Le elezioni amministrative del 5 giugno e i ballottaggi del 19, soprattutto in città capoluogo di regione come Torino, Milano, Trieste, Bologna, Roma e Napoli mostrano un panorama politico nazionale nient’affatto ricomposto. Troppo significative le città coinvolte per derubricarne l’esito a questioni solamente locali. E troppo profondi i cambiamenti che segnalano per non immaginare un effetto ulteriore dal piano locale a quello nazionale.
O «la pietà popolare diventa possibilità d’incontro con lui e possibilità di pubblica dichiarazione del nostro amore incondizionato per lui, o si riduce a messa in pratica di riti, anche antichi, ma deformati, svuotati, ridotti a pratiche superstiziose o strumentalizzate nell’illusoria convinzione che dimostrare di avere il governo del culto – e quindi poter decidere la sosta di una statua – sia segno della benevolenza di Dio». Un richiamo netto del vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, che è tornato sul tema delle processioni organizzate in occasione delle feste dei santi, scrivendo a don Fernando Russo, parroco di Livardi, frazione di San Paolo Bel Sito (NA).
Una bomba al mese. Con un crescendo d’intensità da febbraio a maggio. Gli attentati, avvenuti nelle Marche, nella diocesi di Fermo, per fortuna hanno provocato solo danni e non feriti. A ricostruire con Il Regno gli ultimi episodi è don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco.
È un messaggio di dialogo e riconciliazione quello che conclude il Santo e grande Concilio delle Chiese ortodosse, tenutosi a Creta dal 19 al 26 giugno, dopo una preparazione di 55 anni (dal 1961; cf. Regno-att. 2,2016,8). Nella liturgia conclusiva, celebrata nella chiesa di San Pietro e Paolo a Chania, dopo il Vangelo è stato letto il Messaggio del Santo e grande Concilio della Chiesa ortodossa al popolo ortodosso e a tutte le persone di buona volontà, approvato dai circa 230 vescovi e gerarchi delle 10 Chiese ortodosse autocefale convenute, che sintetizza il significato dell’evento, percepito da tutti i partecipanti come storico.
Sul Concilio panortodosso abbiamo raccolto alcune impressioni da sua beatitudine il metropolita Sawa, primate della Chiesa ortodossa polacca (autocefala).
Padre John Chryssavgis, teologo ortodosso dell’arcidiocesi greca ortodossa in America e portavoce del Patriarcato Ecumenico, ha risposto ad alcune domande che gli abbiamo posto a Kolympari nei primi giorni del Concilio.
Autonomia e mezzi per proclamarla; la diaspora ortodossa; relazioni della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano; l’importanza del digiuno e la sua osservanza oggi; il sacramento del matrimonio e i suoi impedimenti; la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo
La ricorrenza del Cinquecentenario della nascita della Riforma, che culminerà con una serie di appuntamenti e una celebrazione ecumenica cui parteciperà papa Francesco in Svezia a Lund il prossimo 31 ottobre, è l’occasione per ripercorrere il cammino sia delle Chiese sia del movimento ecumenico. Inauguriamo con un’intervista a Sergio Rostagno, emerito di Teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia con sede a Roma, un percorso di dialoghi e approfondimenti sul tema (D. Sala).
L'uscita del libro Penser avec le genre. Sociétés, corps, christianisme è legata alla Manif pour tous che, in Francia, rimarrà negli annali dei grandi movimenti sociali e politici. Nel libro Métamorphoses catholiques, che a essa hanno dedicato Cécile Beraud e Philippe Portier, questi due sociologi noti al cattolicesimo francese si dichiarano estremamente sorpresi. Con un tasso di pratica religiosa caduto a livelli molto bassi e in una situazione di exculturazione che molti pensavano senza rimedio, non si credeva che i cattolici fossero ancora in grado di tornare nella vita pubblica, con il sostegno di altre denominazioni cristiane (protestanti e ortodossi) e di altre religioni (ebrei e musulmani), e soprattutto da catalizzatori di numeri così grandi di persone e da sostegno all’espressione di emozioni così intense, in cui probabilmente si è riconosciuta metà della popolazione.
Nell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia (cf. Regno-att. 6,2016,129; 8,2016, 243), papa Francesco è attento a considerare quasi completamente la variabilità della fragilità umana. L’esperienza d’ogni aspetto nel quale si declina il termine «fragilità» – il fallimento, la perdita, la mancanza di controllo, la rottura delle relazioni, la debolezza, la difficoltà di adattamento, il lutto ecc. – è profondamente umana.
La riforma di papa Francesco prosegue anche per quanto riguarda il terzo ambito (cf. Regno-att. 2,2015, 83): dopo la sinodalità e la curia, quello della protezione dei minori. Si tratta infatti non solo di ripensare gli strumenti giuridici necessari a ogni Chiesa locale per combattere l’odioso fenomeno delle violenze – specialmente sessuali – sui minori, ma anche dell’impegno per una loro effettiva applicazione, di cui, in ultima istanza, è garante l’ordinario locale.
La partecipazione della Chiesa cattolica al dibattito pubblico – con ciò che dice e a maggior ragione con ciò che fa, quando è coerente con ciò che dice e quando non lo è – non è indifferente nell’indirizzare il dibattito stesso, specialmente quando tale partecipazione non è condizionata dalla pretesa di dettare le regole della convivenza civile, ma piuttosto dalla convinzione di potere contribuire, con la ricchezza della visione dell’uomo appresa dal Vangelo, al bene comune. Ciò è accaduto in tempi recenti in tema di ambiente e di sviluppo con l’enciclica di papa Francesco Laudato si’, e certamente sta accadendo anche in tema di migranti e profughi.
L'apertura, lo scorso 29 novembre, della porta santa a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, ha dato di fatto il via al Giubileo della misericordia. In collegamento video con la cattedrale del paese, povero e martoriato da un conflitto fratricida, il mondo assisteva a una sorta di nascita di una capitale spirituale del mondo, simbolo dei poveri tanto presenti nel cuore di papa Bergoglio, così come tanti altri suoi gesti hanno poi confermato.
La trattatistica teologica, prima di quella che va sotto il nome di «crisi ecologica» scoppiata agli inizi degli anni Settanta con l’allarmante dossier del Club di Roma, I limiti dello sviluppo (1972), quando trattava della natura, poneva il problema (sempre valido) di come si possa conoscere Dio a partire dalla natura. Ma, ora, la prospettiva cambia e il problema diventa come si possa conoscere la natura a partire da Dio: la dottrina della creazione assume nuovi connotati e diventa dottrina ecologica della creazione.
L’atteggiamento tenuto da Giorgio La Pira verso i temi trattati in questo volume – in estrema sintesi: l’antisemitismo, gli ebrei, lo Stato di Israele, il conflitto in Palestina –1 è già stato oggetto di diversi e solidi studi. La ragione principale che ha portato a stipulare una convenzione tra la Scuola normale superiore e la Fondazione La Pira, al fine di svolgere una nuova ricerca relativa a questi stessi argomenti, si può ricondurre a un triplice ordine di motivi.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Giacomo Coccolini, Eleonora Corti Savarese, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Niccolò Pesci, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna, Paolo Tomassone.
Quando nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium viene enunciato il principio della superiorità del tempo sullo spazio, contemporaneamente Francesco addita una prospettiva e propone uno stile (cf. nn. 222-225). La prospettiva è quella dell’escatologia cristiana, ovvero l’orientamento delle pratiche credenti in funzione non tanto dell’origine quanto della loro piena realizzazione finale. Lo stile è quello di una ritrovata conciliazione tra spazio e tempo.
Un memoir che rievoca le tappe fondamentali che hanno segnato l’avventura umana e professionale dell’ex procuratore capo della Repubblica di Torino, dalle radici piemontesi alla carriera in magistratura, dall’incontro con la moglie Laura all’esperienza alla procura di Palermo, dalla passione per il calcio ai valori religiosi che hanno plasmato il suo senso della giustizia.
Lo studio affronta il tema delle vocazioni, con le sue luci e le sue ombre, nella Compagnia di Gesù fra il XVI e il XVII secolo. È in questo periodo che nacque e s’affermò l’ordine in un clima di guerre di religione e di sanguinosi conflitti politici. Per la Compagnia il compito missionario primario era l’educazione dei giovani. Così si spiega la distribuzione in tutta Europa dei suoi collegi. Ed è proprio in queste scuole che prese forma la teologia ma anche la matematica, la cultura umanistica in generale, le lingue antiche (latino, greco, ebraico).
È proprio in queste lettere che ora ci viene restituita Annalena, con tutta la sua passione per gli ultimi, quelli «scartati da tutti e che nessuno vuole più, perché con lo stigma della lebbra o della tubercolosi, perché sordomuti o ciechi». Le introduzioni, molto belle e intense, di Enza Laporta e di Maria Teresa Battistini inquadrano in modo incisivo ed esauriente gli avvenimenti storici che hanno sconvolto la Somalia nel decennio 1985-1995. In questo modo si capiscono meglio le riflessioni di Annalena, che si snodano proprio in quegli anni.
Curato dall’organizzazione «Breaking the Silence», attiva dal 2004 e composta da ex militari della IDF, lo scopo del volume è far conoscere la realtà quotidiana della presenza militare israeliana nei Territori occupati mediante la testimonianza dei soldati che vi prestano servizio.
Un incipit chiaro – «Il Corano? Parliamone!»; un progetto ben definito, con un occhio ai cambiamenti della nostra società nel panorama globale, segnato da guerre a sfondo religioso e dalla necessità di definire, lontano dagli allarmismi, «chi sono i musulmani, cosa pensano, in cosa credono». Questo il motore della nuova collana «Islam. Saperne di più», recente pubblicazione delle edizioni Paoline. Il lavoro è stato progettato e svolto in collaborazione con il Centro interculturale F. Peirone di Torino. I volumi successivi affrontano temi ricorrenti nella comunicazione di massa ma allo stesso tempo poco approfonditi come il jihad (volume a cura di Silvia Scaranari, co-fondatrice del Centro Peirone) e shari’a.
Questo piccolo diario di Flannery O’Connor è la preghiera più piena che si possa concepire. Non c’è spazio per niente che non sia quello che in lei è già chiarissimo, talmente luminoso che tutto il resto è sfondo, anche la potente scena del mondo che poi abiterà la sua scrittura come forma di ossessiva fedeltà. Non è preghiera del vuoto, Signore sono qui, fa’ di me ciò che vuoi. Ciò che vuole, Flannery lo scrive senza il velo del bon ton borghese: «Per favore aiutami caro Dio a essere una brava scrittrice e a riuscire a far accettare qualche altra mia opera».
Immediatamente a ridosso del doppio centenario celebrato nel 2009 – 200 anni dalla nascita di Charles Darwin e 150 anni dalla pubblicazione de L’origine della specie –, il volume offre molti elementi di sintesi per una relazione feconda tra l’evoluzione e la creazione, tentando di fuoriuscire da quel «punto nevralgico» (J. Arnaud) verso il quale sono convenuti molti dei dibattiti di questi ultimi anni: «adattamento, progresso, concordanza con la credenza in un Dio ordinatore, creatore e onnipotente; oppure, al contrario, costrizioni, contingenza, giochi di possibilità, cieco orologiaio» (50).
Il testo del papa che ha concluso i lavori del Sinodo biennale sulla famiglia, l’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, ha fatto letteralmente la gioia sia del mondo ecclesiale – per l’ampia materia su cui discutere – sia di quello editoriale: infatti, i volumi che ruotano attorno a esso sono tuttora nelle classifiche dei più venduti, a più di tre mesi dalla pubblicazione (8 aprile). Due sono le grandi categorie in cui raggruppiamo i volumi sinora usciti: quelli che presentano il testo dell’esortazione con o senza un commento «illustre» che l’accompagna; e quelli che costituiscono un vero e proprio approfondimento.
In un incontro (Strasburgo, 31 maggio – 1 giugno) organizzato dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), dalla Missione permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa e dalla ICCP, insieme a rappresentanti di altre Chiese e confessioni religiose, si è cercato di definire quale «visione pastorale» possa aiutare a prevenire la radicalizzazione. Il fenomeno – le cui radici sono anche il sovraffollamento, condizioni inadeguate, atteggiamenti di discriminazione o islamofobia, misure disciplinari sproporzionate – è stato oggetto d’analisi così come le misure giuridiche in vigore nell’area UE e del Consiglio d’Europa.
Dal 2 giugno c’è una donna alla guida delle Settimane sociali dei cattolici francesi (SSF), Dominique Quinio, classe 1952, già direttrice per un decennio del quotidiano cattolico francese La Croix. Ciò segna una prima volta nella storia di quest’associazione, «spazio di formazione, dibattito e proposte sulle grandi sfide della società». Nate nel 1904, per iniziativa di due laici cattolici, Marius Gonin e Adéodat Boissard, le SSF erano inizialmente «università itineranti e aperte» per far conoscere il pensiero sociale della Chiesa.
Da un lato del confine, il tentativo di ricominciare. Dall’altro, il conflitto che riesplode, peggiorando una situazione umanitaria già critica. Il nordest della Nigeria e il sudest del Niger si trovano ancora una volta a dover far fronte alle conseguenze della presenza di Boko Haram nella regione. Ben diverse, però sono le condizioni sul terreno.
Sono centinaia di migliaia, abitano quella che di fatto è la terza città del Kenya, ma non sono cittadini. Molti non hanno visto altri paesi in tutta la loro vita, ma hanno solo i diritti che la condizione di rifugiato concede loro. Anche questi, però, sono a rischio dal momento in cui, lo scorso 6 maggio, il governo kenyano ha annunciato la chiusura entro un anno di tutti i campi profughi presenti nel paese.
Le sfide che l’Europa deve affrontare, anche all’indomani della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione Europea, sono sotto gli occhi di tutti e sono particolarmente evidenti i segni della sua debolezza politica, economica e demografica. Ciò costituisce un vero e proprio declino che tuttavia va letto senza allarmismi e riduzionismi.
Non «ho alcuna linea diretta con Dio per sapere la risposta giusta», ma «da parte mia, sulla base di quello che ho detto e di ciò che ho vissuto, voterò per rimanere» (cf. Regno-doc. 9,2016,281). Senza giri di parole si conclude l’articolo apparso domenica 12 giugno sul Mail on Sunday firmato Justin Welby, arcivescovo di Westminster e primate della Chiesa anglicana. Il suo contributo, precisa il sito della Chiesa anglicana, è un «articolo personale», che esce dieci giorni prima del referendum britannico con cui, giovedì 23 giugno, i cittadini di sua maestà Elisabetta hanno detto che non vogliono continuare a far parte dell’Unione Europea.
Credo che si possa ragionevolmente dire che la lunga vita di Arturo Paoli sia stata un unico lungo atto d’obbedienza, al Padre, alla Chiesa, ai poveri. Ma ci sono stati tre momenti centrali nella sua vita, in cui l’obbedienza alla Chiesa, costatagli molto dolore e sofferenza, si è rivelata in tutta la potenza salvatrice, e che meritano di essere analizzati, perché sono stati per lui uno spartiacque della vita, il fondamento della sua seconda nascita.
Chi è un ebreo? Dall'antichità e fino a oggi, la distinzione tra appartenenza religiosa all'ebraismo e appartenenza etnica/nazionale al popolo ebraico ha avuto confini variabili e cangianti.
I nostri vescovi hanno tutte le ragioni di temere il nuovo, il papa fa bene a spingerli ad affrontarlo. La posta in gioco è alta, la situazione è creativa: rispondevo così – nei giorni dell’Assemblea della CEI – a una domanda televisiva sul disagio che da tre anni segna il rapporto tra il nostro episcopato e Bergoglio. Tanti ne parlano, pochi lo indagano. Ci provo, mettendo in ordine gli spunti di conversazioni con vescovi nei miei giri per conferenze.