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Moralia Blog

Il modello DAT di Aggiornamenti sociali: una lettura protestante

Nel panorama del protestantesimo storico europeo da almeno 50 anni si è sviluppata una riflessione approfondita sui temi del fine vita.

Tre principi guida

I principi teologici o antropologici su cui tale riflessione si fonda sono almeno tre:

– che ogni essere umano sia portatore di una dignità fondamentale che non viene meno neppure in casi estremi di sofferenza e di perdita di capacità;

– che da un punto di vista cristiano la libertà umana non sia assoluta autodeterminazione;

– che la vita umana, anche nel suo aspetto biologico, vada considerata come un bene ricevuto di cui occorre aver cura.

La maggior parte delle Chiese protestanti europee è generalmente concorde nel considerare sempre e comunque lecita la non attivazione o la sospensione dei trattamenti su richiesta del paziente, anche nei casi più controversi come l’idratazione e l’alimentazione artificiali dei pazienti in stato vegetativo persistente, ed è favorevole all’uso di strumenti come le Dichiarazioni anticipate di trattamento.

In Italia la Commissione bioetica della Chiese battiste, metodiste e valdesi ha pubblicato nel 2007 un documento sulle Direttive anticipate. Sin dai primi anni 2000, molte Chiese valdesi e metodiste hanno aperto sportelli per il deposito dei testamenti biologici di coloro che avessero voluto avvalersi di tale strumento, pur in assenza di una legge che ne regolasse l’utilizzo.

Alla luce di queste considerazioni, il mio giudizio sul modello di DAT proposto dal Gruppo di studio sulla bioetica della rivista Aggiornamenti sociali è sostanzialmente positivo, pur con un rilievo critico che cercherò di esprimere nelle righe seguenti.

Il piano teorico

Se ci limitassimo a considerare il documento su un piano prevalentemente teorico, direi che emergono almeno tre principi di fondo tutti ampiamente condivisibili, anche in ottica ecumenica:

– il richiamo alla dignità come requisito fondamentale del processo del morire;

– la formulazione di un principio di proporzionalità delle cure, in cui la coscienza individuale gioca un ruolo importante, ma non esclusivo, nel determinare il limite oltre il quale un trattamento medico appropriato diventa una forma di ostinazione irragionevole;

– la cautela nei confronti di scelte solo apparentemente autonome, da cui discendono la centralità del tempo di maturazione delle decisioni di fine vita e il conseguente richiamo alla pianificazione condivisa delle cure.

Ma non è questo il livello del discorso che mi sembra maggiormente rilevante e originale. In fondo, se ci limitassimo alle discussioni di principio, potremmo dire che in Italia il problema delle DAT è stato risolto con l’approvazione della legge del 2017.

Che la proposta ecumenica tedesca a cui il documento fa riferimento, poi successivamente rielaborata, è stata messa a punto per la prima volta più di vent’anni fa, vale a dire nel 1999.

Che il dibattito sul fine vita nel mondo occidentale riguarda oggi prevalentemente altri problemi, vale a dire la liceità dell’eutanasia e del suicidio assistito, e che è proprio su questi problemi che le Chiese cristiane, e i credenti, dovrebbero esprimersi.

Dunque, se ci limitassimo a considerare la discussione accademica e il dibattito pubblico italiano ed europeo, sarei tentato di dire che questo documento arriva troppo tardi.

Il piano pratico

Esiste tuttavia un altro piano del discorso, su cui il documento non arriva affatto troppo tardi. Le legge sul fine vita è stata approvata, ma le DAT restano in gran parte uno strumento poco utilizzato e mal compreso.

Esistono un problema informativo (la maggior parte delle persone conosce poco e male le questioni di cui si tratta) e un problema culturale (la rimozione del fenomeno della morte nelle società occidentali), che rendono molto problematica l’attuazione della legge.

Per questo motivo sul piano pratico, etico e pastorale il modello proposto può certamente rivelarsi un utilissimo strumento al servizio dei cittadini, siano essi credenti o non credenti.

Ritengo fondamentale che, in un panorama culturale in cui abbondano le dichiarazioni di principio attorno alle Dichiarazioni anticipate di trattamento, qui si parli della cosa stessa, e si metta a punto uno strumento che non è rivolto solo ai professionisti della bioetica, ma a tutti coloro che sono interessati a capire meglio «la genesi, il senso e il modo in cui vanno compilate le DAT».

 

 

Luca Savarino è coordinatore della Commissione bioetica delle Chiese battiste metodiste e valdesi in Italia e membro del Comitato nazionale per la bioetica.

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