia è emersa come il principale fattore di trasformazione: è facile affermare che il ritmo dei cambiamenti, particolarmente rapido, sembra svolgere in tale processo un ruolo chiave. Ci vogliamo chiedere se e come questo sguardo tecnologico sul mondo intercetti la questione ecologica. Cercheremo dapprima di individuare brevemente la natura della tecnologia per poi lanciare alcune suggestioni sul rapporto tra tecnologia ed ecologia.

1. La natura trasformante della tecnologia

Se fino agli inizi del Novecento l’innovazione tecnologica si è sviluppata in modo prevalentemente autonomo rispetto alla scienza, nel corso dello scorso secolo questo rapporto si è completamente ribaltato e il nuovo rapporto tra scienza e tecnologia determina una forte accelerazione del progresso scientifico e del ritmo di nascita e di esistenza del prodotto industriale.

Questa pervasività della tecnologia ha portato, a partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo, alla nascita di una vera e propria disciplina chiamata filosofia della tecnologia. Il motivo di questa nuova disciplina viene così sintetizzata: la scoperta dell’assoluta novità, mai accaduta in tutta la storia dell’umanità, dell’esistenza di un approccio tecnologico alla realtà frutto e causa di una co-evoluzione tra società e tecnologia.

Si introducono parole come tecnosocietà o tecnocultura, che servono da metafora per indicare questa interdipendenza e interscambio. Si acquista consapevolezza filosofica del fatto che lo sviluppo tecnologico è un’attività sociale che riflette le particolarità del suo essere situato: il tempo, il posto, i sogni e gli scopi, le relazioni tra le persone.

Alla luce di queste ricerche la tecnologia viene oggi definita come la disciplina che studia i metodi e i mezzi atti a trasformare i materiali grezzi in prodotti finiti: la natura, vivente e inanimata, nonché il mondo degli artefatti tecnologici sono sede di processi di trasformazione di specie, nello spazio e nel tempo. Queste trasformazioni possono essere naturali, naturali integrate da tecnologia o tecnologiche.

La tecnologia è quindi, nel suo insieme, un processo di trasformazione del mondo che parte da una visione del reale di tipo strumentale trasformativo e si fonde con i bisogni e i desideri di un contesto sociale trasformandoli in realtà. Il processo tecnologico per sua natura parte da un esistente, considerato come dato grezzo, e realizza un prodotto (l’artefatto) e dei residui di lavorazione (scarti).

2. Ecologia e tecnologia: intersezioni

Proveremo ora a delineare alcune tracce fondamentali di riflessione sul legame tra tecnologia ed ecologia, secondo tre sintetiche direttrici di riflessione.

  • In un primo senso, molto generale, l’ecologia è quella disciplina che studia le relazioni tra gli organismi e il loro ambiente naturale, inteso come l'insieme dei fattori che influiscono o possono influire sulla vita degli organismi stessi. Questo ci permette di dire innanzitutto che, in quanto processo di trasformazione del mondo, la tecnologia è indissolubilmente legata alla questione ecologica. In altri termini la tecnologia in quanto fattore trasformante della natura non sarà mai neutrale rispetto alla questione ecologica: la scelta dei mezzi di trasformazione, la priorità accordata ai fini e le condizioni di questo sono questioni che devono sempre interrogare la nostra responsabilità nei confronti dell’ambiente e della sopravvivenza della vita in esso.
  • A un secondo livello possiamo dire che la tecnologia in quanto realizzatrice di artefatti è chiamata a confrontarsi con l’attività trasformatrice di cui è foriera non soltanto da un punto di vista dei residui di produzione (inquinamento e/o rifiuti) ma anche dal punto di vista della produzione stessa. Da ricordare in tal senso i casi delle prime centrali nucleari: il progetto guardava solo alla messa in funzione, ma una volta arrivato il tempo della dismissione ci siamo resi conto che i grandi cappelli di acciaio delle vasche di reazione – larghi 30 m e spessi 1, e ormai contaminati – non potevano essere né tagliati né fusi né trasportati, obbligandoci a seppellire i reattori nucleari dentro enormi bare di cemento armato nel tentativo di contenere le radiazioni.
  • Infine a un terzo livello dobbiamo guardare alla tecnica come a un elemento profondamente positivo: proprio in forza del suo potere trasformante essa può realizzare quelle trasformazioni che riparino ai disequilibri ambientali che mettono a rischio la vita del nostro pianeta introducendo efficaci buone pratiche ecologiche.

3. Conclusioni non concludenti

Siamo consapevoli che quanto delineato non è che un abbozzo del problema, ma ci interessava sottolineare come il binomio scienza-tecnologia si propone come protagonista assoluto del nostro secolo. Per questo esso chiede di essere gestito e orientato verso il bene capito e voluto, perché alcune delle grandi tragedie che hanno accompagnato il secolo appena trascorso non si ripetano in futuro. Particolarmente delicate appaiano le nuove frontiere tecnico-scientifiche delle biotecnologie.

Da credenti nel confrontarci con la tecnologia dobbiamo ricordare e far nostro quanto Benedetto XVI evidenziava rispetto alla tecnologia: «La tecnica […] è un fatto profondamente umano, legato all'autonomia e alla libertà dell'uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia. Lo spirito, “reso così ‘meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all'adorazione e alla contemplazione del Creatore’”. […] La tecnica è l'aspetto oggettivo dell'agire umano, la cui origine e ragion d'essere sta nell'elemento soggettivo: l'uomo che opera. Per questo la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l'uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo, esprime la tensione dell'animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, s’inserisce nel mandato di coltivare e custodire la terra” (cf. Gen 2,15), che Dio ha affidato all'uomo e va orientata a rafforzare quell'alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell'amore creatore di Dio» (Caritas in veritate, n. 69).


Paolo Benanti

Pontificia Università Gregoriana


Commenti

  • 10/04/2015 frustighini@salesiani.it
    Ottimi articoli di preparazione, come prospettiva e raccolta del pensiero del Papa nel merito. Commenti molto pertinenti nel collocare il problema dentro la cultura attuale.
    Risponde l'autore
    Grazie mille; credo sia un area che dobbiamo continuare ad esplorare, per coglierne tutta la complessità, ma anche per rinnovare i nostri stili di vita nel segno della sostenibilità.
  • 26/05/2015 fpajer@lasalle.org
    Interventi misurati ma ben documentati e ben scritti. Fanno riflettere anche i più distratti. Meriterebbero di essere utilizzati anche come materiali di base per dibattiti pubblici (al posto di tante anemiche riunioni parrocchiali o diocesane...), e come materiali didattici per l'istruzione etico-religiosa, almeno nelle classi di media superiore.

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