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"Io non mi vergogno del Vangelo"

"Io non mi vergogno del Vangelo"

«Rimasi folgorato dalle chiese romaniche». Ancora sul battesimo degli adulti

L. Accattoli
Anche stavolta chiedo a battezzati adulti perché si siano fatti cristiani in un contesto sfavorevole qual è ormai il nostro. Ne avevo ascoltati dieci il mese scorso, sulle ragioni di fondo. Ora porto l’attenzione sulla scintilla, sul primo affacciarsi dell’interesse per il cristianesimo e ne trovo otto che danno una risposta sorprendente: le cattedrali, la musica la bellezza dei riti e delle chiese. Credevo fossero ragioni d’altri tempi e invece risultano attualissime. E più ampiamente: la bellezza della proposta cristiana, della quale lo splendore delle architetture e dei canti è solo un aspetto. Paul Claudel si converte udendo il canto del Magnificat in Notre Dame, a Parigi, il giorno di Natale del 1886 e dice: «Come sono felici le persone che credono». Sono frequenti parole simili ai giorni nostri.

«Ha chiesto il battesimo per un atto d'amore». Invito a indagare sul catecumenato degli adulti

L. Accattoli
Cercando «fatti di Vangelo» mi trovo spesso a narrare battesimi di adulti e sempre chiedo al battezzato la ragione della sua scelta: essendo tra i 2.000 e i 3.000 ogni anno, in Italia, i battesimi degli adulti, io credo che disponiamo di un campo vastissimo d’indagine su che cosa converta l’uomo d’oggi. Un campo inesplorato. Mi propongo qui di gettarvi un’occhiata in vista – chissà – di un’esplorazione più vasta. Sugli adulti che ricevono il battesimo ho poi un altro paio di idee che sempre offro alle comunità che vivono un tale evento ma che – con mia meraviglia – per lo più risultano difficili da realizzare. La prima è di accoglierli con una grande festa, i nuovi battezzati: alla «festa» liturgica, che è splendida, specie se i battesimi avvengono nella veglia pasquale, si dovrebbe accompagnare una festa conviviale: una parrocchia non ha motivo più valido per organizzare le migliori tavolate. Darebbero ai nuovi arrivati una viva manifestazione dell’accoglienza che meritano e segnalerebbero all’interno e all’esterno l’importanza dell’evento.

«Benedico nei luoghi affollati». Ancora sulle benedizioni dei cristiani comuni

L. Accattoli
Io benedico nei luoghi affollati». «Dio mio non ho mai benedetto nessuno». «A me vien fatto di benedire sempre, in cuor mio, i bambini ». Tre donne che frequentano il mio blog mi hanno inviato queste confidenze in risposta alla richiesta di narrare la propria esperienza della benedizione come liturgia del cristiano comune, che non ha rituali e che è affidata alla spontaneità della vita. Il mese scorso avevo abbozzato qui una rassegna narrativa della varietà delle benedizioni scambiate ai nostri giorni, comprese quelle dei laici ai consacrati (Regno-att. 20,2012,719). Torno sul tema per meglio calarlo nella quotidianità.

«Benedicimi». La benedizione come liturgia quotidiana del cristiano comune

L. Accattoli
Un morente vede un mendicante, lo be nedice e vuole esserne benedetto. Un prete chiede la benedizione all’infermiera che l’assiste. Una brasiliana trovandosi a un colloquio drammatico con il vescovo gli chiede di benedirla e gli dà la sua benedizione. Un anziano amico che veniva dalla Germania, in occasione dell’ultima venuta mi disse: «Porta al papa la mia benedizione». Vado a fare visita a un collega morente e ai saluti gli dico: «Dammi la tua benedizione » e gli do la mia. Sono del parere che vada rimessa in onore la «benedizione» come liturgia quotidiana del cristiano comune: non solo quella dei genitori ai figli, già frequente e oggi rara, ma ogni benedizione da persona a persona, nella coppia e in ogni relazione, compresi i figli che benedicono i genitori o il cristiano comune che benedice un consacrato. Comprese le relazioni della blogosfera.

Nel fuoco della malattia. «Accettazione senza rassegnazione», le parole di Lina Biora

L. Accattoli
Stavolta narro con poche parole mie e molte sue la storia di una cristiana dei giorni nostri da me conosciuta quasi casualmente: Lina Sorrenti Biora, torinese, morta di tumore il 13 giugno 2012 a 65 anni. Un comune amico, Luigi Amigoni, padre somasco, fu all’origine della nostra conoscenza che poi trovò vie sue negli anni della malattia. Riporto qualcosa dei messaggi di posta elettronica scambiati dall’aprile del 2009 al maggio del 2012. Ci sono stati anche degli incontri, sei in tutto, tre a Torino e tre a Roma. Ma la sostanza della nostra corrispondenza è nella ricerca dell’atteggiamento del cristiano nella malattia. Una ricerca che lei, colta e umile, conduceva con docilità e che io – come potevo – accompagnavo. Il primo accenno al male è dell’11 gennaio 2009: «È questa una fase molto speciale della mia vita, che ha aperto nuovi orizzonti e che al momento riesco a vivere, nonostante tutto, come una benedizione».

In memoria del card. Martini e della sua libertà di parola

L. Accattoli
«L'unico che non ci ha fatto la predica è stato il card. Martini», dissero due dei miei figli che nell’agosto 1993 partecipavano alla Giornata mondiale della gioventù di Denver (Stati Uniti). È con lo sguardo distaccato dei figli, ovvero della gente interessata alla fede ma non alle diatribe ecclesiastiche, che qui voglio ricordare Martini in questi giorni dopo la sua morte che attraverso con trepidazione. Non mi considero un martiniano, pur avendogli voluto bene, e ritengo una perdita per tutti ridurne l’eredità alla disputa sulle riforme. La trepidazione che dicevo non è legata a quella disputa ma a una sua affermazione di pochi mesi addietro, quando confidò in risposta a un lettore del Corsera che non vi sono «rimedi facili» alla paura della morte, che il cristiano è chiamato ad affrontare nel «totale abbandono di sé che costituisce la sostanza della fede».

In morte di Vittorio Tranquilli. Quando il giusto è solo un giusto

L. Accattoli
Stavolta parlo di Vittorio Tranquilli, che era un personaggio ed è appena partito, dopo 87 anni passati su questo pianeta beneficando tanti e aiutando altri a restare svegli. Eppure è difficile parlare di questo personaggio, che era anche un poco mio amico – avendolo conosciuto nel 1970 nella Scuola italiana di scienze politiche ed economiche (SISPE) di Franco Rodano, Claudio Napoleoni, Michele Ranchetti –, e mi chiedo la causa di questa difficoltà: sui quotidiani la sua morte l’abbiamo segnalata solo io, sul Corriere della sera del 5 luglio, e Loris Campetti, sul Manifesto dello stesso giorno. Risposta provvisoria: è difficile oggi nei media parlare di un giusto che sia solo un giusto.

Sul corvo e dintorni. Contro la mania di fare appello al papa

L. Accattoli
Non sopporto i libri di Gianluigi Nuzzi e Vaticano SpA (Chiarelettere, Milano 2009) ho impiegato più di un anno a leggerlo, ma per Sua santità (Chiarelettere, Milano 2012; cf. Regno-att. 10,2012,304 e in questo numero a p. 376) mi sono dovuto affrettare, sia per l’insistenza della moglie – «che vaticanista sei» – sia per il volo radente dei corvi che provocavano continue richieste d’interviste e d’articoli. L’ho dunque letto e qui ne do un mio conto trasversale e malevolo, perché è vero che non amo Nuzzi ma i documenti sono documenti. Ho avuto diverse sofferenze nel leggere e una prevalente su tutte che formulo con l’esclamazione: «Ma guarda quanti pirla tormentano il povero papa per le loro cavolate». Ho sempre avuto questa insofferenza. Suore devotissime, giovani latino-americane e italiane anziane, mi hanno ospitato nella loro casa a Milano e mi hanno implorato: «Lei che incontra il papa ci aiuti ad avere un colloquio».

Padovese martire. E quella sua critica alle «virtù eroiche»

L. Accattoli
Nel preparare questa puntata ho avuto una gioia: ho scoperto di avere in casa e di aver letto un volumetto del cappuccino Luigi Padovese (1947- 2010) intitolato Piccoli dialoghi tra santi di marmo (Piemme 1999) dimenticando poi chi ne fosse l’autore e non collegandolo mai al vescovo e martire Luigi Padovese di cui mi sono occupato in occasione del martirio, che avevo intervistato per il Corriere della Sera e che avevo incontrato durante la visita di papa Benedetto in Turchia nel novembre del 2006.

Paolino Serra Zanetti. Ovvero un Dossetti ricondotto alla nuda fede

L. Accattoli
Tra i doni della vita c’è stato per me l’incontro con don Paolo Serra Zanetti (1932-2004), don Paolino per quanti l’amavano. Ed è capitato che io sia stato chiamato a Bologna per la presentazione del volumetto L’urgenza di amare. Lettere a suor Emanuela e altre meditazioni, a cura di Paola Dalli e Giancarla Matteuzzi (EDB, Bologna 2011), che si è fatta nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio il venerdì 16 marzo 2012 alle 17.30. Ho atteso quell’ora in piazza Maggiore, seduto sui gradini del palazzo di Re Enzo dove si sedeva con gli amici Lucio Dalla, che quella piazza aveva «salutato» 12 giorni prima.