A
"Io non mi vergogno del Vangelo"

"Io non mi vergogno del Vangelo"

Menestrelli di Dio. Dalla, Celentano e Benigni

L. Accattoli
Celentano e Dalla sono personaggi del mio Cerco fatti di Vangelo 2 (EDB, Bologna 2011) dove li chiamo «menestrelli cristiani» e lodo la loro capacità di dire la fede nella lingua di oggi. Mi è dunque dispiaciuto che Celentano sia stato soltanto vituperato dopo i soliloqui di Sanremo (14 e 18 febbraio), senza che quasi nessuno cogliesse la perla rara di quella parola di fede nel più mondano dei contesti. Molto invece ho apprezzato la messa di addio per Lucio Dalla in San Petronio a Bologna il 4 marzo perché vi ho visto un riconoscimento della figura cristiana del caro menestrello. Ho scritto del molleggiato e del ciuciulante nel mio blog e sul quotidiano Liberal che suona solenne e che nessuno conosce. Ridico qui i miei sentimenti con il maggior agio di questa pagina dove sono solo me stesso. Ma inverto l’ordine della trattazione rispetto alla cronologia dei fatti perché Lucio Dalla che sempre scherzava stavolta l’ha presa sul serio.

Secolo che vai santo che trovi: Le canonizzazioni oggi tornano all'antica varietà

L. Accattoli
Secolo che vai santo che trovi: butto là questo attacco per un articolo che il Corriere della sera mi chiede all’ultimo momento per l’inserto domenicale La Lettura su: «Come cambia nel tempo la categoria della santità». L’argomento mi appassiona e accetto, pur consapevole che ai miei committenti interessa solo un aspetto: un tempo si poteva diventare santi anche uccidendo – tipo nelle crociate – e oggi invece solo se ti lasci uccidere. A quanto ho capito l’idea della pagina è venuta – nella riunione di direzione – dal confronto tra i martiri cristiani e i martiri dell’islam. Ma dai miei ormai 37 anni tra Repubblica e Corriere della sera ho capito che devi rassegnarti a svolgere a tuo cuore e talento il lavoro che ti viene assegnato, quale che sia il primo input della committenza. Ho dunque scritto in un giorno quell’articolo – che è apparso nell’inserto di domenica 12 febbraio con il titolo «I nuovi santi: laici e sposati» – avendo la testa rutilante di spunti e rimandi che non ho potuto utilizzare e che metto qui, insieme a qualcuno di quelli che ho messo là.

… E la privacy? Quando parlare e quando tacere nelle cose della fede

L. Accattoli
Uso il blog – www.luigiaccattoli.it – come laboratorio per la ri cerca di «fatti di Vangelo» e con esso raccolgo buoni materiali, o cerco ampliamenti di storie che mi sono già note, chiedendo ai visitatori «chi sa mi dica». Con un post del 3 gennaio ho chiesto aiuto per avere un completamento della storia di Aurelio Andreoli, malato di AIDS, che ha narrato la sua vicenda – compreso il recupero della fede nella malattia – in un diario pubblicato da Marsilio nel 1999 (Il bacio di Francesco. Un credente nella notte dell’AIDS): dall’editore e da Ernesto Olivero prefatore del volumetto ho saputo che nel frattempo Aurelio è morto, ma non sono riuscito a conoscere la data né le circostanze della morte. Dai visitatori non ho avuto contributi conoscitivi, ma varie considerazioni e una dura protesta.

Ero senza documenti e mi avete rimpatriato. Se Gesù raccontasse oggi la parabola di pecore e capre

L. Accattoli
«Piangevo per la disgrazia di aver procurato involontariamente la morte di una persona in autostrada e voi avete detto che mi stava bene». «Non conoscevo la lingua e voi che eravate allo sportello mi avete detto: torna al tuo paese». Matteo 25,32s: «Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra». Quello che succede alle pecore l’abbiamo visto il mese scorso (cf. Regno-att. 20,2011,719), portando a oggi la fame e la sete, il carcere e la nudità, la malattia e l’espatrio. Guardiamo ora alle capre.

«Ero in attesa di trapianto e mi avete donato il vostro corpo». Il Giudizio nell'era globale

L. Accattoli
L'idea di riscrivere la parabola del Giudizio di Matteo 25 mi è venuta dal racconto di una rifugiata etiope: «Arrivai a Lampedusa e riaprii gli occhi. Li avevo chiusi all’inizio della traversata due giorni prima. Vidi una donna che mi porgeva una coperta. Avevo una profonda ferita alla gamba che mi ero procurata in carcere, mi medicavano, mi disinfettavano, mi davano da bere, mi parlavano dolcemente e anche se non capivo nulla di ciò che mi dicevano, pensai: questo è il paradiso» (CENTRO ASTALLI, Terre senza promesse, Avagliano Editore, Roma 2011). L’idea era questa: di aggiornare all’era globale la parabola delle pecore e delle capre: «Ero un rifugiato senza documenti e mi avete accolto». Di applicare – intendo – quelle parole di Gesù a ciò che avviene ai nostri giorni. Mi è parso un buon esercizio perché quelle sono parole straordinarie, tra le più efficaci che siano risuonate sulla Terra e perché ciò che ne è venuto è il meglio della nostra umanità, che non avremmo conosciuto senza di esse.

«La nostra veglia nella notte del mondo». A colloquio con il priore di Serra San Bruno

L. Accattoli
Non mi aspettavo la «messa senza ministro» che il certosino sacerdote celebra da solo in aggiunta a quella conventuale. Non sospettavo l’esistenza del rito certosino e del suo confiteor che dice «di aver molto peccato per superbia in parole, opere e omissioni». Mi ha spiazzato anche la prostrazione sia liturgica sia privata, ognuno nella sua cella. Ho intuito che dovrei praticarla anch’io per trovare la giusta posizione. Non immaginavo la sepoltura nella terra, senza bara e senza nome. Né il pane contadino infornato una volta alla settimana, duro ma buono inzuppato nel latte. Mi sono fatto certosino per tre giorni – bello sforzo – per intervistare il priore di Serra San Bruno in vista della visita del papa (9 ottobre). Ne è venuto il volumetto Solo dinanzi all’Unico. Colloquio con il priore della Certosa di Serra San Bruno (Rubbettino editore, Soveria Mannelli [CZ], pp. 140, € 12,00).

«Bailar dopo l'adorazione». Che cosa ci insegnano i 2 milioni di Madrid

L. Accattoli
Per la prima volta non sono stato alla Giornata mondiale della gioventù (Madrid, 16-21.8.2011; cf. in questo numero alle pp. 528s e 561; Regno-doc. 15,2011, 449ss) e proprio per questo ne voglio scrivere: per indagare su come la puoi vedere da lontano. Il giornalismo infatti è narrazione di cose viste o ascoltate, distinguendo le une dalle altre. Ho riletto le cronache cercando le battute dei partecipanti, ho mandato e-mail, ho invitato i visitatori del mio blog a un passa parola che funziona sempre. Ma l’inchiesta ha avuto un avvio aureo: domenica 28 agosto ero a una «settimana delle famiglie» a Colle Val d’Elsa e ho potuto parlare con quattro ragazzi di Siena appena tornati e pieni di racconti: Gabriele 16 anni, Anna 17, Costanza e Andrea 18.

L’accanimento medico… e i santi che invoco contro di esso. Tra di loro c'è il medico Lucio Raffa

L. Accattoli
Stavolta parlo dell’accanimento dei medici: non in chiave medica o giuridica, che non sono miei campi, ma narrando storie come si addice a un giornalista e la storia di partenza è quella di un amico pediatra di Reggio Calabria che è morto di tumore a 70 anni nel gennaio del 2008, lasciando un caro ricordo in un vasto ambiente del volontariato e della Chiesa reggina. Il ricordo di Lucio ravviva in me quello di altre tre storie che alla sua si legano e che riguardano il patriarca Athenagoras, il card. Benelli, la terziaria domenicana Leletta. Storie che invitano a guardare con cautela ai «protocolli» medici ma prima ancora a ciò che da essi noi ci attendiamo. Parto da una parola detta a me da Lucio più di vent’anni addietro, dovendo egli fare accertamenti per un’ipotetica cirrosi epatica: «In questi casi noi medici siamo più disarmati degli altri. Come chiunque teme un secondo ricovero più del primo, così il medico teme per sé anche a motivo dei ricoveri degli altri che magari è stato lui a decidere. Il medico somatizza i mali di tutti».

Convertiti da Karol. Per un'inchiesta sulla santità diffusiva del beato Wojtyla

L. Accattoli
Mariella Mancini, separata e divorziata, abbandonata dal marito 23 anni fa: «Le parole di papa Wojtyla “non abbiate paura, aprite le porte a Cristo” mi hanno dato la possibilità di capire che la mia fede era intatta e mi hanno riempito il cuore anche se la regola cristiana non mi permette di ricevere la comunione». È una delle tante attestazioni sulla santità diffusiva di papa Wojtyla e sul cristianesimo di conversione da lui predicato. Qui le passo in rassegna come un contributo alla comprensione della beatificazione celebrata da papa Benedetto il 1° maggio e di quella folla che nessuno poteva contare.

Quand'era facile la fede e difficile la carità. Cosa può insegnarci Margherita di Città di Castello

L. Accattoli
Un narratore di «fatti di Vangelo» dei nostri giorni può aiutare a intendere quelli del passato? O a paragonare sfide e doni della vocazione cristiana ai nostri giorni e – poniamo – al tempo di Dante? Alcuni amici di Città di Castello mi hanno proposto il tema inusitato: «Fede e carità al tempo di beata Margherita e ai nostri giorni». Con l’improntitudine del giornalista ho accettato e ho tenuto l’incontro il 6 maggio al Centro Studi «Beato Carlo Liviero», a Città di Castello, presente il vescovo, una squadra sportiva di disabili (dell’Associazione sportiva dilettantistica «Beata Margherita») e tante persone.