Rileggere Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway (Mondadori, Milano 1975) da grandi, molto grandi, è una sorpresa. Si apre il libro sapendo sostanzialmente tutto. I personaggi sono due, il vecchio pescatore Santiago che non riesce a portare a riva un pesce da 84 giorni e il giovane suo ex apprendista Manolin, tre con il pescespada, quattro con il mare, se si vuole.
Qui si parla del dolore che non si può nominare. Questo libro è come quelle musiche splendide e tremende che accompagnano la nostra vita.1 Sono diverse per ciascuno di noi ma si somiglia il loro essere così assolute che attirano e insieme respingono, perché ci trascinano in un punto di vita in cui troppe cose stanno insieme.
Lettura quasi teologica di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie (Mondadori, Milano 1982). È possibile? Proviamo. Un poco un gioco questa lettura, come la filastrocca dei Dieci piccoli indiani che scandisce il ritmo delle morti. Ma la filastrocca si chiude sul verso «e poi non rimase nessuno» ed è proprio così, la fede ce lo dice. Siamo tutti colpevoli e se ci mettiamo al posto di Dio, alla fine proprio nessuno rimane vivo.
L’invenzione, di Alberto Vigevani (Mondadori, Milano 1979) è la storia retrospettiva di un dolore, il dolore di aver causato dolore, sia pure senza intenzione, per quella distrazione crudele che è propria dell’età giovane quando si vuole solo vita e vita e vita e incontrare la malattia (e la morte) è intollerabile. La ricostruzione di questa microstoria piena di pena fra adolescenti è perfetta nella verità di sentimenti ricostruiti, a distanza di anni, quando il tempo ha reso tollerabili i ricordi. E mostra come l’adolescenza sia sempre meravigliosamente la stessa.
Questo è un libro talmente bello che ci s’interroga ancora una volta sul mistero per cui ci sono romanzi impietosamente senza qualità che vanno in classifica, vengono adottati nelle spesso malinconiche liste dei libri di lettura estive, riproposti dalle scuole senza pudore per vent’anni sempre uguali, e altri invece no, anche se sono quasi (di più sarebbe un’iperbole visto che la letteratura non è ancora finita) perfetti.
La madre che muore ci porta con sé per tutta intera quella parte di lei che ci accompagnava ogni istante presente, o sullo sfondo, pensiero o soprassalto di emozione lontana. Nel racconto di Ferdinando Camon questo è un compito che, senza intenzione, come portato, si assume il padre, mentre i figli e i nipoti e i campi, le vigne, la terra fanno da coro. Coro di sguardi e di silenzi, lui è il solista.
«Per i bambini italiani di classe media, chi deve essere cortese sono le donne e i bambini». Siamo a pagina 93 dell’Elogio della cortesia, di Giovanna Axia (il Mulino, 2012 ma la prima edizione è del 1996, un longseller carsico, passato di suggerimento in suggerimento). È un piccolo saggio che pretende di essere letto con il ritmo di un romanzo perché le storie di bambini che fanno la pace «prima» di aver fatto la guerra sono irresistibili pezzetti di mondo reale. Una pace preventiva, sorprendente, quando la guerra era già bella apparecchiata, pronta a diventare zuffa di parole e di gesti visti in TV e anche tra gli adulti della vita vera.
«Cosa importa? Tutto è grazia». Con queste ultime parole del suo protagonista, il Diario di un curato di campagna (Georges Bernanos, Mondadori 1952) si fissa per sempre nella nostra storia di lettori e nella storia della letteratura, perché il romanzo ha raccontato così tanto di noi da poter abitare tutte le epoche.