Usa, reazioni a Trump: il potere dell'indignazione
Più volte l’abbiamo scritto, anche su Moralia: l’indignazione è una potente emozione morale, che spinge a reagire contro azioni percepite come contrarie all’umana dignità di chi le compie e soprattutto di coloro che ne sono oggetto. Vorremmo oggi proporre alcune considerazioni – assolutamente personali – sul peso di tale fattore in una situazione particolarmente delicata.
Più volte l’abbiamo scritto, anche su Moralia: l’indignazione è una potente emozione morale, che spinge a reagire contro azioni percepite come contrarie all’umana dignità di chi le compie e soprattutto di coloro che ne sono oggetto. Vorremmo oggi proporre alcune considerazioni – assolutamente personali – sul peso di tale fattore in una situazione particolarmente delicata.
L’indignazione ha infatti giocato un ruolo importante nella forte reazione della società civile statunitense nei confronti delle misure assunte dal neopresidente Donald Trump contro l’ingresso negli USA di quanti provengono da sette stati musulmani, giudicati a rischio terrorismo. Vaste le aree della società americana - dalle associazioni per i diritti civili fino al mondo dell’economia, per il quale è vitale il contributo di tanti immigrati - che sono rimaste negativamente colpite dal rifiuto di accoglienza nei confronti di chi avrebbe pieno titolo per entrare negli USA.
Forte pure l’impatto delle tante storie di persone private della possibilità di rientrare in un paese che è per loro ormai patria - luogo dell’impegno professionale e degli affetti, spazio di vita. Infelice pure il riferimento ad un elemento religioso (la differenziazione tra cristiani, minoranza perseguitata, e musulmani) come fattore di discrimine in ordine a diritti e possibilità dei singoli: un elemento che contrasta con l’affermazione di laicità dello stato, qualificante per la cultura politica degli USA.
Tanti fattori, dalla forte rilevanza etico-politica, che hanno reso diffusa ed attiva la mobilitazione contro tali provvedimenti.
Un passaggio decisivo
Un passaggio di grande importanza lo si ha però con l’azione del giudice federale di Seattle James Robart, che il 3 febbraio ha dichiarato ammissibile l’istanza degli stati di Washington e Minnesota contro il bando sui musulmani di Donald Trump, sospendendo quindi con effetto immediato le misure presidenziali.
Se già numerosi procuratori federali avevano ravvisato in esse, elementi di incostituzionalità, abbiamo però qui un salto di qualità, in cui l’indignazione diviene azione meditata ed (almeno finora, mentre scriviamo) efficace. Si fa chiaro al contempo che quella stessa ordinanza presidenziale che mette a rischio storie e progetti di vita per tanti uomini e donne interferisce contemporaneamente con una delicata architettura normativa e costituzionale.
Non a caso la corte d’appello del IX circuito di San Francisco ha respinto il ricorso del dipartimento della giustizia che chiedeva l’immediato ripristino del divieto di immigrazione. La forte valenza etica incorporata nei principi costituzionali (quelli degli USA come di molte altre nazioni) si intreccia quindi con l’efficacia che essi conferiscono all’indignazione, anche sul piano giuridico-politico.
Una preoccupazione più vasta
Eppure guardando a tali fatti - ed alle prime reazioni del presidente Trump – si percepisce anche un elemento di portata più ampia: la preoccupazione per un’azione politica che sembra volersi porre come radicale palingenesi di un sistema, insofferente a vincoli e limitazioni, espandendo il più possibile i già ampi poteri che il sistema americano conferisce al presidente.
La preoccupazione cioè che il riferimento a situazioni di necessità - quasi uno stato d’eccezione nel senso conferito a tale espressione dal politologo Carl Schmitt - venga utilizzato per giustificare la sospensione del diritto e dei diritti. Di fronte ad esso lo spostamento della controversia sul piano legale evidenzia anche come non basti una qualche legittimazione popolare per rendere accettabili azioni politiche che esorbitano dalle forme e dagli spazi ad esse propri.
Si tratta di un rischio rilevante anche per altre realtà nazionali, inclusa - in alcuni momenti - quella italiana e che richiama l’importanza della legalità. Si tratta, in effetti, di un vero e proprio bene comune, essenziale per un’etica civile (e ricordiamo il percorso sul tema col sito ormai prossimo all’apertura: www.forumeticacivile.it); fondamentale per una convivenza regolata, che non si riduca a mero arbitrio del potere. Solo grazie ad essa è possibile costruire la città come spazio di convivenza equilibrata tra diversità, nel rispetto delle diverse realtà presenti, senza che nessuna possa ambire ad una prevalenza sulle altre.
Ecco, dunque: le emozioni morali - come l’indignazione - muovono ad una riflessione politica ed etica ad ampio raggio, che non riguarda certo soltanto quanto accade in quel grande paese che sono gli USA. Né riguarda solo gli USA il videomessaggio di Francesco ai partecipanti al SuperBowl, col richiamo a «costruire una cultura di incontro e un mondo di pace», operando con «rispetto e fedeltà alle regole».