Querida Amazonia potrebbe scontentare un po’ tutti. Una grande attesa, caricata di aspettative, poco importa da parte di chi, finisce per retroagire negativamente sull’evento stesso. L’attesa più che il contenuto ne determina il criterio ermeneutico. È quel che succede qui da noi (diversa è la recezione latinoamericana) circa l’esortazione postsinodale pubblicata il 12 febbraio da papa Francesco e relativa al Sinodo panamazzonico dell’ottobre scorso.
Per comprendere il senso di Querida Amazonia (QA), che il 12 febbraio è stata consegnata autorevolmente «al popolo di Dio e a tutte le persone di buona volontà», occorre prestare attenzione proprio a questo Discorso del papa al termine dell’Assemblea sinodale.
L'esortazione Querida Amazonía riprende e rilancia il grido dei poveri / grido della terra di Laudato si’, anche se l’urgenza della crisi globale incalza e fa apparire lenta ogni conversione dei modelli. Il capitolo sulla Chiesa e la sua ministerialità invece cosa e chi ascolta? Pregare per le vocazioni, mandare missionari, mistica della femminilità: mancano solo i chierichetti. Rispondere così è come negare il cambiamento climatico.
La narrativa che circonda il cammino sinodale della Chiesa cattolica tedesca e in particolare i resoconti che la stampa laica ha abbondantemente disseminato circa la prima delle 4 assemblee che ne costituiscono i momenti decisivi e decisionali, insiste con le metafore militari, dove «truppe» avverse si scontrerebbero in un «campo di battaglia».
Non solo in Germania o in Vaticano. Con nomi e modalità differenti, sia che si tratti di assemblee diocesane, regionali o nazionali, il percorso sinodale avviato e insistito da papa Francesco procede. Elenchiamo alcune di queste esperienze senza pretesa di esaustività, ma con l’idea di continuare a monitorare questi movimenti all’interno della Chiesa universale e locale.
Dal punto di vista demografico, i dati disponibili sui cardinali sono assai dettagliati: fin dal XV secolo, per ogni cardinale si conoscono data di nascita, di nomina e di morte, quasi sempre il luogo di provenienza. Per i secoli passati, si tratta di dati eccezionali, che hanno ispirato alcune ricerche che fanno parte del ricco insieme degli studi sulla demografia delle élite.1
Con una sentenza degli ultimi mesi del 2019, la Corte di cassazione francese è tornata sul tema della surrogazione di maternità, con una decisione che ha suscitato non poco dibattito oltralpe (e non solo). Il caso riguardava una vicenda già conosciuta dallo stesso giudice francese e sulla quale esso già si era espresso. Proviamo a ricostruirne i tratti essenziali.
Quando si parla seriamente delle tematiche che concernono la fine della vita sappiamo quanto ci sia bisogno di prudenza, ponderazione, misericordia, accoglienza, capacità di discernimento. È necessario porsi in un atteggiamento d’ascolto senza pretendere d’imporsi, sostando in quelle zone grigie sempre presenti anche se forse non ce ne accorgiamo.
La lunga vita terrena di Maria Vingiani, nata nel 1921, si è conclusa il 17 gennaio 2020, giornata dedicata all’approfondimento e allo sviluppo del dialogo ebraico-cristiano e vigilia della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Quasi tutti i ricordi apparsi sulla stampa o giunti in forma di partecipazione scritta hanno rimarcato questo particolare.
Maestra di ecumenismo, non solo per quello che la Chiesa cattolica è riuscita ad assumere dell’ideale ecumenico, ma maestra d’ecumenismo anche nella Chiesa evangelica. Un ricordo di Maria Vingiani, la principale artefice dell’ecumenismo in Italia.
Piangere è un’esperienza che attraversa ogni tempo e ogni cultura. La vita di ogni persona, nelle sue diverse stagioni, è quasi sempre accompagnata dal pianto, che scandisce i momenti più particolari e significativi dell’esistenza umana. Piangere è un’esperienza eminentemente personale e per certi versi incomunicabile, che fa parte del vissuto più che del pensato e, pertanto, per comunicare e descrivere questa esperienza è più congeniale utilizzare un linguaggio narrativo e simbolico piuttosto che concettuale e razionale.
L’ultimo documento redatto dalla Pontificia commissione biblica è stato pubblicato sotto forma di libro, dal titolo Che cosa è l’uomo? Un itinerario di antropologia biblica (LEV, Città del vaticano 2019, pp. 336, € 15). Datato simbolicamente 30 settembre, festa di san Girolamo, il testo è stato reso noto solo a dicembre, suscitando qualche immediata polemica, concentrata su alcuni passaggi, estrapolati dal contesto, dedicati all’omosessualità. Le reazioni hanno indotto il segretario della Commissione, il gesuita Pietro Bovati, a compiere alcune precisazioni sugli autentici scopi dell’ampio documento.1
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Valeria Roncarati, Daniela Sala, Domenico Segna, Paolo Tomassone.
Il libro appena pubblicato di Maurizio Ambrosini dà un contributo significativo al superamento di alcuni tra i più diffusi luoghi comuni e invita a una riflessione sul ruolo della comunicazione e dei mass media nel riprodurli. La «sinofobia» ha le sue radici nella paura – alimentata ad arte negli ultimi decenni – dell’invasione, che ha avuto come bersaglio diversi gruppi di migranti: in molti si ricorderanno gli albanesi negli anni Novanta e i musulmani dopo l’11 settembre.
Se, come ci ha insegnato Freud, ogni ritorno (fantasmagorico) è il sintomo di una rimozione (reale), la traccia di qualcosa che è stato scacciato, esorcizzato, espulso, il ritorno affidato al vampiro ci spinge in un territorio scabroso: quello della morte e del nostro rapporto con la morte. L’antropologo Vito Teti, con grande finezza interpretativa, sosta su questo crinale scivoloso, catturando la resistenza alla scomparsa, la tenacia alla sopravvivenza del vampiro. Tramontate le epidemie che flagellarono la fine del Seicento e il Settecento, questa figura mercuriale, ambigua, da sempre presente nella tradizione popolare, si trasferisce, in pieno Ottocento, nella produzione letteraria e artistica. Diventa personaggio. Da allora, non ha mai smesso di abitare le nostre inquietudini.
Il rock’n’roll, amato da Luca ma detestato da papà Antonio detto Nino, è solo un pretesto o poco più per parlare di rapporti padre-figlio, Seconda guerra mondiale, malattie, paradossi all’italiana, uomini d’altri tempi, del coraggio di chi tira avanti e solo Dio sa come. Partendo da una storia – quella dei Miele, per l’appunto – si arriva a descrivere un’epoca strana, che forse non si è conclusa.
I nativi digitali sono in grado d’accedere nel giro di pochi minuti alle informazioni salienti che riguardano la storia della Chiesa. Sono, però, altrettanto in grado di collocare i dati ricavati da Internet all’interno di una cornice interpretativa in grado d’offrire loro una comprensione «criticamente avvertita»? È questa la problematica sottolineata da Giovanni Filoramo e da Daniele Menozzi nell’Introduzione ai primi due volumi dedicati rispettivamente all’età antica e a quella contemporanea della storia della Chiesa a cui seguiranno, a breve, quelli dedicati all’età medievale e moderna.
All’ora «attuale, le condizioni di vita si evolvono più rapidamente delle mentalità. L’opinione pubblica si trova di fronte a delle situazioni senza esser preparata a giudicarle. Interpreta con una mentalità del XIX secolo le realtà del XX. Neanche il popolo cristiano sfugge alle lentezze dell’adattamento del cammino». Così scriveva nel 1960 il teologo Joseph Comblin. Mutando i secoli dai XIX-XX ai XX-XXI la riflessione risulta di un’attualità che inchioda alla scrivania e costringe a fermarsi e pensare: che la comprensione del presente ci sfugga perché lo interpretiamo come il passato? Questo saggio edito da Il Mulino e scritto per mano dei sociologi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti sembra rispondere alla provocazione.
Il libro di don Angelo Baldassarri – membro della commissione storica e teologica istituita nel 2010 dalla diocesi di Bologna per la beatificazione dei sacerdoti uccisi nella strage di Monte Sole – arricchisce di un importante contributo la bibliografia sull’argomento (…) Il suo libro la affronta da un punto di vista finora poco approfondito: quello ecclesiale. L’analisi si volge infatti a stabilire, attraverso un minuzioso e paziente esame di tutte le fonti reperibili (manoscritte e a stampa), lo svolgersi dell’atteggiamento tenuto dalla comunità ecclesiale bolognese verso la strage di Monte Sole nel periodo che va dai giorni immediatamente successivi a quei drammatici accadimenti fino alla conclusione, nel novembre 2011, dei lavori della commissione diocesana istituita l’anno precedente.
Il vol. propone una serie di questioni significative per l’annuncio delle comunità cristiane. Il testo si sviluppa intorno a un’osservazione complessiva: la Chiesa cattolica con il Vaticano II, in particolare con la dichiarazione Nostra aetate, ha operato una serie di svolte importanti: nella relazione con il popolo ebraico, nelle relazioni con le altre confessioni cristiane e nell’atteggiamento verso altre vie e prospettive religiose. Cambiamento complessivo d’atteggiamento e di strumenti teologici che, però, a ben vedere, non ha davvero raggiunto il popolo cristiano in una delle più qualificate espressioni della sua vita di fede ossia nel processo di trasmissione catechistico.
Ora che si è conclusa la sua avventura terrena, vorrei spendere una parola su questa relazione certo non marginale né episodica nell’itinerario intellettuale e nella proposta teoretica di uno dei pensatori più rigorosamente e arditamente speculativi del nostro tempo. E non solo nel panorama italiano. Lo faccio con sincera commozione, perché con ciò mi è dato di rendergli un omaggio non formale rendendo testimonianza di un cordiale e serrato dialogo sperimentato lungo questi decenni.
A sei mesi dalla scomparsa del card. Jaime Ortega Alamino (26.7.2019), per 35 anni arcivescovo di San Cristóbal de La Habana, il 14 gennaio è stato reso pubblico il contenuto di un suo manoscritto di 14 pagine, da lui consegnato a fine maggio 2017 al segretario Nelson O. Crespo Roque, col mandato d’aprirlo dopo la sua morte.
Nell’ultimo scorcio del 2019 la Chiesa latinoamericana ha perso alcuni protagonisti della sua storia recente. Il 28 settembre, a 102 anni, è scomparso il gesuita cileno José «Pepe» Aldunate. Il 28 novembre si è spento a 88 anni il gesuita argentino Juan Carlos Scannone, già docente alla Pontificia università gregoriana e preside della Facoltà di filosofia e teologia dell’Università del Salvador di Buenos Aires. Il 1o dicembre mons. Luis Miguel Hesayne, vescovo emerito di Viedma, in Argentina, morto a 96 anni.
Una matassa difficile da sbrogliare. È questa la crisi politico-militare in atto in Libia. A una prima lettura sembrerebbe semplice interpretare un conflitto: da una parte le milizie provenienti dalla Cirenaica, portatrici di una visione «laica» della politica e delle istituzioni; dall’altra quelle della Tripolitania che s’ispirano a una visione «religiosa». Ma è davvero così? E come entrano nella disputa le potenze regionali e internazionali? Quali interessi economici ci sono alla base? Per cercare di capire le dinamiche in gioco bisogna riavvolgere la pellicola e tornare indietro.
Parrocchia di Bodibe, piccolo comune vicino a Mahikeng, Sudafrica nordoccidentale. È la notte del 12 gennaio, quando p. Jozef Hollanders, 83 anni, missionario belga, viene ucciso in casa. L’omicidio verrà scoperto solo nel pomeriggio del lunedì da un parrocchiano. P. Jeff (come era soprannominato), oblato di Maria immacolata, è stato il primo religioso ucciso nel 2020. D’origine fiamminga, era in Sudafrica da mezzo secolo e aveva vissuto tutto il travaglio del «paese arcobaleno».
Ogni «epoca rivela caratteristiche differenti in termini di contesto socio-politico-culturale (…) È questo contesto globale di un particolare momento storico che sfida la Chiesa a discernere i cosiddetti “segni dei tempi” (…)». È questo lo spirito che ha mosso la Conferenza episcopale dell’Africa meridionale (SACBC, che comprende Sudafrica, eSwatini – l’ex Swaziland – e Botswana) a lanciare il suo secondo piano pastorale, che dopo una lunga incubazione è stato presentato ufficialmente lo scorso 26 gennaio nella storica chiesa Regina Mundi di Soweto, la township di Johannesburg al centro di tante lotte durante l’apartheid e dove visse anche Nelson Mandela. Un luogo significativo e fortemente simbolico.
Con «il cuore affranto, desidero informarvi che il nostro caro figlio, Michael, è stato assassinato dai banditi in una data che non possiamo confermare». Le parole sono di mons. Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto. Siamo nello stato di Kaduna, Nigeria centro-settentrionale. È il 1o febbraio ed è appena stato ritrovato il corpo esanime di Michael Nnadi, 18 anni, il più giovane dei 4 seminaristi rapiti poco meno di un mese prima nel seminario maggiore del Buon Pastore di Kakau, lungo l’autostrada Kaduna-Abuja.
Il 5 febbraio, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è riuscito a raggiungere una posizione comune su un comunicato che avrebbe costretto il Myanmar (ex Birmania) ad adeguarsi alla richiesta della Corte internazionale di giustizia di fermare le uccisioni e le atrocità contro i rohingya. A opporsi: la Repubblica popolare cinese, antico alleato, e il Vietnam, che assieme al Myanmar fa parte dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico, ASEAN.
La guerra di Stati Uniti e Israele contro l’Iran si può evitare, malgrado la vertiginosa spirale d’aggressività alla quale abbiamo assistito? Il piano Trump per una «soluzione realistica» del conflitto israelopalestinese è accettabile da entrambe le parti o favorisce solo Israele?
La thawra pacifica che riflette la crisi del patto sociale in Libano e le parallele proteste di piazza in Iraq come influenzeranno i rapporti di questi fragili paesi con i loro potenti vicini? L’uccisione all’aeroporto di Baghdad del generale iraniano Qasem Soleimani, avvenuta il 3 gennaio scorso e della quale gli USA si sono assunti la responsabilità, e il conseguente attacco missilistico dell’Iran ad alcune basi americane, sono stati l’ultimo gradino di una escalation di tensioni nel Medio Oriente che va compresa, come sempre, guardando anche alle altre aree di crisi nella regione. Della quale il patriarca emerito di Gerusalemme dei latini, Michel Sabbah, ha detto di recente: «Questa terra non è stata creata per il male, ma per la redenzione dell’umanità. Dovrebbero esserci uomini saggi tra i potenti di questo mondo che possano riportarla alla sua normale natura».
Alla pubblicazione del piano statunitense sul Medio Oriente ha reagito anche il patriarca emerito di Gerusalemme Michel Sabbah, con la dichiarazione che qui di seguito presentiamo in una nostra traduzione dall’inglese (http://bit.ly/HL-Sabbah).
La cosiddetta thawra – rivoluzione – scatenata alla presentazione del pacchetto di riforme economiche proposte dal governo a metà ottobre come parte del bilancio 2020 non si ferma, nonostante l’intensità delle proteste abbia subito delle variazioni sia in termini di presenza nelle piazze che di forza.
La teologia della liberazione è nata dal dolore e dall’angoscia dei paesi in America Latina, frutto della corruzione politica, amministrativa e finanziaria della maggior parte di questi paesi. Questo tipo di teologia è stata ispirata dalla teologia cattolica unitamente alle rivendicazioni politiche, sociali ed economiche.
In molti siamo passati accanto al perimetro di un luogo di detenzione, noncuranti di chi vi abita dentro, ma in pochi abbiamo attraversato i cancelli di una struttura carceraria. Eppure abbiamo del carcere una visione stereotipata: visto esclusivamente come luogo di pena e d’abbrutimento. Esso più che essere luogo di condanna è (o dovrebbe essere) uno spazio temporale di catarsi e la pena uno strumento di riabilitazione vitale.