Un’agenda digitale per la Chiesa
Giugno: si progetta il prossimo anno accademico, scolastico, sociale. E noi? Seguo un’intuizione di fondo di Luciano Floridi nel suo recente Pensare l’infosfera e la propongo perché, mutatis mutandis, ci può fare del bene.
Egli rammenta come l’utilizzo del PC generi un decadimento progressivo delle prestazioni, sino al punto in cui si rende necessario riavviarlo. Così facendo la memoria a breve termine viene cancellata, i diversi bachi eliminati e il sistema viaggia sereno sino al successivo necessario riavvio. Floridi applica alla filosofia l’analogia del rallentamento, ma le stesse considerazioni possono valere per la teologia e l’agire credente.
Il rischio di avvitarci in minuzie tecniche e circoli minori è di ogni scienza, dunque anche della fides quaerens intellectum. Possiamo pensare che la pandemia ci abbia dato una buona scossa per riavviare anche la teologia e la pastorale? Le questioni sul tappeto sono già moltissime e in questo spazio in molti hanno condiviso un pensiero attento su molti temi. Perché non cominciare a condividere qualche idea?
Mi lascio ispirare da una suggestiva ricerca degli studenti del Centro sperimentale di cinematografia di Roma. I giovani hanno tracciato un’ipotesi di mappa dell’immaginario al tempo del COVID-19, che in cinque punti racconta bene questo tempo e quanto l’umanità porta nel cuore e nella carne, il tempo in cui ripartire, i punti da cui risorgere. Essi sono:
- la distopia integrale (fusione tra immaginazione e realtà, in cui il solo vedere gente che si abbraccia in un film appare fantascienza),
- la catastrofe muta (comunicazione senza informazione, i dati sono privati di un senso e di una direzione prospettica),
- la distanza sociale (effetto webcam: si vede ma senza sguardo, uno sguardo che non ha un orizzonte),
- l’isolamento (introiezione del principio di esclusione),
- la mutazione (fine del potere antropologico della psiche, del primato sociale del narcisismo, della forza poetica dello spaesamento).
A questi cinque punti segnalati dai giovani come potrebbero reagire la teologia e la pastorale per ridare speranza e per riavviarsi? Faccio altrettante proposte.
- L’utopia credibile: abbiamo bisogno di riscrivere una teologia che permetta l’atto credente in una fase storica che cerca una trascendenza ma che non contempla più un Dio, abbandonando definitivamente la tentazione di far leva sul deismo naturale, a cui rispondiamo con un sacro spesso imbastardito dal magico.
- La salvezza intelligibile: abbiamo bisogno di una teologia in cui le parole restituiscano senso alle domande della vita, trasformando formule ormai mute in categorie intelligibili, ma che restino teologiche e non cedano a derive sociologiche o psicologizzanti.
- La vicinanza comunitaria: abbiamo bisogno di una teologia che restituisca un modello di comunità in cui si educa a servire e non a servirsene per espletare dei bisogni, in cui si educa a stare negli ambienti di vita e non in un ambiente che metta al riparo dalla vita.
- La comunione pneumatica: abbiamo bisogno di una teologia capace di seguire lo Spirito e di riconoscerne i segni, al posto di un pensiero che si preoccupa di bilanciare dei poteri piuttosto che far emergere dei carismi.
- La conversione generativa: abbiamo bisogno di una teologia e di una pastorale che dichiari la verità annunciandola come strumento di fecondità e non di oppressione, come luogo di espressione di novità e non come confinamento della libertà. Dalla teologia della necessità a quella del compimento.
Cinque suggestioni, le dita di una mano. Ci diamo insieme una mano? Cominciando forse da un’agenda digitale ecclesiale?
Luca Peyron è presbitero della diocesi di Torino, coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale, docente di teologia all’Università cattolica di Milano e di Spiritualità dell’innovazione all’Università di Torino. Ha scritto Incarnazione digitale (Elledici, Leumann 2019).