Il tradizionale discorso del papa alla curia romana, in occasione del Natale, è diventato da qualche anno un appuntamento indicativo degli orientamenti dell’intero pontificato. Esso rappresenta non solo qualche sottolineatura interna alla Chiesa o al governo della macchina istituzionale. Ma una visione d’insieme.
La dialettica e anche la conflittualità non mancano in Vaticano, a partire da un nodo cruciale sin dal dibattito conciliare: la liturgia.
Si stanno mescolando due elementi: la recezione del testo nelle Chiese locali e la ricca messe degli influencer professionisti o meno, con o senza incarichi ecclesiali, tutti occupati nel «conteggio» tra pro o contro le aperture dell’esortazione, e pro o contro il papa. Dibattito intra ed extra-ecclesiale diventa un’unica cosa, una volta che si esce del tutto dallo «spazio protetto» della discussione sinodale.
Titolo: «Assolvete chi confessa l’aborto». Con questo imperativo il Corriere della sera di martedì 22 novembre scorso ha presentato la lettera apostolica Misericordia et misera, pubblicata da papa Francesco a conclusione del Giubileo della misericordia. Il pensiero va immediatamente al tema delle condizioni che regolano l’ammissione dei divorziati risposati alla comunione eucaristica. Non dal tempo dei due recenti Sinodi, ma almeno dal tempo del primo Sinodo sulla famiglia (1980), i media hanno continuamente presentato le numerose occasioni in cui il magistero ribadiva l’impossibilità d’amministrare la comunione eucaristica ai divorziati risposati, codificata nell’esortazione apostolica postsinodale Familiaris consortio come una «novità» da discutere con clamore e contorno di interpellanze ai più vari «opinionisti» del momento.
Non ho nessun peccato da confessare. Sono una contraddizione, come Dio». Papa Pio XIII, appena eletto pontefice della Chiesa cattolica, risponde con queste parole al sacerdote che, all’interno del confessionale, gli chiede i peccati di cui chiedere perdono. Si apre così, con un alone di mistero, il trailer ufficiale di The Young Pope, la serie televisiva prodotta da Sky, HBO e Canal+, diretta da Paolo Sorrentino e andata in onda su Sky Atlantic in dieci puntate. Messa in onda che ha riscosso un gran successo fra il pubblico, con 1,4 milioni di spettatori on demand e una seconda stagione che si profila sullo sfondo.
La morte del prelato dell’Opus Dei, monsignor Javier Echevarría Rodríguez, avvenuta a Roma per insufficienza respiratoria lo scorso 12 dicembre, è giunta improvvisa a segnare una cesura nella vita dell’Opera. Malgrado gli 84 anni d’età, infatti, godeva di salute sufficiente a far fronte all’onerosa attività di governo, tanto più che ad assisterlo, considerata anche l’età, aveva promosso da due anni mons. Fernando Ocáriz al ruolo, sino ad allora inedito, di vicario ausiliare, nominando al posto di quest’ultimo un nuovo vicario generale, l’argentino mons. Mariano Fazio.
Mai come oggi s’impone una riflessione seria ed equilibrata sulla questione dei migranti. È infatti evidente che si tratta di un fenomeno complesso che per un verso si lega a dinamiche geopolitiche di vasta portata (come la globalizzazione, la guerra in Siria e la povertà generalizzata del sud del mondo) e per altro verso è destinato a caratterizzare il futuro nostro e delle generazioni a venire. A ciò si aggiunga che spesso le informazioni relative al fenomeno dell’immigrazione, specie di quella cosiddetta «forzata», vengono veicolate dai mass media in maniera imprecisa e decontestualizzata, utilizzando toni allarmistici e facendo per lo più leva sull’emotività.
Lodiamo e «ringraziamo l’“altissimo onnipotente e buon Signore” per i 95 anni di vita di dom Paulo, i suoi 76 anni di consacrazione religiosa, 71 anni di sacerdozio ministeriale, 50 di episcopato e 43 di cardinalato», ha scritto il 14 dicembre scorso il card. Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di São Paulo, nella nota che annunciava la morte di dom Paulo Evaristo Arns, suo predecessore alla guida della diocesi paulista dal 1970 al 1998.
Il 15 dicembre 2016 sono trascorsi vent’anni dalla morte di Giuseppe Dossetti. Per celebrare questa importante figura del Novecento italiano, si sono susseguite a Bologna molteplici iniziative e commemorazioni. Tra le più rilevanti, possiamo ricordare la pubblicazione di due volumi, un «docufilm» e una serie di conferenze.
La crisi dell’Europa presenta diverse sfaccettature, alcune vere e proprie crisi ai suoi confini – è il caso della Lituania rispetto alla Russia – altre al suo interno come sfasature culturali, come in Norvegia, e in Polonia nel rapporto stato-Chiesa. Piccoli segnali di crisi da seguire.
Ci sarà o no un referendum in Irlanda per la legalizzazione dell’aborto? La risposta non tarderà ad arrivare, anche se le premesse perché si vada a una nuova consultazione sul diritto a interrompere una gravidanza in tempi rapidi ci sono tutte. Nel frattempo la Repubblica irlandese discute in maniera collegiale sulla modifica dell’Ottavo emendamento dell’art. 40 della Costituzione, attraverso il suo nuovo organismo di confronto, la Citizens Assembly. Anche la Chiesa cattolica prende parte al dibattito.
La granata è detonata in classe tra le mani di Abdallah. Di lui non è rimasto più nulla. Degli altri 14 sono rimasti solo i pezzi di arti amputati dall’esplosione, nella prima cerchia di compagni più vicini, tutti morti. Solo pochi altri tra tutti i compagni sono rimasti feriti ma le loro condizioni sono terribilmente critiche. Quanto è accaduto nella scuola elementare Attuhaif della capitale dello Yemen, Sanaa, non ha nulla di eccezionale: è solo uno tra i tanti, terribili e disastrosi effetti della guerra più tragica che ha colpito il paese dalla sua unificazione e che oggi è unanimemente definita «la guerra dimenticata», proprio per la sua virulenza inversamente proporzionale alla sua mediatizzazione (cf. anche Regno-att. 2,2016,22; 4,2016,106).
Che cosa avviene quando concretamente ci apriamo ad altre pratiche religiose? Il dialogo interreligioso oltre a essere all’ordine del giorno della Chiesa istituzionale è anche un bisogno diffuso che mette il singolo in ricerca. E così accanto ai documenti del magistero, ai soggetti istituzionali, ai grandi eventi come quello di Assisi del settembre scorso (cf. Regno-att. 16,2016, 461) ci sono gli individui e le esperienze personali con tutte le difficoltà che il dialogo vissuto comporta, soprattutto quando ci si sposta da un più asettico ascolto e studio alla condivisione di pratiche.
Il Vaticano «sta dialogando» con la Cina per poter arrivare a un accordo che preveda anche la questione della nomina dei vescovi. È ancora prematuro parlare di risultati raggiunti o di accordi stretti tra Chiesa ed autorità cinesi. I passi avanti, però, sono fuori discussione: «Ogni volta che si dialoga c’è sempre un po’ di progresso, però ci vuole tanta pazienza perché la strada non è breve». Parole promettenti quelle del segretario di stato vaticano, card. Pietro Parolin, che, a Bologna per un convegno lo scorso novembre, pur non sbilanciandosi ha lasciato intendere progressi nelle relazioni bilaterali e nel dialogo con Pechino.
L'Asia, con le sue culture, lingue, fedi, problemi, potenzialità è una sfida costante per la Chiesa e con la sua costante evoluzione sembra rimetterne continuamente in discussione impegno, metodi e risultati. Così è anche per le linee di indirizzo comuni individuate dagli incontri plenari dell’organismo che rappresenta a livello continentale la Chiesa cattolica, la Federazione delle conferenze episcopali dell’Asia (FABC).
Tra le molte situazioni di tensione e persecuzione presenti in Asia a fine 2016, una ha un rilievo particolare e soprattutto una soluzione ancora lontana, nonostante la sua gravità e l’attenzione internazionale. Riguarda infatti quella che le Nazioni Unite hanno definito «l’etnia più perseguitata al mondo»: i rohingya. Un gruppo etnico di circa 1,2 milioni di persone, la cui identità viene disconosciuta dal governo in Myanmar e la cui esistenza è divisa tra una maggioranza che abita in condizioni assai difficili d’emarginazione lo Stato birmano occidentale di Rakhine, confinante con il Bangladesh, forse 200.000 profughi interni nel paese, altri 250-300.000 rifugiati in Bangladesh, dove da un quarto di secolo vivono in condizioni disperate in campi di sostanziale concentramento.
Se si ripercorrono i documenti e i pronunciamenti pubblicati negli ultimi mesi dalla Conferenza dei vescovi sudafricani (SACBC), si ha un panorama chiaro della crisi che attanaglia il paese, un vero e proprio gigante dai piedi d’argilla. Sono espressione di una Chiesa che non è avara di prese di posizione e non risparmia critiche e ammonizioni a una classe dirigente piagata dalla corruzione e dalla mancanza di credibilità.
Sta suonando il de profundis per la Corte penale internazionale? Forse non ancora, ma il rischio che l’Alta corte possa chiudere o, comunque, ridurre il suo spettro d’azione, è sempre più reale. L’annuncio dell’uscita di Burundi, Sudafrica e Gambia, lo scetticismo dell’Unione Africana, la possibile mancata ratifica del trattato da parte della Russia, il tenersi fuori di Cina e Stati Uniti ne stanno seriamente minando le fondamenta e ipotecando il futuro.
Non si può certo negare che la figura del prete, nonostante diventi sempre più normale non averne esperienza diretta e consueta (e forse ancora di più per questo?), continua a suscitare curiosità e interesse. Sarà per la condizione di celibato deliberatamente eletto o per la sensazione che egli viva un’esistenza piuttosto «anormale», per la domanda circa le motivazioni che possano averlo indotto a una scelta di questo genere o, più semplicemente, per l’idea che egli sia, alla fine, un uomo «fuori dal tempo e dalla storia»... ma non c’è dubbio che il prete interessi.
Ad Annalena Tonelli, missionaria laica italiana fondatrice di un centro per l'assistena sanitaria in Somalia, è dedicato il 16° audiolibro della collana «PhonoStorie», dal titolo Invece ero bianca, a cura di Caritas italiana e Rete europea risorse umane, che inizia con la presentazione di Annalena fatta da lei stessa: «Mi chiamo Annalena Tonelli. Sono nata a Forlì il 2 Aprile 1943. Lavoro in sanità da trent’anni, ma non sono medico. Sono laureata in legge. Lasciai l’Italia a gennaio del 1969. Da allora vivo a servizio dei Somali».
Chi è stato Lutero? Un ribelle, un profeta, o più semplicemente un cattolico, un «cattolico riformato», che ebbe a cuore il destino spirituale della Chiesa? Indubbiamente la sua esistenza di restauratore della centralità della Parola vivente scatenò conseguenze che nemmeno lui fu in grado di prevedere. La modernità, ovvero quella fase storica in cui si sono costituite le traiettorie storiche, teologiche, filosofiche e scientifiche di fondo degli ultimi cinque secoli, a iniziare dalla formazione dello stato e a cui la stessa Riforma protestante diede un fondamentale contributo, ha ricevuto dal verbo luterano un lascito su cui si deve tornare a riflettere.
Le loro parole sono molto simili, l’ispirazione è la stessa. Mi riferisco a papa Giovanni per il Concilio e a papa Francesco per il Giubileo straordinario della misericordia. Si tratta, in fin dei conti, d’amore verso Dio e di liberazione interiore per collocarsi totalmente nelle sue mani; si tratta di lasciar «fare a Dio». E questa è docilità piena. Così Francesco è giunto al Giubileo. Penso che sia questa la parte più significativa, perché la più intima e personale, dell’intervista rilasciata da Francesco ad Avvenire, che qui si propone.
Quella di Platone, Socrate e Aristotele è una lingua tutt’altro che morta, come ha argomentato Dionigi in queste pagine. Il docente e già rettore dell’Alma mater studiorum di Bologna – attualmente presidente della Pontificia accademia di latinità – constata amaramente come in pochi decenni, «noi nati “per guardare avanti e indietro” e per viaggiare in compagnia degli uomini abbiamo abbassato gli occhi del corpo e dell’anima a terra e all’oggi, abbiamo optato per i pensieri mignon e rinunciato a quelli che Empedocle chiamava i pensieri lunghi».
Non è un libro di devozione. Piero Lazzarin seleziona e presenta testi che aiutano a capire l’itinerario formativo e la spiritualità di padre Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione. Il cappuccino stigmatizzato viene colto nel vivo del suo essere, nei suoi disagi e nei suoi dubbi, nella forza della sua resistenza al dolore e alle cattiverie.
Insieme a Cormac McCarthy e Philip Roth, Don DeLillo è uno degli scrittori più influenti della narrativa americana e contemporanea. Le vicende del suo ultimo Zero K ruotano attorno alla diversa concezione che della morte e del tempo hanno Jeffrey Lockhart e suo padre Ross. Quest’ultimo è un plurimiliardario sposato in seconde nozze con Artis Martineau, un’archeologa destinata a morire a causa di una malattia incurabile.
L’invenzione, di Alberto Vigevani (Mondadori, Milano 1979) è la storia retrospettiva di un dolore, il dolore di aver causato dolore, sia pure senza intenzione, per quella distrazione crudele che è propria dell’età giovane quando si vuole solo vita e vita e vita e incontrare la malattia (e la morte) è intollerabile. La ricostruzione di questa microstoria piena di pena fra adolescenti è perfetta nella verità di sentimenti ricostruiti, a distanza di anni, quando il tempo ha reso tollerabili i ricordi. E mostra come l’adolescenza sia sempre meravigliosamente la stessa.
«Ce la farà papa Francesco?» E soprattutto: «Ce la farà la Chiesa cattolica ad accettare la logica della riforma?». La domanda, corroborata anche dagli accenti dell’ultimo discorso rivolto dal papa alla curia romana (cf. in questo numero a p. 641), costituisce la cerniera di questo Studio del mese, posto sotto il segno dell’inquietudine che lo Spirito soffia sulla Chiesa. Il testo è in tre parti. La prima, più ampia, descrive l’istanza di riforma nel tempo di papa Francesco, evidenziandone da un lato il radicamento nel concilio Vaticano II e l’agire sul piano dei processi più che delle strutture, dall’altro la «decostruzione e ricostruzione sul piano simbolico del papato e della presenza pubblica della Chiesa», attraverso lo stile feriale e di vicinanza e i segni comprensibili e interroganti. La seconda parte affronta la questione di come si riformano grandi istituzioni eterogenee come la Chiesa cattolica, insistendo sul valore centrale delle narrazioni – specie nella nostra cultura massmediatica –. La terza delinea il quadro delle riforme necessarie e possibili, puntando su Chiese locali e sinodalità e riconoscendo che è nei ministri ordinati che si coagulano possibilità e resistenze alla riforma: «Hanno il potere del cambiamento ma non ne hanno – di solito – il sogno».
Leggere la vicenda manzoniana dell’Innominato all’epoca di papa Francesco produce risonanze particolari. Si è condotti quasi inevitabilmente a riflettere sulle dinamiche proprie della misericordia, parola chiave che anima i capitoli dedicati alla conversione del celebre personaggio dei Promessi sposi.