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Moralia Blog

Il paradosso delle disuguaglianze

Il concetto di inuguaglianza esprime l’essere ineguale, ovvero la condizione di ciò che non è uguale per tutti, riflettendo una varietà che arricchisce reciprocamente la nostra umanità e che anche la saggezza popolare definisce la “bellezza” del mondo.

La disuguaglianza, invece, implica una disparità tra eguali che induce il predominio ingiustificato di alcuni su altri, provocando insoddisfazione e opposizione. Sul piano economico, le disuguaglianze tra paesi sono progressivamente diminuite a livello mondiale, ma hanno dimostrato un trend inverso all’interno delle nazioni, divaricandosi soprattutto a scapito della classe media.

Questo è il paradosso su cui ci chiama a riflettere l’economista scozzese Angus Deaton, premio Nobel 2015, intervenuto recentemente a Roma a un convegno dedicato a questo tema.

Economia ma non solo

I fattori che alimentano il divario tra i ricchi e i poveri all’interno delle nazioni, riducendo il benessere delle società e perpetuando le disuguaglianze odierne, non sono di natura meramente economica. Deaton pronuncia il suo j’accuse contro il “capitalismo clientelare”, o crony capitalism, i cui meccanismi collusivi s'insinuano nei sistemi di governo e legislativi, permettendo ai “pochi” che detengono la ricchezza mondiale di imporsi su “molti”, e impedendo così una redistribuzione più equa delle risorse.

Questi meccanismi, che qui possiamo definire anche “strutture di peccato”, sono radicati in attitudini umane, che provengono cioè dal di dentro. Sono i frutti di abiti operativi moralmente difettosi, al livello micro (personale), meso (organizzativo) e macro (sistemico): ebbene sì, di “vizi capitali”. Nel contesto economico possiamo pensare sicuramente all’avarizia, come già indicato da un altro noto economista italiano, ma anche all’invidia e alla superbia.

Queste attitudini confermano l’homo oeconomicus nella sua autoreferenzialità, giustificando il perseguimento del profitto in modo incontrollato. Oggi non sembrano trovare sufficiente disapprovazione sociale, né severa sanzione. Per questo si cronicizzano all’interno dei paesi, alimentando disillusione e rassegnazione, e corrodendo un fattore economico essenziale che è quello della fiducia. Quindi non c’è spazio neppure per la “sympathy” di Adam Smith (1759) che, fondata proprio sull’approvazione e sulla disapprovazione degli altri, dovrebbe regolare il comportamento individuale diretto a perseguire i propri interessi: “… Niente ci è più gradito dell’osservare in altri uomini una corrispondenza di affetti con tutte le emozioni del nostro cuore, niente ci turba di più della manifestazione del contrario” (Teoria dei sentimenti morali, 33).

Educazione all’etica

Le disuguaglianze economiche, che diffondono la paura del futuro accrescendo l’incertezza e il senso di vulnerabilità, sono causate anche da un’attitudine morale, da una profonda carenza etico-culturale che permette all’avidità di “pochi” di anteporsi alla solidarietà e alla cura dei “molti” altri, lasciando prevalere gli egoismi individuali e nazionali, e capitalizzando sulla fragilità dei propri eguali. Questa attitudine assopisce e lentamente anestetizza quella naturale inclinazione alla fraternità, alla solidarietà, al prendersi cura, che costituisce il substrato dell’humanum e della nostra relazionalità.

E allora che si fa? Educare, formare, informare, per una trasformazione culturale quanto mai urgente, che restituisca a una leadership politica virtuosa la triplice funzione di: a) introdurre e consolidare le norme etiche; b) definire i fini sulla base dei bisogni; c) facilitare il compito dell’economia, primario e indispensabile, di individuare i mezzi per raggiungerli.

Si tratta di un lavoro di lungo periodo, che richiede pazienza e capacità di gestire risorse scarse, senza garantire la massimizzazione dei risultati. Utopia? No, piuttosto un lavoro dovuto e necessario, perché espressione concreta di una solidarietà intra- e inter-generazionale che inizi a erodere le fondamenta di queste “strutture” deviate e devianti, che danneggiano sia l’uomo sia l’economia.

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