La Croce: sguardo, enigma, sequela
Uno sguardo difficile
Ogni anno la Settimana santa riporta il nostro sguardo sul Cristo crocifisso, tra le figure più presenti nell'arte occidentale: tante e incredibilmente diverse le immagini offertene, ma tutte pregnanti, cariche di forza generativa. Tra l’altro, proprio la contemplazione dell'uomo della Croce è tra i fattori che hanno aiutato a crescere quella sensibilità per la persona e la sua fragilità, che è poi giunta a trovare espressione anche sul piano del discorso pubblico, come nei diritti umani. In quello sguardo, dunque, c’è anche una chiave per interpretare un presente che si vuole così secolare.
Non è però una chiave facile da usare. La Croce appare a volte come realtà ostica, enigmatica: sembra inconcepibile che un’immagine di sofferenza così insopportabile possa essere fonte di ispirazione per chi cerca vita e autenticità. Eppure distogliendo lo sguardo si rischia di chiudere l’accesso a un capitolo chiave di quella grammatica culturale ed emotiva su cui si articolano tante delle grandi parole della nostra vita comune.
L’enigma di una fecondità
Ma, del resto, enigmatica la Croce lo è anche per tanti credenti, che spesso faticano a cogliere la “stoltezza di Dio” (1Cor 1,25) che vi si esprime, la condizione in cui essa colloca le loro vite. Radicarsi in essa, infatti, significa confessarne una paradossale fecondità, secondo l'immagine dell'albero della vita, anch’essa cara all’iconografia cristiana. Significa abitare la figura giovannea del chicco di grano (Gv 12,24), che porta frutto solo a prezzo della morte – a dire del dono di sé, senza riserve, da parte del Signore.
Forse può aiutare a entrare in sintonia con tale prospettiva la figura di Oscar Arnulfo Romero, che abbiamo ricordato in questi giorni: il vescovo fatto popolo, la cui vita spezzata è divenuta testimonianza e germe di speranza per l’America Latina e oggi per la Chiesa tutta. Romero ha espresso una solidarietà radicale con la sua gente; non è fuggito dinanzi alla morte, ma l’ha guardata negli occhi, sapendola già vinta. Ecco una chiave di interpretazione, che sappiamo intendere anche nel nostro tempo: quella di una vita che – nello spendersi per altri – apre loro spazi di vita possibile e così scopre la morte come una realtà sconfitta, proprio quando potrebbe sembrare trionfante.
Sequela
È in questo spazio che si radica lo stesso discorso etico: la vita cristiana è sequela. È percorrere una via di fedeltà alla giustizia, sapendola onerosa, ma anche già percorsa da un Altro, che ha aperto la strada e sostiene il cammino. Sapendola densa di futuro: persino i momenti più oscuri – quelli che vedono il passo appesantirsi – celano germi di risurrezione, sono gravidi della gioia dell’Evangelo.
Certo, neppure così l’enigma e il paradosso sono sciolti, ma vengono decisamente riorientati al futuro; essi legano le pratiche del presente al dinamismo di un'identità ancora nascosta: “Ciò che saremo non è stato ancora rivelato” (1Gv 3,2). La stessa riflessione etica appare così come la ricerca delle forme per vivere al meglio la fedeltà al futuro del Dio che viene; di parole e pratiche che possano meglio cor-rispondere al dono ricevuto.