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Moralia Blog

Apple vs FBI, lotta sul valore (quale esattamente?)

I media rimbombano della battaglia legale tra Apple, la nota casa di prodotti hi-tech, e l'FBI: il bureau federale chiede alla Mela il decrittaggio dell'iPhone 5c di Syed Rizwan Farook, il killer di San Bernardino, California. In questa guerra legale sempre più si mischiano battaglie ideologiche sui diritti, lesi o protetti a seconda di chi parla, nella vicenda.

Microsoft ha presentato in tribunale una petizione a sostegno della battaglia di Apple contro il governo americano, con una decisione che in un certo senso va contro quanto aveva detto pochi giorni fa il suo fondatore Bill Gates, il quale in un'intervista al Financial Times aveva chiesto alla casa di Cupertino di collaborare con le autorità americane. La notizia è stata confermata poche ore dopo che la Apple aveva presentato l’appello in cui sosteneva fermamente di non volere collaborare con Washington.

"Se la Apple perderà questa battaglia ci ritroveremo in uno stato di polizia", ha detto il legale dell’azienda Ted Olson, in un'intervista alla CNN, mettendo quindi in guardia dalla possibilità di "un governo con poteri illimitati che potrà sempre ascoltare le nostre conversazioni telefoniche". E' una dichiarazione forte da parte di Apple, al pari di quella dell’amministratore delegato della Mela Tim Cook, che in un'intervista alla ABC aveva affermato che forzare lo sblocco degli iPhone è "l'equivalente software del cancro". "Ci stanno chiedendo di scrivere un programma che potrebbe esporre le persone a pesanti vulnerabilità".

Secondo Cupertino, quella della magistratura è una richiesta incostituzionale che viola il primo e il quinto emendamento della Costituzione americana e che non ha alcuna base legale. Inoltre, cosa non nuova, Apple sostiene che la mossa degli Stati Uniti rappresenti un precedente importante e una violazione delle privacy, "non un caso isolato" come vuole far intendere l'FBI.

Ci vuole una legge del XXI secolo

Secondo fonti citate dai media americani, anche Google, Facebook e Twitter sarebbero pronti a unirsi alla battaglia di Apple. Microsoft invece nel documento sostiene che per risolvere il problema ci voglia una legge del XXI secolo per affrontare problemi del XXI secolo. Un chiaro riferimento alla legge che secondo il governo obbligherebbe Apple a collaborare: un provvedimento dell'800. L'annuncio della petizione è stato fatto pochi giorni fa da Brad Smith, capo dell'ufficio legale di Microsoft, nel corso della sua deposizione davanti al Congresso.

Proviamo - in maniera molto poco allineata al mainstream mediatico - a cercare di capire se ci troviamo di fronte a uno scontro epocale tra concezioni etiche e di diritto contrapposte, o se forse questa battaglia presenti livelli di complessità che consentono anche altre letture.

Tim Cook sostiene di non fare questa battaglia per la privacy del terrorista, ma ne fa una questione geopolitica, perché per la multinazionale che è attiva in tutto il mondo una volta accettato l’ordine del Governo americano non potrebbe negare la stessa disponibilità ad altri Governi, o regimi autoritari. Apple, inoltre, sostiene che vorrebbe aiutare il Governo USA, ma sarebbe impossibile fare questo senza aiutare, allo stesso tempo, hacker e criminali vari.

Apple potrebbe...

Moralmente e professionalmente ineccepibile, ma c’è un solo problema: secondo alcuni osservatori questa tesi è anche molto “politicamente conveniente”, e il braccio di ferro innescato da Cook ne è la prova. Il ceo di Apple, difatti, ha tatticamente ammesso che potrebbe violare il dispositivo di Farook se fosse costretto a farlo.

La questione, insomma, è che la tecnologia richiesta dall’FBI – e che Apple ha tacitamente ammesso di poter creare se costretta – realizza quello che molti oppositori delle backdoor ritengono sia impossibile fare. E cioè: senza l’aiuto di Apple, l’iPhone di Farook è sicuro da ogni eventuale attacco, ma con l’ausilio della società, l’FBI potrebbe sbloccare il dispositivo senza che questa intromissione implichi pericoli per tutti gli altri iPhone sulla terra. Apple, tecnicamente, è l’unica a poter rispondere alle esigenze degli investigatori, per questo, il suo è un rifiuto “pesante”, che molto dice dello spostamento dell’asse del potere dai Governi alle società che controllano e gestiscono i nostri dati personali.

Per la sicurezza dei suoi dispositivi Apple utilizza un algoritmo chiamato AES (Advanced Encryption Standard) con una chiave a 256 bits. Spiegato molto semplicemente, questo implica che esistono un trilione di trilioni di trilioni di trilioni di trilioni di possibili chiavi di cifratura per sbloccarlo. E per farlo, attraverso un attacco cosiddetto “a forza bruta”, cioè con l’ausilio di un computer, ci vorrebbero 149 trilioni di anni, e siccome Apple ha deciso di non tenere chiavi di cifratura degli iPhone, se l'FBI facesse una copia dei dati e la portasse a Cupertino per decifrarli, i tecnici della società non riuscirebbero.

Allora perché tutto questo? La ragione è che l’anello più debole nella sicurezza del telefono non è la crittografia in sé, ma il codice di accesso che l’utente utilizza per sbloccare l’iPhone: il chip di cifratura dell’iPhone si blocca se non viene inserito il codice corretto: un codice lungo solo quattro o sei cifre.

Così, mentre il chip di codifica interna del cellulare utilizza una chiave con un trilione di trilioni di trilioni di trilioni di trilioni di possibili valori, sulla maggior parte degli iPhone il codice per sbloccare quel chip di cifratura ha solo 10.000 o 1 milione di valori possibili.

Quindi è molto più veloce cercare di indovinare il codice di accesso scelto dall’utente che la chiave di crittografia sottostante: basterebbero 1 milione di secondi, circa 11 giorni.

Tuttavia Apple ha introdotto diverse opzioni: quella di “auto-distruzione” dei dati se il codice di accesso viene inserito in maniera non corretta per 10 volte; e ancora, più aumentano i tentativi (sbagliati) di inserimento del codice, più bisogna aspettare per tentare di inserirlo nuovamente. Infine i dispositivi sono impostati in maniera tale che per inserire il codice bisogna necessariamente usare il display, così da evitare tentativi di inserimento elettronico.

Ed è per realizzare questa forzatura che l’FBI ha chiesto l’aiuto di Apple: non si chiede ad Apple di decodificare direttamente i dati sull’iPhone, ma di disabilitare le funzioni di temporizzazione, inserimento manuale del codice e auto-distruzione dei dati, consentendo così di inserire elettronicamente i codici di accesso per sbloccare il telefonino senza preoccuparsi della funzione di autocancellazione dei dati e di quella volta a ritardare l’inserimento del codice.

L'inizio della fine?

In questa bagarre si è posto John McAfee, miliardario molto sopra le righe ed esperto in sicurezza informatica: “In tre settimane io e la mia squadra, a titolo gratuito, decifreremo le informazioni del cellulare… se accettate la mia offerta, però, poi dovrete chiedere a Apple di piazzare una backdoor nei suoi prodotti, e questo sarà l’inizio della fine dell’America come potenza mondiale”, dice McAfee.

Uno scenario forse un po’ troppo catastrofista, ma che mostra che al di là del valore morale o dei diritti alla privacy, quello che ribolle dietro questa vicenda è una questione di valore economico (il valore di Apple sul mercato) e di potere (politico e sociale).

Ancora una volta la tecnologia svela quanto il nostro oggi sia intriso di questioni nuove e antiche, che richiedono una lettura etica profonda e attenta.

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