Immorali maggiolini. Lo scandalo Volkswagen, tra tecnica ed etica
In questi giorni, dopo aver sentito papa Francesco dagli
Stati Uniti lanciare messaggi alti a politica ed economia, richiamandole alla
tutela esigente del bene comune, emergono via via nuove dimensioni di quello
che lo stesso nuovo amministratore delegato Matthias Müller ha definito un
"disastro politico e morale". Vorremmo riprendere un tema pur già
toccato nei giorni scorsi dal post
di Paolo Benanti, per porre almeno due ordini di interrogativi, di forte
rilevanza etica.
Un povero pensionato
Secondo quanto indicato dai media, all'ex amministratore delegato di Volkswagen Winterkorn – dimessosi dopo lo scandalo della sistematica manipolazione dei software di controllo delle emissioni inquinanti sulle vetture dell'azienda tedesca – spetterà una pensione da 28,6 milioni di euro (senza dire della buonuscita...). Tale dato pone alcuni seri interrogativi sul significato assunto dalla nozione di responsabilità nel contesto delle grandi corporation:
– oltre a lasciare il suo incarico, Winterkorn non dovrebbe forse in qualche modo contribuire personalmente a risarcire i danni all'ambiente determinati da tale pratica?
– Non dovrebbe quantomeno in qualche misura farsi carico dei danni apportati alla stessa Volkswagen?
Se così non fosse, un osservatore ingenuo potrebbe essere preso dal sospetto che Volkswagen stia in realtà premiando un dipendente che ha accettato il ruolo di capro espiatorio; che si è caricato della responsabilità di comportamenti che in realtà erano anche di altri; che non sia in gioco solo un "piccolo gruppo di manager" (ancora Müller), ma qualcosa di più vasto e pervasivo.
Del resto, se la stessa azienda è persino riuscita a stoppare gli effetti dei report di denuncia del fenomeno indirizzati già alcuni anni fa alla UE, forse qualcuno ha collaborato... Davvero si resta sgomenti di fronte alla distanza tra l'immagine cinematografica – familiare e rassicurante – di Herbie, il "maggiolino tutto matto" che ha rallegrato molte infanzie qualche decennio fa, e ciò che si rivela essere oggi Volkswagen.
Un problema più ampio
Ma non è certo in gioco solo l'azienda tedesca. Tale primo livello di interrogazione orienta in effetti al problema più generale del valore dell'etica in un contesto di alta specializzazione, d’intreccio pervasivo tra tecnica ed economia. È il paradosso: quella raffinata strumentazione che doveva servire allo scopo (altamente morale) di contenere il livello di inquinamento diviene invece fattore di inganno e di danno per gli acquirenti e per la società tutta.
Sarebbe difficile offrire un'icona più nitida per lo scarto – lucidamente denunciato da papa Francesco nel III capitolo della Laudato si’ – tra un agire tecnico, che esprime la capacità tutta umana di coltivare la terra donataci, e le valenze che esso si trova ad assumere entro un sistema capitalistico tutto orientato al profitto. Davvero verrebbe la tentazione di dubitare della possibilità stessa di mantenere un senso per il discorso etico, in un contesto così orientato dagli interessi privati.
Forse, però, l'interrogativo va posto soprattutto su un piano diverso, politico e giuridico: come tutelare la legalità in un quadro di simile complessità? Come far sì che essa possa davvero conferire efficacia operativa alle esigenze poste dal bene comune ai diversi soggetti privati? In tale prospettiva la tecnica non va demonizzata, ma piuttosto ricollocata in un quadro di opportunità chiare e vincoli esigenti per diversi soggetti.
Il discorso morale, da parte sua, dovrà esprimersi come etica civile, inserendosi consapevolmente in quelle dinamiche tramite le quali la polis si dà una forma e un insieme di regole.