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Possiamo tollerare i monopoli digitali?

Il 1° aprile del 1976 a Cupertino, in California, venne fondata la Apple. La mission aziendale originale dettata da Steve Jobs recitava: «Apple si dedica alla crescita dell’uomo, rendendo la tecnologia informatica accessibile a tutti per cambiare il modo in cui pensiamo, lavoriamo, impariamo e comunichiamo».

Sulla medesima linea si collocano tutte le big tech, le cinque grandi compagnie globali che hanno in mano ciò che è digitale. L’esistenza di tali piattaforme e grandi imprese è una questione ampia che tocca interessi enormi a partire da aspetti fondamentali di geopolitica, giustizia ed equità fiscale.

Le multinazionali dacché esistono debbono la loro fortuna alla ricerca dei paradisi fiscali, che agiscono usando il dumping fiscale. La digitalizzazione del business ha ulteriormente complicato lo scenario, annullando il criterio fiscale standard che prevede che le imposte dirette vadano pagate dove si concludono gli affari, ossia dove vi si colloca una stabile organizzazione. Nel caso delle grandi compagnie, e soprattutto delle grandi piattaforme digitali, rispondere a un tale criterio è pressoché impossibile.

A ciò dobbiamo aggiungere che hanno posizioni dominanti addirittura ibride, ossia fanno due mestieri contemporaneamente. Per citare un esempio tra i molti, Amazon vende tanto prodotti etichettati come suoi, quanto quelli di altri, imitando i supermercati, ma i supermercati avevano uno scaffale, non un algoritmo che ti porta sotto il naso, dati alcuni parametri generici, quello che in fondo decide lui.

È ancora giustificabile il monopolio? Cosa ci dice la Chiesa...

Il monopolio è sempre stato tollerato perché fa nascere e sostiene l’innovazione, che è salutare per tutti sul medio e lungo periodo. Ma questi monopoli oggi sono giustificabili, considerato che le grandi compagnie probabilmente non sono più innovative da tempo e che, anzi, spengono l’innovazione in forza del potere finanziario che rappresentano?

Negli ultimi anni le prime cinque big tech hanno acquisito oltre 400 imprese, Google in particolare, ma spesso per sopprimerle, non per svilupparle. Il n. 179 del Compendio della dottrina sociale della Chiesa ci ricorda che «le nuove conoscenze tecniche e scientifiche devono essere poste a servizio dei bisogni primari dell’uomo, affinché possa gradualmente accrescersi il patrimonio comune dell’umanità». E ancora, citando Centesimus annus, n. 35, che «occorre rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti – individui e nazioni – le condizioni di base, che consentano di partecipare allo sviluppo».

L’Europa dovrebbe prendere in mano il suo futuro, prima di tutto attraverso una cultura condivisa che sia la premessa di una politica comune, che affranchi da alcuni monopoli tecnologici e permetta di riaprire scenari che oggi diventano sempre meno tollerabili.

Le nostre radici cristiane si collocano anche qui.

 

Luca Peyron è presbitero della diocesi di Torino, coordinatore del Servizio per l’apostolato digitale, docente di teologia all’Università cattolica di Milano e di Spiritualità dell’innovazione all’Università di Torino. Ha scritto Incarnazione digitale (Elledici, Leumann 2019).

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