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Riletture

Riletture

Canto di Natale

Mariapia Veladiano

È la vigilia di Natale, c’è la nebbia, è buio, fa freddo nel negozio, fa freddo nella strada ma il vero freddo è «il freddo che aveva dentro». «Gli gelava il viso, gli affilava il naso appuntito, gli raggrinziva le gote, ne induriva l’andatura, gli arrossava gli occhi, gli illividiva le labbra, si rivelava nella voce gracchiante. Una brina ghiacciata gli copriva il capo, sopracciglia e mento legnoso; ed egli portava sempre in giro con sé quella sua bassa temperatura, che gelava il suo ufficio anche nei giorni di canicola, e non saliva, sia pure di un grado, neanche al tempo di Natale».

Siate liberi

Mariapia Veladiano

Può capitare di leggere le 587 pagine scritte in caratteri lillipuziani de Il giuoco delle perle di vetro1 a diciannove anni, dopo non aver amato né il didascalico Narciso e Boccadoro né l’ecumenico Siddharta, infinitamente più accattivanti nel loro offrirsi a una lettura tutto sommato facile, quali che poi siano le profondità che molti ci vedono fra una riga e l’altra. Ci si arriva magari portandoselo in valigia a un campo di studio organizzato dai gesuiti, fra le montagne dell’Alto Adige a Selva di Val Gardena. Corso di maturità teologica si chiamava, ragazze e ragazzi usciti dalla maturità e immersi in quel momento unico nella vita in cui ogni cosa sembra possibile, squadernata davanti a noi, vertigine di libertà da attraversare.

L'amore carnefice

Mariapia Veladiano

Donne che non conoscono il loro valore. Uomini che di valore non ne hanno molto. Il mondo che Elizabeth von Arnim racconta nei suoi romanzi è spesso un piccolo, quieto ritaglio della grande società vittoriana, i cui difetti sono letti attraverso un’ironia intelligente che permette di vedere anche il bene di un formalismo che comunque e per vie indirette un poco purtuttavia educa i buoni pensieri. Di buoni pensieri e di parole ancora più buone strabocca Vera, romanzo che Elizabeth von Arnim scrisse nel 1921 (la 1a traduzione italiana è di Mursia [MI] del 1993; la più recente è di Bollati Boringhieri [TO] del 2006), solo un anno prima di Un incantevole aprile, leggerissimo nell’ironico raccontare il viaggio in Italia di quattro dame inglesi annoiate dalla nebbia e, le due di loro sposate, anche dai rispettivi mariti. In Vera invece non c’è niente di leggero, tranne la scrittura elegantissima dell’autrice.

Fragile leonessa

Mariapia Veladiano

Isabella D’Este ha sedici anni quando arriva a Mantova, sposa di Francesco II Gonzaga. È il 1490. Quattro anni dopo Carlo VIII inizia la lunga serie delle orrende guerre che rivolteranno l’Italia costringendo i piccoli ducati e le signorie a vorticosi cambi di alleanza e a impensati servaggi. Fra questi c’è il Marchesato di Mantova, bello come una miniatura, e indifendibile a meno che non riesca a tessere una rete, ragnatela di relazioni e alleanze protettive. Una storia fitta fitta che vista dal di fuori delle date e delle battaglie ha un che di respingente. Ma è possibile trovarsi dentro e tutto cambia. Rinascimento privato di Maria Bellonci (Mondadori, 1994) racconta questo periodo attraverso le parole di Isabella già grande, si direbbe in francese.

La «passione» di un bambino

Mariapia Veladiano
«In quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini» Pin viaggia con la furia senza pace di chi sente che ha una sua vita da vivere e che è ingiusto che il mondo ne faccia scempio. Schiacciato nel suo ruolo di fratello di una prostituta, che peraltro mezzo di quel mondo frequenta da cliente, strapazzato da Pietromagno suo padrone alla bottega, provocato sulla pistola da rubare, rito di passaggio smisurato che nessuno fra gli sfaccendati dell’osteria ha mai compiuto così terribile, pestato dai fascisti, malaccettato dai partigiani. Nel Sentiero dei nidi di ragno Calvino costruisce un’umana «passione» in cui il protagonista è un bambino che non ha nemmeno il sogno di avere un dio dalla sua parte (il testo, scritto nel 1947 e pubblicato anche nei «Meridiani» di Mondadori, è stato riletto in questi giorni da RAI Radio 3).

Donna, madre, prigioniera

Mariapia Veladiano
Quando nel 1906 pubblica "Una donna", Sibilla Aleramo ha trent’anni e almeno quattro vite sulle spalle. Sibilla Aleramo è prima figlia di una famiglia piemontese, ricca di beni e di idee, amata dal padre che lei idealizza come è normale che capiti, educata a una libertà di pensieri e di progetti alquanto singolare per una ragazza dell’epoca.

L'Osservatore delle donne

M. Veladiano
Il primo numero è un fuoco d’artificio: la santa è Giovanna d’Arco, l’articolo di attualità parla di schiave del sesso e suore, il pezzo di cultura è su Artemisia Gentileschi (c’era la mostra a Parigi). Son quasi tre anni da che L’Osservatore romano pubblica l’inserto «Donne Chiesa mondo». Così il titolo, tre parole scritte senza maiuscole e senza virgole. Quel che conta è la sequenza senza soluzione di continuità. Si parte dalle donne, donne importanti e no, importanti in modo canonico e no, si racconta il loro vivere la Chiesa e il mondo.

Don Milani e le parole consumate

M. Veladiano
C’è un potere (buono) della parola. Il credente si muove dentro questo potere buono. Lo conosce perché in principio era il Verbo, e una creazione dalla parola è qualcosa d’imprescindibile, con cui si deve fare i conti ogni volta che la tentazione dell’idolo s’affaccia nella nostra vita e nella storia. E anche perché la presenza di Dio nella storia, dopo la vicenda breve della vita terrena di Gesù, sta nella Parola e un Dio che accetta di abitare la Parola le conferma, le riconferisce un potere straordinario, uno statuto straordinario. Anche se è un potere particolarissimo, che si appella alla libertà dell’uomo che può prendere, leggere, abbandonare, farsi trasformare, disprezzare, riprendere, ricordare o dimenticare.

Quando Gaudenzia ingrassa

M. Veladiano
Il nome è difficile da portare, a dispetto del suo bel significato. La signorina si chiama Gaudenzia. Antifrastico quel che basta, vista la malinconia chiusa di questa vita giovane. Il soprannome è ancora più tremendo, Denza. Il papà è notaio in Novara, «ma il suo studio non era preso d’assalto dai clienti». La mamma è morta di parto. In famiglia c’è una sorella maggiore, Caterina chiamata Titina, e un’antica zia «zitellona, piccola, secca come un’aringa». La casa somiglia alla zia, il tempo fermato da chissaquando. La piccola immobile città somiglia alla casa. Le modiche relazioni somigliano alla città, intagliate in un bon ton solido come le colonne dei monumenti. Tutto si riproduce uguale, privo di grazia e intento. Un matrimonio in provincia, di Marchesa Colombi, è una piccola perfezione, asciutto come un rendiconto, feroce nel restituire un mondo circoscritto fatto di giorni che si lasciano dimenticare, ironico fin nel color verdebottiglia del vestito di festa che Gaudenzia riesce infine a conquistare per il matrimonio della sorella.

Pagine di catrame

M. Veladiano
Ne "Il maestro di Vigevano", di Lucio Mastronardi, c'è questo paese in cui tutti sono cattivi. Come ci si salva?