Roncalli patrono dell'esercito: nostalgia curiale per la società chiusa
Moralia | Una collaborazione dell'Associazione teologica italiana per lo studio della morale (ATISM) con Il Regno.
La notizia della indicazione di san Giovanni XXIII come “patrono dell’esercito italiano” desta sorpresa e scandalo. Le argomentazioni a sostegno di questa designazione sono allo stesso tempo ingenue ed arroganti. Da parte dell’esercito italiano, e del suo Cappellano, non ci si può aspettare una grande lucidità ecclesiale. Ma da parte della Congregazione per il culto divino si sarebbero dovuti applicare quanto meno i criteri della “normale diligenza” per istruire la pratica in modo sano e lineare:
a) Il “giovane Roncalli” era un acceso patriota, si dice. Ma era stato anche, alcuni anni prima, un seminarista ansioso di pregare l’ufficio durante la messa. Potremmo farlo patrono del “rosario durante la messa”? Come si fa a non comprendere che lo sviluppo di una persona raggiunge la evidenza del Discorso di apertura al concilio Vaticano II, o della enciclica Pacem in terris, solo superando tanti passaggi molto meno chiari della propria crescita biografica e culturale? Vi è, dietro a questa nomina, quella ingenua arroganza tipica di agiografie che non distinguono ciò che conta da ciò che è secondario nella vita dei santi. E che fanno pasticci con le vite dei testimoni della fede a partire dalla confusione dei soggetti che le definiscono.
b) La mancanza di cultura ecclesiale, che trapela da questa ufficializzazione, si pone, come ha detto bene Mons. Ricchiuti, presidente di Pax Christi, in una posizione apertamente anticonciliare. Va aggiunto che la trasformazione del servizio militare, nell’ultimo secolo e mezzo, ha profondamente cambiato il rapporto tra fede e guerra: nella prima guerra mondiale vi erano 2700 cappellani militari e circa 25.000 preti-soldati al fronte. Roncalli ha vissuto e pregato in quel mondo, che oggi nessuno può nemmeno lontanamente riproporre né come modello civile, né come modello ecclesiale.
c) Giovanni XXIII patrono dell’esercito italiano sfigura nello stesso tempo una figura alta di papa e di santo del XX secolo e un cammino ecclesiale di emancipazione dalla ossessione del mantenimento dell’ordine pubblico. Una sovrapposizione tra altare e moschetto così imbarazzante non si sentiva più da 50 anni. Riproposta oggi e applicata ad Angelo Roncalli chiede una smentita secca, netta e senza esitazioni da parte delle coscienze dei cristiani cattolici.
d) Inoltre, una cultura ecclesiale che è passata dagli “ossari” di fine ottocento, alla dichiarazione della “fine della giustificazione della guerra” può trovare eccezione solo in ambienti marginali, come ormai sono parti non secondarie di alcune Congregazioni romane. Queste “province”, che si collocano geograficamente al centro ma che sono in realtà lontane anni-luce dal cammino ecclesiale, coltivano diverse pratiche nostalgiche, che usano come “schermi” rispetto alla realtà: “riti straordinari” della messa, “alleanze tra trono e altare” rassicuranti, “congiure di palazzo tra vescovi” ridotti a funzionari. Il sensus fidei del popolo di Dio cammina da 50 anni per un’altra strada. E non riconosce in Giovanni XXIII alcun “patronato” verso le forme attuali di esercizio della violenza legittima.
e) Infine, ancora una volta, al centro di un piccolo scandalo, vi è la incompetenza e la arroganza ingenua nella direzione di un dicastero romano che non riesce a trovare un suo assetto convincente. Forse è venuta l’ora di provvedere con decisione, anche se non certo manu militari. Ma probabilmente solo questa “azione sul campo” (ecclesiale e non militare) troverebbe il conforto e la assistenza di s. Giovanni XXIII come patrono. Riconosciamo allora Giovanni XXIII patrono non dell’esercito, ma della riforma della Chiesa.