Il sinodo dei giovani e la morale
Tra un anno, di questi tempi, il “Sinodo dei giovani” sarà in pieno svolgimento. A ben vedere, però, i lavori sono cominciati il 13 gennaio 2017, quando è stato pubblicato il Documento preparatorio, che si conclude con un Questionario. Da giugno 2017, poi, è stato messo on line anche un apposito sito su cui, oltre ad altre informazioni e spazi di riflessione, è possibile trovare un secondo questionario. Sono invitate a rispondere al primo questionario le conferenze episcopali, mentre sono invitati a rispondere al secondo questionario i giovani di tutto il mondo, di età compresa tra i 16 e i 29 anni. I risultati di entrambi serviranno da canovaccio per l’Instrumentum laboris.
I due questionari riecheggiano fortemente lo stile metodologico e pastorale di papa Francesco (così come abbiamo visto, ad esempio, per la Laudato si' e nel precedente Sinodo sulla famiglia): non si tratta di riunirsi ad ottobre 2018 per discutere di giovani in astratto, in modo stereotipato, unidirezionale. Al contrario il percorso sinodale invita tutti a confrontarsi, a partire da situazioni e esigenze concrete, a discernere i segni dei tempi.
Provocazione per i “meno giovani”?
Quando mi è stato chiesto di scrivere questo post, ho istintivamente pensato che avrei scritto qualcosa sui giovani: d’altra parte mi è stato proposto proprio perché sono uno degli autori di Moralia che trascorre più tempo "con" e "per" i giovani. Ma poi, riflettendo, mi sono resa conto che avrei tradito lo stile sinodale, imponendo una mia personale esperienza di giovani, riproponendo una “gerontocrazia”, se non altro di pensiero. Forse da questo preciso spazio che è Moralia posso permettermi qualche considerazione differente perché il Sinodo dei giovani interpella sì i giovani, ma interpella anche noi “meno giovani”. E ci provoca.
- Provocazione per la teologia morale
Mi pare che il Sinodo dei giovani provochi e interpelli radicalmente la teologia morale, non solo in quelle che sono le sue declinazioni “speciali” (ovvero i singoli ambiti di riflessione), ma proprio in quella sua riflessione “fondamentale”. Il metodo del Sinodo ci ricorda una continua circolarità tra universale e particolare, tra antropologia e morale. E allora mi domando se sappiamo veramente ricordarci e integrare questa circolarità quando affrontiamo i “fondamenti”, o se piuttosto ricorriamo a categorie e paradigmi obsoleti, talora solo tranquillizzanti Cosa abbiamo in mente quando parliamo (discutiamo, riflettiamo, insegniamo…) della “coscienza” e della sua formazione (ambito che evidentemente coinvolge i giovani)? Quando parliamo (discutiamo, riflettiamo, insegniamo…) delle “norme e dei valori” ci ricordiamo che spesso non è tanto il valore a essere messo in dubbio (e talora nemmeno la norma in sé), quando l’argomentazione che portiamo a supporto, “incomprensibile” per i giovani di oggi? Sono fortemente convinta che molte norme oggi siamo disattese non perché i giovani non riconoscano il valore portante, ma perché noi “meno giovani” non siamo in grado di comunicare – con paradigmi, logiche e linguaggio adeguato – , il percorso della norma.
- Provocazione per la formazione
No, non la formazione dei giovani. Sto parlando della formazione di noi “meno giovani”. Credo che il Sinodo ci inviti implicitamente a trovare spazi per noi, per la nostra continua formazione e “rimessa in gioco”. Perché se è vero – ed è vero – che in questo momento la società vive un momento fluido e incerto (cfr. DP cap.I, par.1) e che la differenza intergenerazionale è quanto mai ampia (DP cap.I, par.2), è altrettanto vero che anche noi “meno giovani” viviamo all’interno delle medesime coordinate, seppur da altra prospettiva. La nostra stessa formazione diventa così “dovere morale” nei nostri propri confronti, prima ancora che nei confronti dei giovani.
- Provocazione per la nostra relazione con i giovani
Ultimamente si sente parlare spesso di “genitori spazzaneve”, ovvero di genitori che eliminano dalla strada dei propri figli qualsiasi ostacolo possa presentarsi, di modo che non vivano nessun fallimento e nulla possa incrinare l’autostima. Mi pare di poter affermare che il Sinodo ci inviti a non essere “Chiesa spazzaneve” nei confronti dei nostri giovani. La nostra relazione con i giovani non deve produrre “pupazzi”. E quindi siamo chiamati a rivedere gli spazi, le attenzioni e le cure reali che offriamo loro, localmente e universalmente.
E se proprio dovessi riassumere con una sola categoria morale questo cammino sinodale dei giovani, sceglierei “corresponsabilità”, dove intendo una responsabilità condivisa, in ruoli, pesi ed esperienze differenti, certo!, ma pur sempre condivisa. Una responsabilità nostra capace anche di fare un passo indietro. Passo indietro che sarebbe così liberante per loro e per noi…