Irlanda - Aborto: verso il referendum
Ci sarà o no un referendum in Irlanda per la legalizzazione dell’aborto? La risposta non tarderà ad arrivare, anche se le premesse perché si vada a una nuova consultazione sul diritto a interrompere una gravidanza in tempi rapidi ci sono tutte. Nel frattempo la Repubblica irlandese discute in maniera collegiale sulla modifica dell’Ottavo emendamento dell’art. 40 della Costituzione, attraverso il suo nuovo organismo di confronto, la Citizens Assembly. Anche la Chiesa cattolica prende parte al dibattito.
Ci sarà o no un referendum in Irlanda per la legalizzazione dell’aborto? La risposta non tarderà ad arrivare, anche se le premesse perché si vada a una nuova consultazione sul diritto a interrompere una gravidanza in tempi rapidi ci sono tutte. Nel frattempo la Repubblica irlandese discute in maniera collegiale sulla modifica dell’Ottavo emendamento dell’art. 40 della Costituzione, attraverso il suo nuovo organismo di confronto, la Citizens Assembly. Anche la Chiesa cattolica prende parte al dibattito.
Un provvedimento, quello dell’Ottavo emendamento, che risale al 1983, quando la modifica della Carta costituzionale introdusse il diritto alla vita del bambino non ancora nato, equiparandolo a quello della madre. Anche in quel caso si procedette all’introduzione dell’emendamento attraverso il referendum, l’unica via per cambiare il Bunreacht na Éireann, la Costituzione del paese.
Sono i sostenitori del movimento pro choice che ne affermano la necessità. A loro parere, infatti, l’Ottavo emendamento lede i diritti della donna. Essi citano il caso di tre donne irlandesi, tra cui Amanda Mellet, che hanno chiesto alle Nazioni Unite di esprimersi sulla necessità che le donne hanno di doversi recare all’estero per affrontare un aborto, nello specifico nel Regno Unito, a fronte di una gravidanza a rischio per la quale il bambino che attendevano sarebbe morto, secondo il parere dato alle stesse dai medici.
Amanda, sostenuta dal marito James, ha portato il suo caso davanti al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite che si è espresso in un lungo parere, non privo di opinioni discordanti sulla delicata questione. Ma a giugno di quest’anno lo stesso organismo ha ammesso che l’aver costretto questa e altre donne ad andare ad abortire fuori dall’Irlanda ha causato loro un forte trauma e una condizione di stress.
Per dovere di chiarezza bisogna aggiungere che il Trentesimo emendamento alla Costituzione introdotto nel 1992 ha previsto la libertà di viaggio verso altri stati per ragioni legate all’aborto e un altro emendamento, il Quarantesimo, sempre dello stesso anno, ha tolto i limiti all’ottenimento di informazioni in merito all’aborto in altri stati. Il Protection of Life During Pregnancy Act del 2013 ha poi regolato il trattamento dei casi di rischio della gravidanza. Atto implementato nel 2014 come documento guida degli ostetrici negli ultimi tre anni.
A fine novembre la Citizens Assembly, un organismo nato quest’anno per iniziativa del governo irlandese con l’obiettivo di prendere in modo collegiale le decisioni legate alle grandi questioni come l’aborto, ha principalmente discusso di questo tema. Pochi giorni dopo per la prima volta il governo ha acconsentito a emettere un rimborso economico per il trauma subito da Amanda Mellet.
«Che la pratica dell’aborto in Inghilterra per le donne irlandesi sia ormai un dato di fatto è qualcosa che si sa da anni» – ammette padre Edmond Grace della Comunità dei gesuiti di Dublino –. La preoccupazione del religioso è che la Chiesa ingaggi, così come accaduto con il matrimonio egualitario, una battaglia ideologica contro la secolarizzazione ormai evidente nel paese. «Abbiamo bisogno – dice – di leggi che garantiscano l’ordine pubblico e la giustizia sociale, non la moralità».
Quale equilibrio?
In occasione della Giornata per la vita, che in Irlanda si è celebrata lo scorso 1o ottobre, l’arcivescovo di Armagh Eamon Martin, presidente della Conferenza episcopale irlandese, ha affermato che occorre, in linea con quanto chiede papa Francesco, una «rivoluzione della tenerezza» anche sulla questione dell’aborto: «In questi giorni – ha scritto nel suo messaggio – viene chiesta una modifica all’Ottavo emendamento della Costituzione. Questa istanza evidenzia una grande contraddizione dei nostri tempi: la società pretende a ragione un maggiore senso di cura nei confronti del pianeta e delle sue creature. E allo stesso tempo è determinata a rimuovere il diritto alla vita delle persone che non sono ancora nate».
La Chiesa cattolica irlandese ha partecipato con un proprio contributo alla Citiziens assembly dello scorso novembre. L’intervento, dal titolo «Due vite, un amore» ribadisce che l’art. 40 della Costituzione riconosce il diritto alla vita alla stregua di quello alla libertà, alla privacy, alla libertà d’espressione. Un diritto fondamentale, affermato ben prima della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
E riaffermando che il bambino non nato è una persona a tutti gli effetti e che l’art. 40 è un’affermazione del diritto alla vita, secondo lo stile che sta caratterizzando la Chiesa cattolica nel dibattito pubblico di questo paese, mentre prende la parola dopo anni di discredito a seguito degli scandali della pedofilia, vengono fatte nel documento affermazioni che guardano alla donna che è costretta a ricorrere all’aborto secondo una prospettiva di misericordia.
«Se una donna incinta sta male e necessita di trattamenti che avranno, come effetto secondario, la messa a rischio della vita del bambino, questi trattamenti – dice il documento dei vescovi – sono eticamente ammissibili». E «se il bambino dovesse accidentalmente morire in utero prima della nascita, la madre non deve in nessun modo proseguire la gravidanza. Prima di tutto occorre pensare al bene della madre».
Le posizioni che si sono confrontate alla Citizens Assembly sono state ovviamente diverse. John Higgins, docente all’University Maternity Hospital di Cork ha affermato che secondo le statistiche degli ultimi due anni solo 26 procedure di rischio del parto si sono verificate: 14 per salute mentale, 3 per suicidio e 9 per il pericolo di problemi fisici. «Le ostetriche – ha affermato – sanno come devono agire se la salute della madre è a rischio».
Dal canto suo Brendan O’Shea dell’Irish Council of General Practitioners, l’associazione dei medici di base che sono i primi che entrano in contatto le donne in attesa, ha rilevato come spesso le gravidanze critiche non possono venire preventivate. Ed esse costituiscono un significativo 35%.
Nel processo verso la consultazione sull’aborto stanno emergendo inevitabilmente le contraddizioni che la formulazione dell’Ottavo emendamento portava con sé fin dalla sua promulgazione. La sfida, dunque, sarà trovare un punto d’equilibrio tra difesa della vita nascente e salute della donna.
Francesca Lozito