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L’educazione alla democrazia: il contributo di John Dewey

Che cosa significa oggi educare alla democrazia? Certamente non solo fare “educazione civica” come materia separata, soprattutto se per educazione civica s’intende poco più che imparare quali sono le istituzioni, i loro rapporti, i meccanismi che regolano la nostra convivenza civile.

Educare alla democrazia dovrebbe anche significare portare i giovani a condividere valori, modi di essere, modalità di comportamento, insieme individuali e sociali. Ciò non si ottiene solo con qualche lezione di “educazione civica”, ma sviluppando la valenza educativa di tutte le materie di studio, sia umanistiche sia scientifiche, e soprattutto facendo esperienze, già a scuola, di un modo di vivere “democratico”.

Può essere utile valorizzare in tal senso gli studi di John Dewey, in cui la democrazia appare non solo una forma di governo, ma una way of life, un modo di essere individuale e sociale, che richiede condivisione di valori, solidarietà, interesse allo scambio di esperienze, impegno a superare gli egoismi e le distanze tra le classi. Queste implicazioni del concetto di democrazia, che alla critica ispirata alla filosofia analitica sembravano elementi di confusione, di scarsa chiarezza concettuale, costituiscono invece proprio l’aspetto più interessante, e più attuale, del pensiero di Dewey sul rapporto educazione-democrazia.

Oggi viviamo una contraddizione forte tra le spinte individualistiche, favorite in tanti modi, e il bisogno di mantenere il legame sociale. In una società democratica questa contraddizione è insostenibile, la democrazia ha bisogno sia di sviluppo e affermazione individuale che di solidarietà e inclusione. Ma come si connettono, nell’impresa educativa, i due principi dello sviluppo individuale e della socialità? La soluzione non è facile, e la lettura dei testi di Dewey può ancora dare indicazioni preziose sul rapporto tra “poteri individuali” e loro “equivalenti sociali”.

C’è poi un altro aspetto da considerare: educare alla democrazia, oggi, non può significare conformarsi alla società esistente, per il semplice fatto che la società in cui viviamo è una democrazia imperfetta. Anche su questo punto J. Dewey offre importanti contributi: per lui il compito della scuola non è affatto la riproduzione dello stato di cose esistente, ma è dare ai giovani strumenti per interpretare le situazioni e cambiarle.

L’impresa educativa, per Dewey, è la coscienza critica della società, il momento e il luogo in cui la società si interroga su se stessa. Il senso del rispetto della dignità umana, il bisogno di contrasto alle disuguaglianze etniche e di genere, il bisogno di ricostruire le condizioni per l'esercizio di una giustizia sociale, devono necessariamente far parte dell'ambito educativo delle giovani generazioni verso un orizzonte sociale e politico che vede l'inclusione del diverso, l'esercizio dell'empatia e l'attenzione all'equità come assi caratterizzanti di un nuovo welfare attivo e responsabile.

 

Per la lettura:

J. Dewey, Democrazia e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1949. (1916);

Ricostruzione filosofica, Bari, Laterza, 1931. (1919);

     Liberalismo e azione sociale, Firenze, La Nuova Italia, 1946. (1935)

     Esperienza e educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1949. (1938)

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