È una crisi globale. Dopo trent’anni di globalizzazione, le democrazie dell’Occidente – Stati Uniti in testa, alla vigilia delle elezioni presidenziali – vivono una crisi profonda, come mai nel dopoguerra. Siamo in affanno di fronte alle sfide che stanno emergendo e al fallimento degli strumenti sin qui approntati per governarle.
È successo. Le due parole evocano un avvenimento che non si propone come esito voluto di una scelta personale. Nessuno sigilla con questa frase le conseguenze desiderate di una propria azione o il frutto benaccetto del proprio operare. Il nudo accostamento di questi due termini evoca la parzialità del controllo umano su quanto sostanzia la nostra vita. Qualcosa è capitato senza che noi lo volessimo. Sono accaduti dei fatti che solo in minima parte dipendono da noi, eppure essi, spesso, ci mutano. Quel che è avvenuto ci cambia consegnandoci a un «dopo» diverso dal «prima».
Confesso che, seguendo dalla Turchia le notizie dell’importantissimo pellegrinaggio della memoria di papa Francesco in Armenia (24-26 giugno), non siamo stati del tutto dispiaciuti che l’attenzione mediatica, proprio in quei giorni, sia stata quasi totalmente catalizzata dal clamoroso esito della «Brexit». Il motivo di tale sentimento è la comprovata attuale impossibilità di preservare da strumentalizzazioni politiche un evento che avrebbe dovuto essere eminentemente spirituale ed, eventualmente, storico e culturale.
Tutti noi facciamo parte di società multiculturali e multireligiose. Quando parliamo di «religione» pensiamo immediatamente alle «religioni» al plurale. Inoltre, non si è mai parlato così tanto di Dio come oggi: basta guardare i libri e le riviste esposte negli aeroporti! Ci si potrebbe stupire di questa constatazione: nel momento in cui non c’è più un’unanimità culturale, in cui si è tentati di relegare Dio alla sfera privata, in cui la trasversalità e la pluridisciplinarietà non hanno più contribuito alla trasmissione di valori e di modelli, la religione è diventata in pochi anni un fattore fondamentale nella vita delle società.
L’Irlanda rappresenta un ponte tra il cattolicesimo dell’Europa continentale e quello nordamericano, e incarna, come poche altre oggi, una Chiesa in transizione dal ruolo di fondamento morale e culturale del paese a una Chiesa in una società pluralista e secolarizzata. In questo frangente il tema del convegno organizzato dal Loyola Institute del Trinity College di Dublino sul ruolo della Chiesa nella società pluralista («The Role of the Church in a Pluralist Society. Good Riddance or Good Influence?») s’inserisce nel dibattito sul futuro del cattolicesimo nel paese.
Il processo «Vatileaks 2» sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede si è concluso con la sentenza letta lo scorso 7 luglio. Due le condanne del tribunale vaticano: 18 mesi di reclusione a mons. Lucio Ángel Vallejo Balda per diffusione di carte e informazioni che si è procurato quando era segretario COSEA, la commissione nominata nel luglio 2013 da papa Francesco per lo studio e l’organizzazione delle strutture economiche del Vaticano; 10 mesi alla sua assistente Francesca Immacolata Chaouqui per concorso di reato, con pena sospesa per 5 anni. Assolto «per non aver commesso il fatto» il funzionario della COSEA, Nicola Maio. I giudici hanno fatto crollare l’accusa di associazione a delinquere per i tre imputati.
L'ordinazione episcopale è fissata per il 10 settembre a Bergamo. Ma da metà luglio padre Pierbattista Pizzaballa è già tornato a Gerusalemme. Non più al convento di San Salvatore – dove per dodici anni ha retto la Custodia francescana di Terra Santa – ma al patriarcato, dove con una scelta a sorpresa papa Francesco, lo scorso 24 giugno, l’ha chiamato ad assumere il compito di amministratore apostolico, subentrando a mons. Fouad Twal, che lascia la guida della Chiesa di Gerusalemme per raggiunti limiti di età.
Mancano circa tre mesi al referendum costituzionale. La campagna referendaria sta entrando nel vivo. Si moltiplicano gli appelli dei due fronti. Partiti e loro correnti, organizzazioni di varia natura e personalità importanti prendono posizione. Nel contempo cambiano gli argomenti a favore o contro la riforma costituzionale. Sembra persino riaprirsi il capitolo della legge elettorale, che non è parte della riforma costituzionale ma vi è strettamente connessa.
Il 15 luglio scorso «si è conclusa la fase di recupero dei corpi, o meglio dei resti umani» delle centinaia di migranti vittime del naufragio del 18 aprile 2015, avvenuto a 100 chilometri dalla costa libica e considerato la più grave fra le tragedie marittime avvenute nel Mediterraneo in questi anni.
E' il 9 aprile 2014 quando Sergio Ruggeri, un ex impiegato che abita nella periferia romana, uccide nel sonno la moglie Maria Teresa Favarelli, 64 anni, gravemente ammalata di cancro, e il figlio Alessandro di 36 anni, affetto da una grave disabilità fin dalla nascita. Una tragedia che ha stimolato il Parlamento a riprendere la discussione su una proposta di legge conosciuta come «Dopo di noi», a tutela delle persone con forti disabilità o non autonome venuti meno i loro familiari.
La reazione delle Chiese di fronte alla Brexit del Regno Unito dall’Unione Europea è stato di un unanime sentimento di sconcerto e preoccupazione. Per quanto riguarda gli anglicani, prima del voto, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, aveva dichiarato che «far parte dell’Europa vuol dire costruire ponti, non barriere». D’altra parte, a referendum concluso, gli ha fatto eco l’arcivescovo anglicano Christopher Hill, presidente della Conferenza delle Chiese europee (KEK), dichiarando: «Sono profondamente dispiaciuto per il risultato ma anche per la maniera con cui si è svolto questo referendum».
Il recente vertice della Nato a Varsavia (8-9 luglio) e l’incontro dei giovani cattolici con la presenza di papa Francesco a Cracovia per la Giornata mondiale della gioventù (26-31 luglio) riaccendono i riflettori sulla Polonia. Che cos’è il paese oggi, dopo i profondi cambiamenti politici intervenuti con le elezioni dello scorso anno (Regno-att. 2,2016,16)? Che cos’è la Polonia di oggi dopo la Brexit e la crisi strisciante nelle relazioni tra l’Unione Europea e i paesi dell’Est? Ne parliamo con Radoslaw Markowski, docente di Scienze politiche al Center for the Study of Democracy e direttore alla University of Social Sciences and Humanities di Varsavia.
La Grecia si trova nello scomodo ruolo d’incudine, battuta dai martelli di due crisi, quella economica e quella migratoria, tenuti dalle mani di un fabbro dal volto europeo: non solo le casse di Atene sono ormai vuote, ma la capitale greca si trova a dover gestire più di 57.000 profughi che sono rimasti bloccati nel territorio nazionale a causa della miope politica europea. In tale frangente l’appello per un’Europa dei diritti, dell’accoglienza e dell’inclusione è arrivato dal seminario internazionale «Grecia, paradosso europeo, tra crisi e profughi» organizzato dal 7 al 9 luglio ad Atene da Caritas italiana, Missio e Federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontario (FOCSIV).
Prima della crisi economica, la povertà in Grecia era relegata quasi esclusivamente a categorie marginali e marginalizzate, principalmente immigrati illegali e vittime di dipendenze. Ora coinvolge numerosi nuclei familiari giovani, spesso con figli minorenni. Per misurare gli effetti dell’austerity basta rivolgersi ai centri di ascolto e ai servizi sociali offerti dalla Chiesa cattolica attraverso Caritas e altre associazioni di volontariato: come infatti emerge dal dossier pubblicato da Caritas italiana "Grecia: paradosso europeo. Impoverimento, indebitamento, iniquità, ingiustizia", che ha preso in esame un campione di 2.677 famiglie, neppure il lavoro è un’assicurazione contro la povertà.
La nuova legge sul suicidio medicalmente assistito, approvata il 17 giugno dal Parlamento di Ottawa, è «deplorevole», è un «fallimento» della politica, del governo e di tutta la società: non si è stati capaci «di garantire una protezione umana autentica alle persone sofferenti e vulnerabili». Il giudizio di mons. Douglas Crosby, presidente della Conferenza episcopale canadese, non è tenero verso chi ha approvato la nuova legge sull’eutanasia.
Alle spalle della grande impresa di tradurre integralmente in italiano il Talmud babilonese ci sono molteplici fattori d’ordine culturale, organizzativo, tecnologico e istituzionale. Tra tutti questi aspetti privilegeremo il primo. Una delle caratteristiche più evidenti dell’universo talmudico è di essere, fin dal suo sorgere, espressione di una realtà collettiva. Si tratta di un immenso libro corale senza autore; nello stesso tempo, però, è anche un testo ricco di nomi di persona. È, per così dire, un coro composto da parti solistiche in costante dialogo reciproco. Si tratta di un lavoro collettivo senza essere per questo una raccolta anonima di sapienza popolare. Non ci sarebbe infatti il Talmud se non ci fossero state le varie generazioni di chakamim («sapienti, saggi»).
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Giacomo Coccolini, Eleonora Corti Savarese, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Manuela Panieri, Niccolò Pesci, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna, Paolo Tomassone.
Proprio perché la religione e la teologia scientifica fanno ormai parte della società odierna, diventa fondamentale sapersi districare velocemente su quelle opere che hanno contribuito a farne la storia, attingendo anche a repertori e lessici contenutisticamente completi e aggiornati. Il volume viene incontro a questa esigenza sotto diversi aspetti, aiutando «a farsi velocemente un’idea delle opere principali di un autore; a ricordarsi i contenuti principali di un’opera o a pregustarli; a informarsi su quanto è attualmente oggetto di discussione nella scienza teologica e a infondere il desiderio di conoscerlo meglio»
Il volume presenta i dati della ricerca «Ateismo e nuove forme del credere», promossa dall’Associazione piemontese di sociologia della religione, che ha permesso di studiare l’ateismo e la religiosità dei giovani mediante un’indagine condotta su un campione di 1.450 ragazzi e ragazze tra i 18 e i 24 anni. I risultati mostrano come il fenomeno della «non credenza» tra le nuove generazioni stia assumendo dimensioni ragguardevoli, impensabili fino a qualche tempo fa per un paese come l’Italia.
L'obiettivo di una solida storicizzazione, fondamentale in questo saggio, è l'autore stesso a dichiararlo: «Il compito della ricostruzione storica è quello di rendere comprensibile Lutero quale personaggio del XVI secolo attraverso la storia della sua recezione mediante una contestualizzazione coerente. Storicizzarlo non significa affatto giustificarlo o renderlo irrilevante o sminuirlo (…) Storicizzare Lutero significa collocarlo nel suo mondo, tanto diverso dal nostro (…) Storicizzare Lutero significa, però, anche considerarlo entro i limiti che egli stesso vedeva» (186s). Kaufmann, tra l’altro, non ha alcuna remora a usare il termine «antisemitismo» in quanto in Lutero, con quel suo riferirsi alla «natura», all’«essenza» degli ebrei, si possono cogliere espressioni proto-razziste. Ma quale significato ha per Lutero la parola «ebreo»?
Tutti gli anni interpretati da questo testo di p. Ghislain, come l’oggi della sua lettura, si possono raccogliere e unificare tra la scintilla iniziale di un incontro, e il tempo, preso per mano dalla fedeltà. Nessuna scintilla dura a lungo. Uno scoccare fulmineo, intenso, capace di far intuire la rotta. Così è giunto p. Ghislain nella nostra piccola comunità. Il tempo, le sue visite e le sue meditazioni, hanno svelato che il dono di un legame è un simbolo aperto alla ricerca, alla condivisione, a un dialogo di umanità orientata e illuminata dalla bellezza evangelica.
Da qualsiasi pagina lo si prenda, la scrittura di padre Timothy affascina. E si ritrova sempre un filo. Perché, come dichiara egli stesso, si tratta di raccontare delle storie; tutta la vita personale e la vita di fede è un susseguirsi di storie apprese, trasmesse e vissute. Qui se ne trovano davvero tante, dal Ruanda all’Inghilterra, dagli Stati Uniti all’Iraq e soprattutto l’Algeria che ritorna più e più volte con il ripercorrere dell’eredità dei monaci di Tibhirine e del confratello vescovo, Pierre Claverie, uccisi vent’anni orsono.
«Cosa importa? Tutto è grazia». Con queste ultime parole del suo protagonista, il Diario di un curato di campagna (Georges Bernanos, Mondadori 1952) si fissa per sempre nella nostra storia di lettori e nella storia della letteratura, perché il romanzo ha raccontato così tanto di noi da poter abitare tutte le epoche.
Dopo il dialogo con il teologo valdese Sergio Rostagno (Regno-att. 10, 2016,268), che ha inaugurato una serie d’approfondimenti in occasione del cinquecentenario della Riforma, presentiamo qui un’intervista a Giorgio Tourn, anch’egli valdese, pastore storico e teologo. Ancora oggi il protestantesimo in Italia appare come una minoranza sconosciuta ai più, che rivendica uno specifico ruolo storico e talora esprime una ricerca d’identità che prevale sulla disponibilità al dialogo col cattolicesimo (red.).
Era il 1979 quando un testo della Chiesa evangelica tedesca, Evangelische Spiritualität (Spiritualità evangelica) segnava un’inversione d’atteggiamento verso gli ordini religiosi: messi in secondo piano dalla Riforma, queste speciali comunità venivano riconosciute come «luoghi di grazia» da sostenere. Pur essendosi conservate alcune sporadiche forme di vita consacrata o comune nel corso dei 500 anni della storia della Riforma, la predilezione era comunque stata rivolta alle comunità locali, inserite nei contesti ordinari di vita delle persone.
Alla corte di Pechino, più di 250 anni fa, avvenne uno dei più affascinanti incontri della storia tra la cultura visuale, musicale e scientifica europea e quella cinese. Protagonisti furono i missionari scienziati e artisti a servizio della corte imperiale. Tra loro il più grande fu il gesuita milanese Giuseppe Castiglione, pittore, incisore, architetto e ingegnere di eccezionale talento.
Nel continuare il monitoraggio della situazione politica del continente latinoamericano (Regno-att. 2,2016,43), oltre a segnalare la «storica» firma – come l’ha definita il presidente della Conferenza episcopale della Colombia, mons. L.A. Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja – a L’Avana il 23 giugno scorso del «cessate il fuoco bilaterale e definitivo» tra il governo del presidente Juan Manuel Santos e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), la più antica guerriglia marxista del continente e la maggiore del paese (Regno-att.10,2015,642), vi sono altri due appuntamenti elettorali che meritano attenzione: quello del Perù e quello della Repubblica dominicana.
Fu «pastore e maestro, musicista e poeta, uomo giusto, attivista per i diritti umani, vescovo, architetto e gestore di tante buone opere, figura di spicco del protestantesimo e dell’ecumenismo latinoamericano e mondiale». Carlos Sintado e Manuel Quintero Pérez avevano definito così, nella biografia dedicatagli,1 Federico José Natalio Pagura, vescovo emerito della Chiesa evangelica metodista argentina (IEMA), spentosi a 93 anni il 6 giugno a Rosario.
Un crinale pericoloso, quello sul quale sta scivolando la Repubblica democratica del Congo, il gigante che con la sua instabilità da sempre influenza l’Africa centrale. Tutto ruota attorno alle prossime elezioni, alla loro data e alla candidatura (per ora mai ufficializzata) dell’attuale presidente Joseph Kabila per un terzo mandato (incostituzionale). Kabila continua a tacere. Ma le opposizioni si muovono come se fosse certo che il presidente in carica voglia correre ancora, o rinviare sine die il voto.
È accaduto tutto proprio alla vigilia della festa nazionale che doveva celebrare i cinque anni d’indipendenza del Sud Sudan. Era in corso una riunione nel palazzo presidenziale, alla quale prendevano parte Kiir e il vicepresidente ed ex rivale Riek Machar (che è stato reintegrato nel suo ruolo lo scorso aprile, ponendo fine anche formalmente a tre anni di conflitto; cf. Regno-att. 4,2016, 102; 8,2016, 238), quando si è scatenata una sparatoria.
Vita cristiana e trasmissione della fede: un binomio scontato, eppure oggi in crisi. Anche perché «i registri simbolici – liturgici e artistici – sembrano non avere più la loro antica capacità comunicativa, mentre l’indole testimoniale del cristianesimo rimane spesso sottotraccia, sepolta tra le polemiche attorno alla sua (ir)rilevanza pubblica». Tuttavia, poiché la tradizione ecclesiale non è un «museo» ma «azione vitale, tramite cui si realizza il rapporto tra le generazioni dei credenti» occorre riandare alla fonte della forma della vita ecclesiale al centro della quale c’è il sacramento dell’eucaristia. Ripercorrendo alcune riflessioni di R. Guardini in occasione di una sua famosa visita al duomo di Monreale e tramite un’esegesi sugli episodi dei discepoli di Emmaus e dell’apparizione del Risorto al Lago di Tiberiade, M. Naro anticipa alcuni temi che saranno al centro del prossimo congresso eucaristico nazionale che si celebrerà a Genova dal 15 al 18 settembre con il tema «L’eucaristia sorgente della missione. “Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro”» (Messale romano, Preghiera eucaristica IV).
Quando si è presi dal fascino della lettura, tra le pagine e il loro lettore si instaura un rapporto affettuoso e intimo. Leggere significa star soli con il proprio libro: gli occhi importano assai più della voce. L’espressione «i miei libri» riguarda la proprietà in larga misura solo nel caso del collezionista o del bibliofilo; per il lettore appassionato indica invece una collezione di esperienze, di ricordi e di immagini che poco hanno da spartire con il possesso materiale. Tutto ciò vale anche per la Bibbia? Questa prassi solitaria è applicabile pure al «Libro dei libri»? Per rispondere, iniziamo da una considerazione che suona, ma non è, un semplice gioco di parole: la Bibbia non è solo il «Libro dei libri», è anche un «Libro di libri (o di libretti)».
Sono il portavoce del gruppo «Ospitare i rifugiati» della mia parrocchia romana e qui racconto qualcosa della nostra esperienza, tra entusiasmo e delusione. Costruire il gruppo è stato facile ma abbiamo atteso a lungo l’arrivo della prima ospite e questa è stata già una prova per la tenuta del gruppo. Ci eravamo appena affezionati a lei quand’è arrivata una seconda, le due hanno litigato e la prima se ne è andata senza un «grazie». Altra prova viene dall’impressione che sia poco, troppo poco quello che si fa e non solo in parrocchia ma in Roma e in Italia. Per andare avanti occorre, qui come sempre, imparare l’umiltà e restare fedeli nel poco.