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Privacy vs sicurezza: un’equazione a due incognite senza soluzioni?

In un suo fondo su La Stampa Gianni Riotta notava come Steven Spielberg presenti, nel suo nuovo film Bridge of spies, il caso della spia sovietica Rudolf Abel, catturato dall’FBI nel 1957, cuore della Guerra fredda. Abel ha diritto a un regolare processo o deve essere giustiziato da una corte marziale?

Spielberg affida a Tom Hanks il ruolo dell’avvocato Donovan che, pur detestando l’URSS, rappresenterà da garantista, fino alla Corte suprema, l’agente KGB. Seguendo l’analisi di Riotta dobbiamo chiederci se questa narrazione cinematografica non sia il segno di antichi fantasmi che tornano: siamo o no in guerra con il terrorismo, dobbiamo difenderci con il garantismo o servono maniere forti?

Ogni democrazia sembra essere entrata in crisi di fronte a nuove minacce esterne o interne: gli USA quando internarono i cittadini di origine giapponese dopo l’attacco a Pearl Harbour; la Francia ai tempi della guerra in Algeria; l’Italia, la Germania e il Regno Unito con le leggi speciali contro il terrorismo; infine il Patriot Act americano dopo l’11 settembre, che ha riattualizzato l’amara equazione «Libertà o sicurezza?». 

Quello che rende nuova questa antica faglia sismica che scuote il vivere democratico sono il mutato orizzonte tecnologico e le mutate condizioni del mondo digitale. Viviamo in un’epoca in cui il benessere e il progresso umani hanno cominciato a dipendere soprattutto dalla gestione efficace ed efficiente del ciclo di vita dell’informazione.

Grazie a tale evoluzione, oggi le società più avanzate dipendono fortemente da beni intangibili basati sull’informazione. Ad esempio tutti i paesi membri del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti) si definiscono come società dell’informazione in quanto in ciascuno di essi almeno il 70% del PIL dipende da beni intangibili, che concernono l’informazione, e non da beni materiali, che sono il prodotto fisico dei settori agricolo e manifatturiero. Il deflagrare pressoché improvviso di questa società dell’informazione globale, dopo alcuni millenni di gestazione relativamente in sordina, ha sollevato sfide nuove e decisive, che erano largamente imprevedibili soltanto pochi decenni fa.

Dal punto di vista dell’utilizzo dei singoli bisogna ricordare che compagnie come Google, Facebook e Twitter hanno chiuso ogni «porta sul retro» (backdoor nel linguaggio tecnico) nei loro software per proteggere la privacy dei consumatori, lasciando al buio polizia e magistrati. L’ISIS sembrerebbe approfittare del nostro legittimo desiderio di privacy, scrive il Site intelligence group, e usa Telegram Messenger, messaggini criptati dell’informatico russo Pavel Durov, che sfugge ai controlli, magari in parallelo alle innocenti chat di cui sono dotate le Playstation dei nostri ragazzi: parlare di attacco e modalità di guerriglia in una chat associata a un gioco che simula la battaglia affoga questi discorsi in un mare di chat in cui è impossibile distinguere chi parli di elementi del gioco e chi di piani per attacchi reali.

Inoltre sembrerebbe che l’ISIS recluti sui social media, ma mobiliti i militanti sui canali crittati, come ha confermato il direttore dell’FBI James Comey. Il procuratore capo di Manhattan, Cyrus Vance Jr, annota malinconico che in ben 111 casi penali i magistrati di New York non sono riusciti ad analizzare i telefoni Apple e Google, per la formidabile crittografia che li protegge, e chiede «una nuova legge». Oggi le compagnie informatiche stesse non hanno «la chiave per aprire» gli smartphone e il Senato USA vorrebbe imporlo per legge.

Allora l’equazione che compare su numerosi mezzi d’informazione, privacy o sicurezza, deve essere riconsiderata includendo almeno altre due variabili: il valore economico e gli interessi di parte che porta con sé il bene intangibile dell’informazione e l’uso spregiudicato e criminale che si fa della tecnologia. Una corretta riformulazione di questa nuova equazione dovrebbe allora suonare in questo modo: etica del possesso e dello scambio di informazione tra singoli, enti intermedi e stati nell’epoca dei beni digitali.

Solo riconoscendo come l’informazione stia cambiando la natura del nostro vivere e delle nostre società riusciremo a impostare il problema in una maniera che possa offrire soluzioni giuste, soluzioni cioè in grado di orientare il progresso tecnologico verso un autentico sviluppo umano e che sappia tutelare ciò che ci fa societas, cioè l’orientamento alla tutela e alla salvaguardia del bene comune del potere politico.

Vedremo in questo complesso scenario quale delle tante battagliere idee di libertà digitale, delle variegate mode tecnologiche, dei tic e dei tabù dei nostri contemporanei connessi prevarrà: intanto a giudicare dai rapporti dell’intelligence l’ISIS sembra organizzare online, indisturbata, la prossima strage.

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