L’eco di questo viaggio africano di papa Francesco rimarrà. Non fosse altro che per la storica apertura di un giubileo fuori da Roma, in una sperduta periferia del mondo, a Bangui, in Centrafrica. Il suo linguaggio è simbolico: cammina in mezzo alla gente rinunciando di fatto alle misure di sicurezza in zone del tutto insicure e nel tempo della paura terroristica; visita i luoghi e le situazioni al limite dell’esistenza e da queste interpella le coscienze; cerca i giovani, ai quali parla con linguaggio da parroco; i quattro legni incrociati del portone di una chiesa diventano la porta santa del Giubileo. È una Chiesa giovane e ancora precaria quella centrafricana e questo è un altro simbolo col quale riorientare tutta la Chiesa cattolica. Francesco si conferma come il papa delle periferie.
Morenos, trigueños, niches, chocoanos, palenques, afrocaleños, neri, mulatti. Parole diverse, ciascuna con una propria sfumatura di significato, ma col denominatore comune d’indicare tutte i pronipoti degli schiavi: in un vocabolo solo, gli afrocolombiani. Cali – capitale del dipartimento di Valle del Cauca e terza città della Colombia – è la città del paese col maggior numero di afrodiscendenti, seconda del Sudamerica. Gli afro si sono riversati in città, abbandonando la costa dell’oceano Pacifico dove erano localizzati originariamente, per lo più a motivo del conflitto armato, della mancanza di lavoro, di calamità naturali, dell’inquinamento ambientale provocato dalle attività minerarie incontrollate.
Misericordia è parola che, prima ancora di diventare l’emblema del prossimo anno giubilare, ha via via assunto un ruolo sempre più centrale tra i connotati principali di questo pontificato. Si deve subito aggiungere che è stato lo stesso papa Francesco a scoraggiare i tentativi di cogliere in ciò un’implicita polemica con i suoi predecessori, non mancando di richiamare testualmente in varie occasioni, e in particolare nel discorso conclusivo del recente Sinodo dei vescovi, eloquenti e consonanti espressioni del loro magistero, in cui quel vocabolo risuona a sua volta alto e forte.
Da gennaio a novembre 2015 papa Francesco ha nominato 21 nuovi vescovi italiani, che rappresentano circa il 10% dell’intero corpo episcopale (presente in 226 diocesi). Circa una quarantina erano a inizio 2015 le diocesi italiane che necessitavano di un ricambio, a cui si sono aggiunte anche le tre sedi nelle quali nel corso dell’anno il vescovo è venuto a mancare: Modena (A. Lanfranchi), Molfetta – Ruvo – Giovinazzo – Terlizzi (L. Martella) e Pescia (G. De Vivo).
Non è difficile riassumere in poche righe le vicende alle quali, unanimi, i media fanno riferimento con il termine di «Vatileaks 2». Due giornalisti, Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, a diverso titolo professionisti dello scandalismo vaticano, entrano in possesso di una serie di documenti prodotti, tra il 2013 e il 2014, nell’ambito della Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede (COSEA), e ne ricavano due libri, intitolati rispettivamente Via Crucis (Chiarelettere) e Avarizia (Feltrinelli).
Nelle ultime settimane due eventi significativi hanno evidenziato i progressi ugualmente significativi che il dialogo cattolico-luterano ha compiuto negli ultimi 50 anni: il documento "Dichiarazione lungo la strada" dell'organismo di dialogo negli Stati Uniti e la visita di Francesco alla comunità luterana di Roma.
Incontro mons. Martin a Roma nelle giornate conclusive del Sinodo per la famiglia. Sottosegretario del Pontificio consiglio della giustizia e della pace dal 1986 al 1994 e poi segretario, nel 2001 viene nominato da Giovanni Paolo II osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Nel 2004 diviene arcivescovo di Dublino. Sono gli anni in cui emergono in crescendo le denunce di violenze sessuali attraverso sia i rapporti ufficiali sia le denunce delle vittime. Nel 2010 arriva la Lettera ai cattolici d’Irlanda a firma di papa Benedetto. L’anno dopo, in seguito alla pubblicazione del Rapporto Cloyne viene sfiorata la crisi diplomatica tra Irlanda e Santa Sede, poi rientrata. Tutto questo ha segnato un cambio epocale, ben percepito anche a Dublino. Il referendum (Regno-att. 6,2015,377) sulla modifica costituzionale per introdurre le nozze anche per le persone omosessuali dello scorso maggio ha come registrato – ha dichiarato mons. Martin – «un confronto con la realtà», esame dal quale non si può prescindere se si è rivolti a un «rinnovamento». Di qui è partito l’intervento in Aula al Sinodo del presule (cf. il blog L’Indice del Sinodo, 12.10.2015).
Nel luglio di quest’anno alcune donne cattoliche di Parma (fra cui la sottoscritta) scrivono una lettera aperta alle principali associazioni ecclesiali presenti in diocesi per comunicare il proprio disagio rispetto alla infiammata battaglia contro il «gender», che vede parte del mondo cattolico fra i protagonisti più attivi e convinti. Ci firmiamo scherzosamente «Le sante Lucie»; tutte siamo da decenni coinvolte in modo attivo nella vita della Chiesa locale.
Uccidere in nome di Dio è da troppo tempo un atto che ha fatto perdere l’anima a parte dell’islam contemporaneo. Di riflesso però, questa prassi aberrante ha anche illanguidito la capacità generale di citare in modo coinvolgente e convincente il nome di Dio. Il distorto e stravolto grido «Allah akbar» («Iddio è più grande») pare aver reso in tutti Dio più piccolo. Un dramma nel dramma sta nel fatto che nessuno sembra più riuscire a produrre simboli religiosi capaci d’interpretare quanto sta accadendo.
Siamo chiamati, con umiltà, a costruire un nuovo paradigma in cui geopolitica, emigrazione e immigrazione, sviluppo del Mediterraneo siano altrettanti fattori di cui tener conto per far ripartire un progetto di co-sviluppo euromediterraneo, che possa riprendere, su una base concreta e fondata nelle dinamiche reali, le mosse dell’oramai archiviato Processo di Barcellona degli anni passati.
L'accompagnamento spirituale al fine vita ha una sua collocazione precisa all’interno delle cure palliative, quelle rivolte cioè a pazienti affetti da malattie incurabili. Il movimento delle cure palliative è relativamente recente: nasce con l’infermiera inglese Cecily Saunders che nel 1967 fonda il St. Cristopher Hospital di Londra per la cura dei malati terminali.
Il modello universalistico di welfare state, fondato sul principio di uguaglianza e caratteristico – con qualche variante – degli stati di diritto europei, sta faticando notevolmente a resistere ai colpi della pluriennale crisi economica e del debito che affligge l’Europa dal 2008, ed è sempre più in difficoltà per via delle misure di austerità che hanno portato ovunque tagli consistenti ai sistemi assistenziali e sanitari.1 Ma i principi di uguaglianza e libertà che sono fondativi tanto per gli stati di diritto quanto per l’Unione Europea pongono dei «paletti» – per i singoli stati e per l’Unione stessa – che possono aiutare la cittadinanza europea a fare un passo in avanti.
Quando la morte ti sfiora con la sua fredda mano, la percezione della vita cambia. Tutti sappiamo che un giorno o l’altro ogni cosa finirà, senza possibilità di ritorno. Il mondo svanirà all’improvviso. La luna si spegnerà. Verranno recisi i legami di affetto, i progetti iniziati, e le speranze, mai del tutto sopite, si svuoteranno. Lasceremo soli i nostri cari. Allo stesso tempo il mondo continuerà a esistere, le galassie a ruotare, il sole a donare calore.
A otto anni dallo scoppio della più grave crisi finanziaria che l’umanità abbia conosciuto, l’economia mondiale non ha ritrovato una situazione di equilibrio. La Cina ha capito che l’Occidente non può più consumare a credito i beni industriali che essa produce, ma stenta a trovare mercati sostitutivi. Il Brasile potrebbe crollare. Il Sud Europa è preso in una trappola deflazionistica da cui nessuno sa, al momento attuale, come potrebbe uscire, e che minaccia di condannarlo a perdere, come il Giappone, vari decenni.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Maria Caterina Bombarda, Eleonora Corti Savarese, Maria Elisabetta Gandolfi, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna.
Merito principale di De Giorgi è quello d’aver rimesso, con la sua rigorosa e circostanziata ricerca storica, di nuovo al centro il sacerdote Giovanni Battista Montini, un cristiano che ebbe la ventura di chiudere come papa un’epoca iniziata quattro secoli prima con il concilio di Trento e di aprirne una nuova per tutto il mondo cristiano: quella uscita dal concilio Vaticano II.
Le omelie di monsignor Mariano Crociata ci introducono nella vitale geografia della Chiesa italiana, in un caleidoscopio di situazioni, persone, associazioni, speranze che si irradiano da Lampedusa a Torino, dal grembo un po’ misterioso e nascosto delle biblioteche, al vento aperto degli incontri dei giovani.
La vita è un lungo viaggio, è come la salita su una montagna o la traversata di un deserto e di un mare. Chi di noi non ha mai sentito e usato queste espressioni? Esse esprimono il mistero della nostra esistenza, racchiusa tra due coordinate: il suo carattere costantemente mutevole, chiamato a fare i conti con gli imprevisti della vita, itinerante (non siamo mai arrivati a una forma compiuta); l’esigenza profonda di trovare una direzione nel nostro procedere, di non sbagliare senso, di giungere da qualche parte, a una meta. Questa meta è la propria felicità, il proprio bene condiviso con gli altri. In fondo, per tutti, l’obiettivo è di poter vivere compiutamente la propria vita: divenire veramente umani.
È la vigilia di Natale, c’è la nebbia, è buio, fa freddo nel negozio, fa freddo nella strada ma il vero freddo è «il freddo che aveva dentro». «Gli gelava il viso, gli affilava il naso appuntito, gli raggrinziva le gote, ne induriva l’andatura, gli arrossava gli occhi, gli illividiva le labbra, si rivelava nella voce gracchiante. Una brina ghiacciata gli copriva il capo, sopracciglia e mento legnoso; ed egli portava sempre in giro con sé quella sua bassa temperatura, che gelava il suo ufficio anche nei giorni di canicola, e non saliva, sia pure di un grado, neanche al tempo di Natale».
Ebbi la fortuna di conoscere Gentili a metà degli anni Ottanta e d’essere onorato da subito della sua sincera e affettuosa amicizia. Avevo preparato una traduzione completa dei frammenti di Archiloco di Paro e, conscio del fatto che egli era uno dei massimi esperti a un tempo di lirica greca e di traduzione di testi poetici classici, gli scrissi, inviandogli il mio lavoro. Con una certa mia sorpresa, egli mi rispose prestissimo, con una telefonata calorosa, nella quale mi disse che la traduzione gli era piaciuta e che desiderava conoscermi.
Giustizia, misericordia, giovani e cultura. Queste le parole chiave per descrivere la IX edizione dell’evento culturale «La Libreria Editrice Vaticana a Pordenone. Ascoltare, leggere, crescere» che si è tenuto nella città friulana dal 17 al 29 ottobre 2015. Una rassegna ormai diventata abituale e che vede la LEV in sintonia con la cittadinanza pordenonese attraverso una sensibilizzazione in grado di toccare diverse tematiche legate all’attualità grazie anche alla presenza di ospiti illustri.
Il V Convegno ecclesiale nazionale celebrato a Firenze ha rappresentato un appuntamento importante nel cammino della Chiesa italiana. Emergono dai principali interventi che abbiamo scelto di riportare qui a modo di documenti, prospettive (nell’intervento di papa Francesco) e analisi (le relazioni di Lorizio e Magatti) piuttosto innovative e di cucitura tra l’impianto teologico di papa Francesco e alcune dimensioni della pastorale della Chiesa in Italia. Rimangono aperte alcune questioni di fondo che attengono a una piena recezione del pontificato di Francesco, sin qui ancora non avvenuta sotto forma di linea propositiva dell’intera Conferenza episcopale, e alla definizione del ruolo del cattolicesimo italiano nell’attuale situazione storica del nostro paese. Si sono fatti passi avanti nello stile ecclesiale, nella forma conviviale, nell’apertura di maggiori spazi di discussione, con una libertà che appare nuova. Sul convegno si erano concentrate molte attese, alcune delle quali sono andate deluse, come la possibilità d’aprire un cammino sinodale per tutta la Chiesa italiana. Ma non è detto che a un certo punto, complice anche l’Anno giubilare, non maturi una consapevolezza diversa.
Scegliamo il punto di partenza per molti versi più ovvio; scavando in esso troveremo però aspetti meno scontati, fermo restando che, sul piano della prassi, anche il brano biblico di partenza è in se stesso ben impegnativo: è un banco di prova che ci interpella e da cui, troppo spesso, usciamo sconfitti. «Quando un forestiero dimorerà presso di voi nella vostra terra, non lo opprimerete. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,33-34; cf. Lv 19,18). Per comprendere meglio il passo dobbiamo rivolgerci all’ebraico.
In che cosa è cambiata la mia vita da quando c’è Francesco? Poco o niente. Molto nella chiacchiera, da quella nobile delle conferenze a quella maldicente dei circoli minori. Pochissimo nei fatti. Provo a dirli. Sono tornato a scrivere del papa a gran richiesta del Corsera e di riviste e siti ed editori: ma questo è un effetto esterno, professionale. Non vale. Prego di più per lui. Lo facevo sempre, ma era un’intenzione rituale. Già di più con la malattia di Giovanni Paolo. Ma come si fa con un parente in ospedale. Ora invece prego tremando per le decisioni che Francesco deve prendere. È l’unico vero cambiamento.