Grigoris Robert Siranian
Il «Grande male», come gli armeni chiamano il genocidio del loro popolo, si consumò cent’anni fa, a partire dal 24 aprile 1915, in un contesto storico segnato dalla Prima guerra mondiale e dal diffondersi dell’ideologia del panturchismo (G. Uluhogian, a p. 276). Cent’anni dopo, mentre ancora la Turchia rifiuta la definizione di «genocidio» data dagli storici al massacro, le Chiese cattolica e armena (ortodossa orientale) hanno scelto di commemorare la ricorrenza: così ha fatto papa Francesco il 12 aprile, a costo di incorrere in un raffreddamento dei rapporti diplomatici con la Turchia, e così ha fatto anche il catholicos di tutti gli armeni Karekin II, che il 24 aprile ha proclamato martiri le vittime del genocidio (cf. Regno-doc. 14,2015,1ss). La riflessione teologico-spirituale sul «martirio» degli armeni è una prospettiva che fa luce sull’assimilazione di questa tragica esperienza storica e sull’autocomprensione degli armeni come «nazione cristiana» (G.R. Siranian), ma anche sul significato in sé del vissuto martiriale in un momento storico in cui la violenza estrema religiosamente motivata è di drammatica attualità. Con il caso particolare delle donne, che presenta una sua specificità e invoca un supplemento di riflessione e ricerca (P. Stefani, a p. 273).
Studio del mese, 15/04/2015, pag. 269