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Moralia Blog

Il cervello: buono o cattivo?

Con questo post e il successivo, che hanno a tema il cervello riprendiamo la serie che propone uno scambio a due voci e due generi sui temi di bioetica più attuali, per alimentare un confronto e un dialogo aperti sul web. Per i precedenti interventi vedi Francesca Marin e Simone Morandini sulla bioetica globale.

 

 Si sente dire: «Tu non hai un sassolino nel cervello, hai gli scogli»; «Non hai cervello!»; «Apri il cervello!» ecc.; in genere per cervello s’intende la «mente» o un modo di pensare, d’impostare la propria comprensione sulla vita. Per altri il cervello è più l’anima, luogo primo e ultimo che rende la nostra esistenza veramente umana, la «sedes sapientiae» insomma. Si pensa poi che questa «mente» sia controllata dall’io personale, come se fosse un organo da formare e guidare. Ma per non pochi è il cervello il centro del controllo umano. Ma con quale rapporto? Si parla perfino di «morte cerebrale» per sancire la fine di una vita umana che meriti di essere tale. O ancora c’è chi dice «dimentica il cervello [cioè la ragione] e ascolta il cuore [cioè le emozioni, sentimenti]».

Al di là di questo dicotomico luogo comune, oggi con maggioranza di accordi si parla di «cervello empatico», «pensiero senziente» e simili: perché l’essere umano è un sistema che funziona nell’integralità della sua complessità, e dunque niente di ciò che gli appartiene può essere veramente conosciuto senza assumere e rispettare questa conformazione sistemica.

Il cervello è ovviamente un organo umano e ha una principalità funzionale, si può dire, con rispetto agli altri organi; è un organo che si sviluppa lungo tutto il corso della crescita umana e bio-sociale (almeno secondo l’opinione più condivisa, fino a i primi 14 anni di vita), e resta sempre un organo flessibile, in continuo accomodarsi e ricrearsi per offrire delle funzioni di relazione che permettano all’essere umano di comprendere se stesso e tutto ciò che forma il suo mondo. È un organo in gran parte geneticamente informato da – e allo stesso tempo conformato a – tutto ciò che proviene dall’esperienza e da fattori epigenetici, e, a quanto pare, anche «personalizzato», nel senso che la sua anatomia varia da persona a persona, come sembra facciano anche i modelli dei circuiti neuronali.

Cervelli sbagliati?

Lasciamo ad altre sedi la considerazione se abbiamo due o tre cervelli a seconda della conformazione e dello sviluppo storico-genetico, e assumiamo il cervello come un’unità sistemica diversificata. I neuroni e le sinapsi sono le componenti principali di molte operazioni che il cervello pone al servizio del nostro organismo, e in un certo senso possiamo dire che esse organizzano la nostra esistenza umana, sia per renderla più umana sia, talvolta, per disumanizzarla. Ma qui emerge la domanda: siamo noi i cattivi o è il nostro cervello che, funzionando male, oppure mal formato/informato, ci fa fare il male che, forse, noi nemmeno vogliamo fare?

L’essere umano è datum e factum, meglio ancora, si realizza sempre a partire da ciò che costituisce la sua base biologica e, strada facendo, si va formando, integrando una considerevole diversità di variabili socio-culturali. Si può dire che sono le esperienze umane concrete quelle che danno la spinta ai movimenti delle funzioni del cervello, danno forma si può dire alle progettazioni dei circuiti che attivano una serie di meccanismi destinati a mettere in azione le capacità pre-disponibili nel programma genetico di base. Queste esperienze implicano una visione integrale del vissuto umano, sempre complesso e sistemico, e dunque fanno comprendere l’importanza di una formazione olistica che tenda a una migliore umanizzazione della persona, aiutandola a vivere rapporti relazionali sani e liberatori, e permettendole così di sviluppare al meglio le sue capacità di base e di crearne di nuove. Così, attraverso un rapporto dialettico tra il dato e le scelte l’essere umano può costruirsi o distruggersi, costruendo o distruggendo allo stesso tempo la realtà. I sistemi del cervello e i dati genetici possono influenzare per il bene o per il male, ma resta decisivo il modo in cui questi possono essere ricevuti e gestiti. Per dirla diversamente, natura e cultura sono in collaborazione fedele e creativa.

Corpo, cervello, emozioni

All’interno di questa comprensione vorrei soffermare l’attenzione su tre elementi antropologici che hanno un valore teologico e anche una grande importanza per capire la moralità come valore umano. Gli elementi sono: corpo, cervello ed emozioni. La nostra esperienza umana implica direttamente il nostro corpo: mettiamo (con coraggio o indifferenza; per esporlo o nasconderlo) il corpo in gioco per vivere, è attraverso il corpo che sperimentiamo la vita (positivamente e negativamente), attivando delle emozioni che, in rapporto con le attività del cervello, aiutano a stabilire dei comportamenti morali, ossia, ci fanno «scegliere» degli atteggiamenti con cui vogliamo conformare la nostra esistenza.

Il corpo interviene con due elementi base, come luogo di molteplici interscambi di funzioni tra i diversi organi che lo compongono e inoltre come luogo e mezzo di comunicazione con la realtà circostante. Il corpo è un sistema dove si ritrovano in rapporto elementi biologici-chimici-sociali. L’assunzione e la gestione di tutto ciò si potrebbe dire è la base del comportamento umano. Il cervello interviene come la base sistemica che rende possibile l’attivazione della mente emotiva, cioè che l’essere umano attivi il suo pensare senziente in ordine a generare atteggiamenti morali. L’empatia interviene sia come elemento di collegamento sistemico, innescato sia da fattori chimici e organici sia da fattori esterni attivati dal rapporto con la realtà, che, attivando la sfera dei sentimenti, produce degli affetti da cui si parte e si ritorna per configurare il vissuto concreto umano.

In un’ottica teologica

In una visione teologica si può dire che la presenza umana di Dio in Gesù ci mostra a sufficienza questa bella correlazione tra corpo, cervello (come base per la mente) ed emozioni. Non abbiamo qui lo spazio sufficiente per dimostrarlo, ma possiamo affermare che nell’annuncio del programma di Gesù questa dinamica è attiva. Gesù si fa presente nella Galilea, cammina e annuncia, si fa vedere e sentire, e dice: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete» (Mc 1,15). Fa un appello esistenziale in cui attiva la memoria, mette in ansia, richiede un cambiamento della forma di pensare, di impostare la vita. Tutto ciò non può che smuovere tutta la persona, mettendo in discussione ogni cosa, e chiamandola a vivere una vera e propria avventura.

Inoltre, siamo parte del corpo vivente di Cristo risorto nella storia, un corpo complesso, bello, variegato senza misura, con una immensa varietà di doni, e che si dispiega nella plasticità esistenziale al servizio della vita. Siamo il cervello vivente di Dio, per così dire, che discerne, sente, ama, si dona, si appassiona, si rivela, sempre in ricerca di comprendere e di accogliere la vita come parte dello stesso vivere.

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