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Moralia Blog

I Colloquio di Moralia. Italia 2016: una società che resiste, le sue cicatrici

Simolata dalla lettura del rapporto CENSIS 2016, la redazione di Moralia (P. Benanti, G. De Vecchi, P.D. Guenzi, S. Morandini, G. Brunelli) ha individuato alcuni tra i nodi eticamente critici che da esso emergono e li ha sottoposti ad alcune figure autorevoli della società italiana per aprire un colloquio su di essi. Pubblichiamo qui l'intervento di apertura della redazione e una prima reazione del card. Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento e presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute della CEI, di Caritas italiana e della Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali.

Quella «linea d’ombra» che ti fa resistere…

«Uno chiude dietro di sé il cancelletto della fanciullezza – ed entra in un giardino incantato. Là persino le ombre rilucono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha un suo fascino. E non perché sia una terra tutta da scoprire. Si sa bene che l’umanità intera l’ha percorsa in folla. È la seduzione dell’esperienza universale, da cui ci si attende una sensazione singolare o personale: un po’ di se stessi» (J. Conrad, La linea d’ombra, 1917, c. I).

La vita è fatta di passaggi. Passaggi, a volte, come giri a vuoto e che ti svuotano. Calma piatta, montante crisi di speranze, che negli inevitabili avvitamenti diventano illusioni sullo specchio di ciò che ristagna. Eppure c’è una premonizione di passaggi decisivi. C’è una «linea d’ombra» da passare che fissa il confine tra il prima e il poi. Premonizione di una maturità che si compie in quel passaggio, ma che pure resterà da compiersi nel lavoro serio del vivere.

Quanto è lontana questa linea d’ombra per i giovani italiani di oggi? Per le generazioni che li hanno preceduti veniva incontro a loro, in modo ineluttabile. Come per i ragazzi del 1917, giusto un secolo fa, anno in cui fu scritto il celebre romanzo di Josef Conrad, dedicato al figlio sul fronte della prima guerra mondiale. Oggi pare restare là, nella sua fissità inaccessibile, come l’isola attorno alla quale ruota la nave del neo-capitano caduta nella sconcertante bonaccia in cui ristagna da giorni. Oppure sembra allontanarsi sempre più, non perché il desiderio non voglia colmare tale distanza, ma perché forze avverse (talora impalpabili) congiurano per tenerla in mostra e nasconderla allo stesso tempo.

Eppure non si spegne la consapevolezza che, per ciascuno, questa linea d’ombra è tracciata e dunque la si dovrà incontrare. Occorre «tener duro», nonostante alterni sentimenti di desideri e percezioni della propria inadeguatezza. La resistenza o, come si ama modulare nel nostro tempo, la resilienza è la virtù del presente che continua a contenere la premonizione del futuro.

Domande per un colloquio

Uscito ormai da qualche mese, il 50° Rapporto sulla situazione sociale pubblicato dal CENSIS nel 2016 disegna una fotografia articolata e complessa del nostro paese, densa di spunti di riflessione. Certo, la considerazione d’assieme della società ne registra la complessiva tenuta: resiliente, essa «continua a funzionare nel quotidiano» e a «cicatrizzare», per quanto possibile, le ferite più profonde. Ma a quale prezzo? Tante aree vedono cambiamenti così profondi da disegnare ormai una vera crisi, che impatta pesantemente su persone, esistenze e comportamenti, senza che se ne intraveda conclusione alcuna.

Moralia con questo testo intende mettere a fuoco alcuni nodi, per porre interrogativi circa un futuro problematico. È l’apertura di un colloquio, cui contribuiranno nelle prossime settimane figure autorevoli della società e della cultura italiana.

1. Punti d’osservazione: giovani e «adulting»

Il primo punto che balza agli occhi di chi scorre il Rapporto è il KO economico dei giovani: per la prima volta i figli si trovano a essere più poveri dei genitori. I millennials hanno un reddito inferiore del 15,1% rispetto alla media dei cittadini e una ricchezza familiare che, per i nuclei under 35, è quasi la metà della media (-41,2%). Nel confronto con i loro coetanei di un quarto di secolo fa (periodo 1991-2014), il reddito degli attuali giovani è inferiore del 26,5%, mentre nel frattempo quello degli over 65 è aumentato del 24,3%.

Che significa? C’è una parola da poco apparsa nella nostra lingua, che aiuta a leggere le implicazioni di tale situazione. Utilizzato qualche settimana fa da La Repubblica – probabilmente per la prima volta in italiano – il termine adulting è un neologismo inglese, traducibile con «rendersi adulti»: assumere gli atteggiamenti socialmente caratteristici di una persona matura (adulta appunto). Molto diffuso anche negli USA, questo nome d’azione ben compendia le difficoltà dei millennials, destinati a raggiungere ben più tardi rispetto alle generazioni precedenti alcune tappe fondamentali della vita «adulta»: farsi una famiglia, comprar casa.... Sono questi gli esempi cui si riferisce l’Urban dictionary per spiegare cosa sia adulting: trovare un lavoro stabile per 5 giorni a settimana; farsi concedere (e poter poi pagare regolarmente) un mutuo; acquistare una macchina. Il termine, insomma, raccoglie il crescere, il maturare e il giungere ad assumere comportamenti adulti: forse la lingua italiana non ne ha davvero bisogno, ma certo esso esprime efficacemente la condizione giovanile delineata dal Rapporto.

La realtà che ne risulta è quello di una generazione che appare impossibilitata ad assumere identità e caratteristiche sociali che non siano la costante e perenne indeterminatezza sociale, economica e affettiva. Il Rapporto vede i giovani italiani vivere esperienze individuali e relazioni sociali caratterizzate da forme e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante e incerto, fluido e volatile. Non stupisce, quindi, che essi – colpiti da un impoverimento economico e culturale, dalla difficoltà a strutturare progetti di vita, costretti a un lavoro sempre meno redditizio e per forza di cose «autonomo», ridotti a standard di lettura (sia libri sia quotidiani) in picchiata – vivano anche una profonda sfiducia nelle istituzioni, venata di populismo. Uno scenario assai realistico, ma anche gravido di interrogativi:

  • come ridare speranza a questa generazione, ponendo le premesse per concrete e promettenti prospettive di vita?
  • come parlare ai giovani, per dare solidità in una mutevolezza ormai fatta stile di vita? come elaborare adeguati paradigmi educativi?

2. Punti d’osservazione: famiglia e demografia

Un secondo punto di impatto della crisi è la famiglia: Massimiliano Valeri, direttore del CENSIS, commentava i dati del Rapporto sul calo dei matrimoni (religiosi ma anche civili), prospettando provocatoriamente la fine delle nozze religiose per il 2031. Sono in effetti in diminuzione del 3,2% le coppie coniugate e del 7,9% quelle coniugate con figli. Crescono invece del 66,1% le famiglie ricostituite non coniugate e del 59,9% i figli nati fuori dal matrimonio. Si modifica dunque la forma della convivenza, con un aumento dei «nuclei familiari unipersonali» (single): nel periodo 2003-2015 è stato rilevato un +52,2% di single non vedovi. Crescono anche i genitori soli: +107% di padri soli e +59,7% di madri sole.

Dal Rapporto emerge dunque una «piccola rivoluzione» in atto, con «l’erosione delle forme più tradizionali di relazionalità tra le persone e il contestuale sviluppo di modelli diversi che, allo stress test dei tradizionali criteri di valutazione delle relazioni formalizzate, come la durata e la continuità, risultano piuttosto friabili». Del resto, «in maggioranza i giovani non credono che il matrimonio basato sul modello “finché morte non vi separi” sia pienamente adeguato per interpretare le relazioni tra le persone: il 53% vorrebbe modelli più flessibili di formalizzazione delle convivenze». Così anche le relazioni amorose risultano «sempre più temporanee, reversibili, asimmetriche, ma autentiche» (e anche la diffusione del web favorisce tale dinamica).

Una situazione certamente «liquida» – per citare Z. Bauman, grande narratore della contemporaneità – ma anche gravida di preoccupanti implicazioni per il futuro demografico del paese. Ciò emerge incrociando tali dati con quelli demografici: nel 2015 le nascite hanno raggiunto il minimo storico dall’unità di Italia (485.780) e la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna. Gli anziani rappresentano così il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. Boom anche delle cancellazioni dall’anagrafe di italiani trasferitisi all’estero: 102.259 nel 2015, quasi il doppio di quattro anni fa.

 Compendiamo allora tali note in alcuni interrogativi:

  • quanto incide il dato economico – e segnatamente il KO economico dei giovani accennato poc’anzi – su tale comprensione dei rapporti di coppia e sulle possibilità di realizzare maternità-paternità? Quanto è sostenibile per il paese il protrarsi nel tempo di una simile condizione?
  • quali altri fattori sociali e/o culturali sono implicati? Quali responsabilità pubbliche e private?
  • come ripartire per dare nuova comprensione e respiro alla «famiglia» italiana? Come sostenere nuovi paradigmi affettivi e relazionali?

3. Legame sociale e nuove leadership

Quello stesso tempo di crisi, che sgretola la speranza di giovani e coppie e la demografia, intacca pure importanti dimensioni del legame sociale. Certo, il Rapporto vede una società che «continua a funzionare nel quotidiano», e non in termini di «scettica passività dell’abitudine, ma come primato dell’impegno quotidiano dei soggetti economici e sociali». Esso coglie, però, una «pericolosa faglia che si va instaurando tra mondo del potere politico e corpo sociale»:

«Il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta. Il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell’etica e della moralità pubblica (passando dal contrasto alla corruzione dei pubblici uffici all’imposizione di valori di onestà e trasparenza delle decisioni). Le istituzioni (per crisi della propria consistenza, anche valoriale) non riescono più a “fare cerniera” tra dinamica politica e dinamica sociale, di conseguenza vanno verso un progressivo rinserramento. Delle tre componenti di una società moderna (corpo sociale, istituzioni, potere politico), sono proprio le istituzioni a essere oggi più profondamente in crisi».

S’indebolisce dunque progressivamente la mediazione delle istituzioni tra potere politico e società: «La politica riafferma orgogliosamente il suo primato progettuale e decisionale, mentre il corpo sociale rafforza la sua orgogliosa autonomia nel “reggersi”». La stessa Rete alimenta processi di distacco tra società e politica, favorendo forme di «populismo». E il fenomeno ha dimensione europea e internazionale: non è solo dei giovani la sfiducia nelle istituzioni cui accennavamo in precedenza.

Se la fotografia dell’esistente andrebbe meglio approfondita, già essa pone alcune delicate questioni:

  • Una prima riguarda la qualità del legame sociale: come ricomporre la faglia tra potere politico e corpo sociale? Quale responsabilità per le istituzioni chiamate a interfacciare la progettualità politica e le reali esigenze e aspirazioni delle persone?
  • E quindi: basta la pura ottimizzazione tecnica delle istituzioni, tesa a migliorarne l’efficienza? Oppure occorre anche altro, una più diffusa cultura di cittadinanza e un corrispettivo ethos civile condiviso? Oltre la moltiplicazione delle regole, non occorrono forse soprattutto motivazioni per vivere insieme?
  • Qui poi si innesta un ulteriore nodo: la trasmissione della leadership a nuovi soggetti, specie alle giovani generazioni. Come favorire tali imprescindibili percorsi di trasmissione? Come formare nuove figure di leader, in ambito politico e istituzionale? I luoghi abitualmente deputati a tale compito sanno oggi assolverlo?

4. Iperconnessi

Diventati un popolo di single, con sempre meno figli e spesso sfiduciati, gli italiani sono però costantemente in rete (ma anche ancora innamorati della televisione). Tra gli elementi di maggior rilievo segnalati dal Rapporto sta la costante crescita dell’uso di Internet e social media da parte degli italiani: la crisi economica non arresta la diffusione di smartphone e tablet. Salvo forse le classi più anziane, la popolazione italiana è ormai iperconnessa: la Rete impegna tempi importanti del quotidiano, intersecando molti processi evidenziati dal Rapporto anche sul piano socio-economico e culturale. Ma è risorsa o problema? O realtà costitutivamente ambivalente (in senso etimologico)?

  • La Rete crea nuove relazionalità, specie per i giovani, abbatte distanze e crea legami (virtuali, ma influenti) anche tra soggetti distanti. Essi sono determinanti, ad esempio, per la sharing economy: la fiducia degli utenti in soggetti sconosciuti dipende molto dalla loro «reputazione virtuale». Cresce un’area di prossimità virtuale, che trova però anche espressione – con valenze ben diverse – nei fenomeni di cyberbullismo, così diffusi in una fascia giovanile disorientata: i social valgono qui a distruggere la personalità della vittima, umiliata dinanzi ad un vasto pubblico.
  • La Rete supporta una cultura dell’accesso individuale, che accentua la liquidità delle relazioni e della forma sociale. Essa si fa così meno strutturata, mentre cresce – nota il Rapporto – la tendenza alla disintermediazione. Quest’ultima, però – pur preziosa ad esempio per la crescita di realtà come la manifattura 4.0 – orienta spesso anche a soluzioni meramente individuali per problemi strutturali, che esigerebbero invece un interazione costruttiva con istituzioni e politica.
  • La Rete modifica il rapporto col sapere, consentendo un accesso quasi immediato a un insieme pressoché illimitato di informazioni e fonti di conoscenza, ma rendendo spesso problematica la verifica della loro attendibilità. È un tempo descritto in termini di post truth: bufale, argomentazioni basate su voci inverificabili (e magari del tutto false), circolando in Rete acquisiscono credibilità bastante ad orientare l’opinione pubblica, anche su scelte concrete.

Sono solo note sparse, che orientano alla posizione di poche domande, rilevanti sul piano educativo, ma anche delle politiche economiche e culturali per un paese che voglia uscire dalla calma piatta:

  • Come coltivare un paradigma di cultura digitale che valorizzi appieno le potenzialità economico-sociali della Rete? Come evitarne gli effetti più ambigui, per un uso costruttivo ed umanizzante?
  • Come far sì che la connessione virtuale supporti una positiva relazionalità reale (sul piano interpersonale, come nelle dinamiche culturali e civili) e non esprima solo soggettività urlate?
  • Quali strumenti vanno elaborati per favorire un rapporto critico con i dati che la Rete offre così numerosi?

Conclusioni

Il Rapporto è diagnosi preziosa dello stato del paese, che evidenza ferite con sintomi preoccupanti, ma indica anche direzioni da esplorare. Riflettere su di esso, interrogarsi a partire dai dati che esso offre è un’opportunità importante per far crescere una cultura etico-politica rinnovata, attenta alla concretezza e capace di progettualità. C’è bisogno – per i giovani, ma per un paese intero – di superare la paralisi, di andare al di là della linea d’ombra…

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