Elezioni e astensionismo: il termometro della democrazia
Lo scenario (assai realistico) per cui il partito “vincente” nelle elezioni di marzo sarà l’astensionismo induce a porre in primo piano la questione della democrazia. Non ne è certamente in discussione la sostanza valoriale, quanto piuttosto i limiti e le fragilità emergenti (e non solo nel nostro paese) in stretta connessione con il rapido mutamento sociale. Anche in Italia si assiste alla tendenza evolutiva propria delle democrazie consolidate, che non si limita solo a un deficit di partecipazione dei cittadini chiamati a eleggere i propri governanti.
L’astensione trionfante?
Più in profondità si registra, come dato preoccupante, la tendenza allo svuotamento progressivo degli ideali che fondano lo stato, espressi limpidamente nella Carta costituzionale; tendenza che si traduce nella difficoltà a definire ragioni e motivi condivisi per voler “vivere insieme”, accreditando uno stile di vita individualistico, maggiormente centrato sulla rivendicazione e fruizione dei diritti di libertà che sui doveri di appartenenza alla communitas.
Inoltre non può essere dimenticato il progressivo e persuasivo stabilizzarsi di logiche corporative nel sistema di potere, non di rado collaterale e connivente al mantenimento delle esigenze del mercato economico-finanziario, che finisce per estenuare l’effettivo spazio di libera decisione dei cittadini, oltre che l’imprescindibile esigenza di controllo sui processi e le decisioni che è parte integrante della sostanza e dell’esercizio della democrazia.
Nonostante la necessità di formulare alleanze tra i partiti, infine, non sembra venir meno l’accentramento sulla figura del leader e su una forma decisionismo politico alla quale non risultano assenti modalità populistiche di acquisizione del consenso dei cittadini.
Questa declinazione, tinta di spinte demagogiche, retoricamente persuasive e che accarezzano la sensibilità “emozionale” dell’elettorato, porta ad accreditare il candidato alla premiership cui conferire la delega allo svecchiamento dell’apparato statale in vista delle sempre invocate riforme per la vita civile e pubblica. In talune espressioni non senza forzare le stesse regole istituzionali e una modalità diffusa, condivisa e partecipata dell’esercizio del governo, attenta anche a includere le ragioni della minoranza.
Educazione, per non rassegnarsi
Certamente occorre non rassegnarsi al teorema politologico dell’inevitabile declino della partecipazione dei cittadini, che ha la sua forma più vistosa nella disaffezione alle urne, ma si alimenta delle tendenze sinteticamente delineate.
Ciò porta a considerare come prioritario in ogni programma elettorale l’impegno a implementare le capabilities democratiche. Non si tratta solo di invitare le fasce più giovani a non disattendere l’appuntamento elettorale. E nemmeno corteggiare i cittadini disillusi sul valore reale del proprio voto. L’importante non è solo partecipare, ma riprendere daccapo a educare alla partecipazione. Nel 1919 il filosofo John Dewey (1859-1952) pubblicava il saggio Democrazia ed educazione, in cui sosteneva non solo l’importanza della democrazia, ma come essa si alimentasse in una cultura civile e sociale.
La coniugazione della politeia e della paideia risulta imprescindibile per tale cultura. Se da una parte la democrazia può (e deve) assicurare le condizioni imprescindibili per un’azione educativa efficace e che non discrimini né penalizzi i meriti di ciascuno, dall’altra l’educazione deve prefiggersi di insegnare le buone pratiche che accrescano la responsabilità e l’impegno, la criticità di giudizio e la capacità di gestire in modo civile le relazioni sociali. A saper interpretare e valorizzare il punto di vista dell’altro e a superare l’opposizione io-tu e noi-loro in una forma costruttiva di cittadinanza attiva e solidale.
Ogni punto in più, oltre il preventivato tasso di astensionismo elaborato dai sondaggisti, sarà salutato come indice di una temperatura democratica in via di guarigione, forse anche di maturità dell’elettorato italiano. Ma quel punto in più deve essere un impegno per chi eserciterà la leadership a non disattendere questo impegno educativo.