È stato il viaggio più lungo, il viaggio più faticoso, il viaggio che più chiaramente ha definito la sua visione di una missione in cambiamento della Chiesa nel mondo. A Cuba e negli Stati Uniti dal 19 al 28 settembre papa Francesco ha viaggiato dai margini della società al cuore del potere politico. Ha incontrato presidenti, ha parlato alle Nazioni Unite e al Congresso degli Stati Uniti e ha concluso un incontro mondiale delle famiglie. I temi dei suoi incontri e discorsi sono stati molti, ma ciò che li ha accomunati tutti è stato il suo impegno a far sì che la Chiesa sia a servizio delle persone, aiuti gli esclusi, pungoli i potenti e contribuisca a delineare il dibattito globale sulla giustizia sociale. Francesco ha definito il suo mandato come derivante direttamente dal Vangelo.
La visita di Francesco negli Stati Uniti cade nel terzo anno del pontificato, e pare essere un appuntamento quasi obbligato (in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia, deciso da Benedetto XVI) più che ricercato. In questo senso il rapporto tra papa Bergoglio e il cattolicesimo statunitense non risulta affatto naturale, ma tutto da costruire. Le difficili relazioni tra il Vaticano di Francesco e l’episcopato USA (specialmente alcuni suoi esponenti, come i cardinali George e Burke) nei due anni intercorsi dall’elezione hanno reso la visita più difficile e allo stesso tempo più urgente. Allo stesso tempo, l’elezione di Francesco ha contribuito a chiudere un prolungato periodo d’alta tensione (tra il 2009 e il 2013) tra l’episcopato e l’amministrazione Obama, e ad aprire un fronte tra la Conferenza dei vescovi e il Vaticano del papa argentino.
Nelle ultime settimane, l’Ungheria è finita sulle prime pagine in tutta Europa e un terribile «meme» negativo si è diffuso prima di tutto sul suo primo ministro Viktor Orbán e poi sul suo primate card. Péter Erdő. È stato e sarà ripetuto come un ritornello cantilenante: è finita la cultura della democrazia e dei diritti umani (su Orbán); è finito il cristianesimo e la solidarietà cristiana (su Erdő). Giustamente, a prima vista. Orbán ha fatto una campagna in favore di un programma d’internamento delle persone immigrate illegalmente, per stabilire con rapidità se sono rifugiati politici o semplicemente persone in cerca di una migliore qualità di vita. In questo secondo caso la persona dovrebbe essere rispedita là da dove è arrivata.
Fanno «quello che vogliono»: alla vigilia dell’annuncio che il governo colombiano e le Forze armate rivoluzio-nare della Colombia (FARC) firmeranno la pace definitiva al massimo entro sei mesi, il giudizio del mio vicino di posto sul volo Bogotà-Florencia1 nei confronti delle FARC è lapidario. E non è il solo, da queste parti, a pensarla così. Lavorando come veterinario per una multinazionale, riceve sempre più spesso dalla sua azienda l’avviso di cambiare l’itinerario degli spostamenti perché la via consueta si è fatta insicura a causa della guerriglia.
All’Aquila, sei anni dopo il terremoto, le ferite sono ancora evidenti ma ormai lo stesso può dirsi per l’espandersi della ricostruzione. Nel paesaggio del centro storico le transenne, i puntelli, i tubi che ingabbiano le case s’alternano con le gru, le impalcature e gli edifici già perfettamente restaurati, ripristinati dal punto di vista architettonico, non da quello abitativo. Il centro si popola solo nelle sere estive, in forma massima nella prossimità della Perdonanza celestiniana (28-29 agosto).
La frequentazione assidua delle opere di san Tommaso d’Aquino ha fatto emergere alcuni elementi della sua concezione del matrimonio che possono essere utili all’esame della pratica che regola oggi l’accesso alla comunione eucaristica di divorziati risposati, stabilita nel n. 84 di Familiaris consortio (FC), nel n. 29 di Sacramentum caritatis (SC) e in alcuni documenti connessi. San Tommaso insiste nell’affermare che il matrimonio ha origine dall’amore mutuo dei coniugi, il quale, reciprocamente donato e promesso nella fedeltà per tutta la vita, costituisce l’essenza del matrimonio stesso e la sua ragione o fine proprio e prossimo. La generazione della prole, la sua crescita e la sua educazione, fanno parte dell’agire degli sposi e contribuiscono, in qualche maniera, alla realizzazione del fine proprio del matrimonio, ma non ne costituiscono la ragione propria né rientrano in ciò che è l’essenza del matrimonio.
Il processo ordinario e il processo breve sono davvero necessari? Per capire questa domanda è utile partire un po’ da lontano andando al vecchio can. 1676 del CIC, ancora in vigore fino al prossimo 8 dicembre 2015, che così suona: “Il giudice prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia ricorso a mezzi pastorali, per indurre i coniugi, se è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale (coniugalem convictum)”.
Dal 1o settembre si sono ufficialmente riaccesi i riflettori sul Sinodo della famiglia con tre novità che indicano una direzione ai lavori. Innanzitutto per l’arrivo della lettera «con la quale si concede l’indulgenza in occasione del giubileo straordinario della misericordia» rivolta a mons. R. Fisichella che, in quanto presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, è il responsabile organizzativo dell’Anno santo (Regno-doc. 29,2015,1). Anche se affronta nello specifico l’indulgenza, il fatto che essa parli della «facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono perdono», specificando anche che «l’Anno della misericordia non esclude nessuno» – nemmeno i sacerdoti della fraternità San Pio X che potranno confessare «validamente e lecitamente» i fedeli secondo le intenzioni del Giubileo – fa supporre che il mantello della misericordia steso da Francesco sia così ampio che possa avvolgere anche la questione dei divorziati risposati e del loro accesso ai sacramenti. A prescindere, in qualche modo, dagli esiti del Sinodo stesso.
La Conferenza dei vescovi latini dell’India ha portato il questionario pre-sinodale a un elenco di 46 domande e le ha distribuite a 80 diocesi in tutta l’India, ricevendo oltre 50.000 risposte. Alla domanda circa le sfide derivanti dai matrimoni interreligiosi, la risposta è stata che «a parte la legislazione canonica non ci sono linee guida pastorali per gestire situazioni concrete, ad esempio lo sposarsi di nuovo secondo altri riti o partecipare a celebrazioni secondo altre fedi. Tuttavia l’opinione generale è che la Chiesa dovrebbe essere più accomodante». Si potrebbe aggiungere che la legislazione canonica è pre-concilio Vaticano II. In seguito è stato poi reso noto che una coppia cristiana-induista, i signori Penny e Ishwar Prasad di Mumbai, India, è stata invitata al Sinodo. Così, forse, al momento opportuno il tema emergerà nella discussione.
Credo che la prima reazione di fronte alla nuova enciclica di papa Francesco debba essere di gratitudine. C’era bisogno di una voce di grande autorevolezza che sollecitasse la riflessione e l’impegno di tutti – credenti e non – sul tema della cura della casa comune. Il papa lo fa con ampiezza di orizzonti, descrivendo le varie dimensioni della crisi che l’umanità sta vivendo.
L’annuncio di un anno giubilare della misericordia mi provoca come pastore; tutto il magistero di papa Francesco è sotto il segno di una «pastorale in conversione» (Evangelii gaudium, nn. 25-33; Regno-doc. 21,2013,646ss). La scelta di privilegiare il profilo pastorale è perfettamente coerente con il cammino indicato dal concilio Vaticano II. Nel tempo postconciliare, forse proprio questo è mancato: la capacità di tradurre in pratiche pastorali le intuizioni conciliari. Credo che l’indizione di un anno giubilare non possa essere letta solo come uno dei tanti eventi che hanno dato un rilievo alla Chiesa nella sua dimensione universale, ma piuttosto debba riflettersi nelle forme pratiche delle Chiese locali, ovvero nella vita delle parrocchie. Mi sento per questo provocato come parroco a pormi questa domanda: che cosa significa ripensare un cammino di Chiesa e di parrocchia alla luce dell’annuncio della misericordia?
Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! (Lc 3,6): l’annuncio del profeta Isaia, che l’evangelista Luca riprende e pone all’inizio della sua narrazione evangelica, è stato scelto dall’Associazione teologica italiana (ATI) come titolo del XXIV Congresso nazionale che, tenutosi ad Assisi dal 31 agosto al 4 settembre 2015, ha messo a tema della riflessione comune la soteriologia cristiana.
Secondo alcuni teologi e studiosi della pastorale è finito il tempo della parrocchia territoriale. Il modello tradizionale – «solido» – della comunità radicata in un territorio e con un preciso riconoscimento giuridico, la Chiesa «posta al centro del villaggio» che si prende cura di quanti vi abitano stabilmente, presenta oggi molti limiti e rischia di non rispondere più alle esigenze della società contemporanea. Essa è una società «liquida» – secondo la celebre espressione del sociologo Zygmunt Bauman –, in cui stanno scomparendo le comunità e prevalgono l’individualismo e la dispersione.
Sarebbe interessante, ma eccessivo per un intervento breve come questo, ricostruire con ordine le tappe del cammino di progressiva «aziendalizzazione» della scuola: prendiamone atto, soltanto, come di un processo che, in forme ora palesi ora surrettizie, si è imposto riplasmando profondamente le condizioni d’esercizio della vita scolastica, tanto per gli insegnanti quanto per i discenti.
Con la pubblicazione del secondo e atteso volume Seguendo Gesù,1 due tra i maggiori studiosi di letteratura e storia del cristianesimo antico, Emanuela Prinzivalli, docente alla Sapienza, e il suo maestro, Manlio Simonetti, accademico dei Lincei, completano il progetto di offrire al pubblico che legge l’italiano – un pubblico piuttosto vasto, nel quale vanno fatti rientrare, e a buon diritto, anche molti studiosi stranieri di vaglia – un’edizione integralmente nuova di autori o scritti d’età subapostolica (quelli che, con una espressione usuale fino a qualche tempo fa, ma oggi giustamente rifiutata, se non altro nei testi scientifici, per la sua inadeguatezza, si era soliti indicare come i «padri apostolici»), significativi, oltre che per il loro indubbio valore letterario, in quanto ancor oggi le migliori fonti documentarie per conoscere la polimorfa realtà della Chiesa nascente.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Maria Caterina Bombarda, Eleonora Corti Savarese, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Marco Giardini, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna.
Mai come negli ultimi tempi si è fatto appello ai martiri uccisi «perché cristiani». A ricordarlo, ripetute volte nel corso dell’anno, è stato papa Bergoglio, quando ha fatto riferimento alle uccisioni di cristiani in Pakistan, in Siria, Kenya, Iraq e Libia.
Sul confine. Sembra questa la cifra migliore per descrivere la raccolta Le chiese scomparse di Domenico Segna, collaboratore storico della rivista, caporedattore de I Martedì e grande appassionato del dialogo ecumenico, oltre che di letteratura e di libri.
Lungo questo libro si respira il sentimento d’affetto e gioia dell’autore per la novità che sta portando il pontificato di Francesco nella Chiesa. Il testo può essere letto come esposizione della linea pastorale del papa ma anche come risposta ai tanti suoi critici. Infatti, non sono pochi dentro e fuori la Chiesa quelli che lo rimproverano di non dar seguito alle riforme promesse, o anche quelli che lo accusano di portare la Chiesa alla «deriva». Per il cardinale W. Kasper, Bergoglio è un intelligente conservatore. Gli fa eco La Valle: «Sul piano dottrinale non è un progressista e infatti molti progressisti non lo amano», perché i suoi punti di riferimento sono parte integrante della tradizione della Chiesa e della Compagnia di Gesù, come il culto mariano e la devozione popolare. Ma per l’autore queste critiche appaiono povere rispetto ai contenuti di tutta la sua attività pastorale.
L'occasione – è proprio il caso di dirlo – era troppo ghiotta e con la celebrazione a Milano dell’EXPO 2015 dedicato a «Nutrire il pianeta» anche il tema del rapporto tra cibo e religioni ha trovato un suo spazio e ha portato alla pubblicazione e ristampa di alcuni volumi per l’evento. Innanzitutto per ricordare il suo alto valore simbolico assieme al ruolo del mero sostentamento: «il cibo – spiega infatti anche il sito web del padiglione della Santa Sede – [è] valore primario nella vita degli uomini» e da sempre è «oggetto di riti, simboli, racconti, calendari e regole ma anche strumento per conoscere la propria identità e costruire relazioni con il mondo, il creato, il tempo e la storia». E poi per non dimenticare l’ingiustizia della fame in alcune parti del mondo che grida vendetta a fronte di una «religione del cibo» di altre zone meno fortunate del pianeta.
Può capitare di leggere le 587 pagine scritte in caratteri lillipuziani de Il giuoco delle perle di vetro1 a diciannove anni, dopo non aver amato né il didascalico Narciso e Boccadoro né l’ecumenico Siddharta, infinitamente più accattivanti nel loro offrirsi a una lettura tutto sommato facile, quali che poi siano le profondità che molti ci vedono fra una riga e l’altra. Ci si arriva magari portandoselo in valigia a un campo di studio organizzato dai gesuiti, fra le montagne dell’Alto Adige a Selva di Val Gardena. Corso di maturità teologica si chiamava, ragazze e ragazzi usciti dalla maturità e immersi in quel momento unico nella vita in cui ogni cosa sembra possibile, squadernata davanti a noi, vertigine di libertà da attraversare.
Indissolubilità, fedeltà e fecondità sono le tre caratteristiche del sacramento del matrimonio, sulle quali a breve riprenderà la discussione magisteriale e pastorale dei vescovi cattolici, nella XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo» (a Roma dal 4 al 25 ottobre). Ma quegli stessi tre temi sono al centro del dibattito teologico da quasi 100 anni, e le risposte che sinora sono state date non hanno centrato l’obiettivo di rendere comprensibile e attuale il significato del sacramento in un quadro sociale e antropologico radicalmente mutato. L’inquadramento del problema in una chiave storico-teologica e sistematica, e la valutazione delle relative conseguenze per il magistero, offerti dal teologo Peter Hünermann, permettono di capire quali spazi si possano aprire per affrontare la questione con occhi nuovi e impostare una risposta teologica in grado di orientare le scelte pastorali non più rinviabili.
Il banchetto escatologico simboleggia il congedo da quanto sia di positivo sia di negativo c’è nel mondo. In ciò sta la sua componente paradossale. Il mangiare e il bere sono la testimonianza inconfutabile della non autosufficienza umana. Nessuno può continuare a vivere senza dipendere quotidianamente dall’altro da sé: aria, acqua, cibo. A nessuno è dato di superare questo limite.
A seguito del comunicato pubblicato sul n. 7/2015 della rivista, nel quale il direttore comunicava la decisione della Direzione aziendale del Centro editoriale dehoniano di chiudere dal prossimo gennaio la rivista Il Regno (assieme a Settimana e Musica e assemblea), abbiamo ricevuto numerose lettere, email e messaggi di solidarietà. Ne pubblichiamo la gran parte così come ci sono arrivati e seguendo un ordine meramente cronologico.
Dopo vari esperimenti ho avviato un nuovo corso del mio blog e la favola ha una morale: che se hai un blog è necessaria una «moderazione» costante dello stesso. Una rottura per il gestore, ma non vedo alternative. Lasciarlo libero, anche solo mezza giornata, sarebbe come una maestra che s’assentasse dall’aula per due ore: al rientro troverebbe qualche astuccio e alcune piccole ossa. Grazie al nuovo corso posso dire che non sono più in conflitto con il blog e come avevo dato conto della battaglia (ad aprile in questa rubrica: «Sono in lite con il blog e mi chiedo a che serva», in Regno-att. 4,2015, 287s), così ora faccio il punto sulla pace. Uno dirà: è così importante quello che succede in un blog? No, per nulla. Ma può essere utile capire il fenomeno, che va oltre i blog ed è grande quasi quanto la realtà. Mi considero un esploratore ai bordi della blogosfera.