Sport ed etica: rimettere in gioco l’eccellenza
Rieccoci. Si torna a parlare di sport e di “etica nello sport” appena dopo che è uscito sui giornali l’ultimo caso di doping e di illegalità nella gestione della pratica sportiva. Certo, il recente caso russo appare davvero vasto e diffuso, tanto da far dubitare che si tratti di un sistematico modus operandi addirittura istituzionale, che tutti, ora, giustamente denunciano e disapprovano con forza.
Rieccoci. Si torna a parlare di sport e di “etica nello sport” appena dopo che è uscito sui giornali l’ultimo caso di doping e di illegalità nella gestione della pratica sportiva. Certo, il recente caso russo appare davvero vasto e diffuso, tanto da far dubitare che si tratti di un sistematico modus operandi addirittura istituzionale, che tutti, ora, giustamente denunciano e disapprovano con forza.
Tuttavia, anche di fronte al recente caso di illegalità, resta «impossibile sapere con esattezza - come ha chiaramente dichiarato Richard McLaren, membro dell'Agenzia mondiale anti-doping, nel presentare il rapporto sul doping che vede coinvolti oltre 1.000 atleti russi - quanto profonda e quanto indietro nel tempo vada questa cospirazione. Per anni, le competizioni sportive internazionali sono state inconsapevolmente alterate dai russi. Allenatori e atleti hanno giocato su un terreno irregolare. Gli appassionati di sport e gli spettatori sono stati ingannati».
L’etica sportiva “civile” e “applicata”
E da qui, partirei: «… gli spettatori sono stati ingannati …». Non tanto perché qualcuno ha fatto cose che non andavano, ma in quanto si continua a non capire e a non dire con sufficiente insistenza e cristallina chiarezza che le grandi cose, nel bene e nel male, crescono lentamente, grazie a piccoli gesti quotidiani, grazie a una determinazione costante, dentro a una tensione continua, graduale, accompagnata, che punta al miglioramento continuo. E solo questo è lo sport e l’etica nello sport.
Spesso si dice che lo sport è una “palestra di vita”: è vero e tutti lo riconoscono. Ma resta semplice retorica quando si continua a dipingere lo sport come antagonista al tempo dello studio o quando si continua a parlarne (talora, ancora, anche in ambito ecclesiale) come un competitor rispetto alle “cose serie e importanti” della vita oppure lo si trasforma o lo si sfrutta solo come una potente macchina da business.
Direi di più. Non sempre è (o non ancora del tutto) così chiara e condivisa la consapevolezza che l’esperienza e la gestione della pratica sportiva è un incredibile “capitale sociale” in grado di trasformare, e in meglio, la vita delle singole persone, ancorché quella della più ampia comunità civile.
Lo sport è una incredibile esperienza di “etica applicata” ovvero anche di “etica civile” in quanto è «quell’ambito della vita degli uomini – scrive Lorenzo Biagi – in cui meglio di altri emerge senza moralismi la natura dell’etica. Infatti, l’etica ha a che fare prima di tutto con la “forma di vita” e cioè con l’insieme di pratiche grazie alle quali gli uomini regolano la loro vita personale e comunitaria».
Compiti per tutti: valorizzare il “buono” che c’è grazie allo sport
E quanti sono i “racconti di vita” di atleti che potrebbero contrapporsi ai 1.000 atleti sospettati di aver barato nelle loro prestazioni sportive? Sono di più! Ma ce ne dimentichiamo, troppo spesso, più pronti a scrivere e a parlare di sport solo quando scoppiano gli scandali. Il bene è anteriore al male ed è possibile, anche attraverso lo sport, ovvero grazie alla “vita” di atleti o sportivi veri, professionisti o amatoriali, «verificare che per quanto radicale sia il male, esso - come ebbe a scrivere P. Ricoeur - non è così profondo come la bontà».
Scovare questa profondità che lavora grazie allo sport, promuoverla, facilitarla, per ridare dignità a persone e a comunità civili è forse arte o mestiere di pochi sognatori. Forse si tratta di oasi. Ma è possibile fare del mondo una grande oasi aperta a tutti, dove si mostra nella e con la vita che la vera eccellenza è figlia solo della perseveranza, della lealtà, del rispetto di sé e dell’altro. Affinché ciò avvenga, è necessario che gli adulti - direbbe Candido Cannavò - si ricordino sempre di rispettare i bambini e di essere, con le parole e le azioni, “educatori”.