Il referendum sulla riforma costituzionale. Criteri etici per un dibattito responsabile
L’attuale riforma riscrive l’organigramma del funzionamento dello Stato, a partire dal nuovo modo di disegnare i rapporti tra Camera e Senato, fino al rapporto Stato-regioni. Siccome la Carta costituzionale è la carta del bene comune, si richiede che tutti (o comunque la stragrande maggioranza dei cittadini) si riconoscano nelle sue indicazioni: ognuno deve un po’ sentirla sua…
Nel vivere civile la Costituzione non è una carta tra le altre, né una semplice legge che dirige i meccanismi di funzionamento di un Paese. È molto di più. È la norma fondamentale che esprime un certo ideale di convivenza civile. Fa riferimento a valori condivisi, una sorta di minimo etico ritenuto patrimonio irrinunciabile della comunità e perciò da promuovere e tutelare.
La Carta costituzionale è riconoscimento dei limiti dell’autorità statale, è riferimento cui appellarsi di fronte agli abusi sia del potere politico che dei cittadini, è l’incontro solenne e condiviso sui valori etici fondamentali e sulle regole del funzionamento di una democrazia che voglia dirsi tale.
I valori non sono tali perché vengono costituzionalizzati, ma in quanto valori in cui ci si riconosce, quasi come punto di incontro superiore tra le diverse istanze e le diverse appartenenze sociali che abitano un Paese. Pertanto, si scrive insieme la Costituzione perché luogo di sintesi condivisa. Il corpo costituzionale è il primo autorevole paradigma di confronto per tutto il corpo legislativo di uno stato.
L’attuale riforma riscrive l’organigramma del funzionamento dello Stato, a partire dal nuovo modo di disegnare i rapporti tra Camera e Senato, fino al rapporto Stato-regioni. Siccome la Carta costituzionale è la carta del bene comune, si richiede che tutti (o comunque la stragrande maggioranza dei cittadini) si riconoscano nelle sue indicazioni: ognuno deve un po’ sentirla sua…
Criteri per discernere, un aiuto dalla Evangelii gaudium
Come muoversi, dunque, davanti alla scelta tra il sì e il no? Potrebbero essere di aiuto i criteri di discernimento presenti in Evangelii gaudium (EG) 222-237, a proposito del rapporto tra il bene comune e la pace sociale. L’indicazione che proviene da papa Francesco è che i cittadini responsabili devono sentirsi moralmente obbligati alla partecipazione sociale e politica (n.220), ma si ricorda che «diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si veda coinvolta» (EG 220).
Il primo compito è dunque quello di formare le coscienze a un esercizio responsabile della democrazia, che significa uscire dalle anguste e meschine logiche di fare della consultazione sulla riforma costituzionale una decisione sul futuro del governo o una semplice conta di chi sta da una parte e dall’altra. Non servono gli occhi del tifoso! La partecipazione funziona nella misura in cui si offrono alle coscienze strumenti non solo per capire cosa è in gioco, ma criteri etici per un discernimento competente.
L’esortazione apostolica EG ne suggerisce quattro.
1) Il tempo è superiore allo spazio
«Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi» (EG 223).
Le domande diventano: quali processi inaugura questa riforma? In che direzione? Si legge dietro più la preoccupazione di offrire una risposta all’oggi o uno sguardo di prospettiva che guarda un po’ più in là? E’ una riforma lanciata sui prossimi venti, trenta, cinquant’anni di buon funzionamento del Paese o sui prossimi cinque mesi di governo o cinque anni di politica italiana, quando una nuova maggioranza potrà modificarla a proprio uso e consumo?
2) L’unità prevale sul conflitto
«La diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una “diversità riconciliata”» (EG 230).
Dietro alla presente riforma si intravede una società che cerca di elaborare e superare i conflitti verso una comunione di differenze o si consuma una spaccatura che potrebbe avere conseguenze sul futuro della nostra democrazia? La diversità non la possiamo nascondere sotto il tappeto ma deve andare verso una promettente sintesi: c’è questa preoccupazione nel dibattito attuale? Analizzando il percorso della riforma, possiamo dire che è frutto di un’elevata condivisione che produce riconoscimenti e unità, oppure, al contrario, si avverte rifiuto? Cosa è mancato e cosa manca per creare riconciliazione?
3) La realtà è più importante dell’idea
«Questo implica di evitare diverse forme di occultamento della realtà: i purismi angelicati, i totalitarismi del relativo, i nominalismi dichiarazionisti, i progetti più formali che reali, i fondamentalismi antistorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza saggezza» (EG 231).
La comunità civile non si rifugia nei principi astratti che vanno bene per tutti e per nessuno. Le idee pure riducono tutto a retorica. La riforma costituzionale quale realtà promuove, a livello di partecipazione socio-politica, a livello di fiducia tra le istituzioni, a livello di funzionamento della democrazia? Il contributo dei costituzionalisti potrebbe aiutare a capire quale scenario si aprirebbe a partire dalla riforma, ma soprattutto quale democrazia ci aspetterebbe in futuro.
La concretezza, tra l’altro, ci obbliga a fare i conti con una classe politica presente nel Paese, che non va idealizzata, ma presa per quello che è realmente: quali competenze si vedono? Quale concetto di bene comune stanno realizzando? Scrive il gesuita F. Occhetta: «Come ogni riforma che fissa nuove regole, il gioco dipende dalla qualità dei suoi giocatori».
4) Il tutto è superiore alla parte
«Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari» (EG 235).
Le esigenze del bene comune richiedono pertanto di allargare il proprio orizzonte, che non può insabbiarsi nelle logiche particolaristiche e di bottega. La riforma in questione, collegata al dibattito sulla legge elettorale, salvaguarda l’insieme o accentua i particolari? È la riforma di qualcuno o è di tutti? Tiene conto delle differenze e le conduce a una sintesi più elevata o è racchiusa in logiche esclusivamente di potere? Porterà benefici all’esercizio della democrazia di un popolo o favorirà la crisi democratica verso derive oligarchiche?
Agire responsabilmente: ce la faremo?
In un momento particolare, come il cambiamento d’epoca in cui viviamo, la riforma della Carta del bene comune non è un esercizio superficiale della democrazia. Tanto più che ci troviamo in un contesto di depressione democratica: chi vota si accorge di non avere potere davanti a poteri non eletti democraticamente che decidono, sprovvisti di legittimità, della vita e del bene degli altri.
La democrazia consegna a ciascun cittadino un pezzo di potere, ma nulla garantisce che poi sia esercitato responsabilmente e che conti davvero. Il dibattito sulla riforma potrebbe farci uscire da una visione individualistica dei processi democratici: ce la faremo?