Che la seconda enciclica di papa Bergoglio abbia un’esplicita matrice francescana risulta palese fin dalla titolazione. Né forse è superfluo sottolineare che l’italiano insolito come titolo di un’enciclica era inedito anche per il Cantico di Francesco: il santo era, infatti, giunto al volgare solo alla fine della propria vita, dopo aver composto vari inni in latino. Anche in questo caso va comunque tenuta presente la triplice motivazione fornita da Bergoglio per la scelta da lui compiuta dell’inedito nome di Francesco. Essa fu giustificata lungo tre assi portanti: povertà, pace, creato.
Ora che il testo è stato presentato ufficialmente, dopo la violazione dell’embargo e la pubblicazione non autorizzata, scemata l’eco mediatica, mentre le prime letture possono sedimentare, è il momento di andare davvero al testo della lettera enciclica di papa Francesco Laudato si’. Sulla cura della casa comune. A un primo sguardo il testo appare ampio, ma anche eterogeneo, con significative differenze di stile – e conseguente leggibilità – tra i diversi capitoli.
L'enciclica Laudato si’ rappresenta la «discesa in campo» di più alto livello magisteriale che la Chiesa cattolica abbia sinora compiuto in quella grande corrente prodotta dalle Chiese di varie tradizioni e dalle altre religioni a favore della salvaguardia della creazione e della conversione ecologica dell’umanità. Il processo «Giustizia, pace e salvaguardia del creato», priorità programmatica del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) enunciata nell’Assemblea di Vancouver nel 1983, divenne il tema della convocazione mondiale di Seoul nel 1990 e poi un processo mondiale permanente. E le altre confessioni e religioni non hanno mancato d’accogliere con gioia questo passo storico, marcandone con numerose dichiarazioni l’importanza sia sul piano del movimento ecumenico, sia su quello del movimento ecologico.
Le elezioni regionali parziali di giugno – si è votato in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Umbria, Campania, Puglia – hanno segnato un’ulteriore drastica diminuzione della partecipazione al voto. In nessuna delle 7 regioni si è raggiunto il 60% dei votanti, soglia invece superata nelle regionali del 2010. Con un -13% nelle Marche, -12,4% in Toscana e -12% in Puglia.
Chiara Lubich è considerata una delle personalità spirituali e pubbliche che più hanno influenzato il modo d’intendere e vivere il cristianesimo nella seconda parte del XX secolo. Ma qual è il suo legato in termini di pensiero politico? Se ne è parlato in un convegno dello scorso marzo a Montecitorio sul tema «Chiara Lubich: l’unità e la politica». Difficile riassumere in poche righe tutta la profondità e la rilevanza del pensare e dell’agire politico di e in Chiara Lubich. Mi limiterò ad alcuni temi rilevanti anche per la nostra attualità politica.
E' di poche settimane fa la pubblicazione di un’indagine dall’Ufficio nazionale di statistica dei Paesi Bassi sul «coinvolgimento religioso della popolazione dei Paesi Bassi» secondo cui, a dirsi cattolico oggi è il 24,4% della popolazione (nel 2010 era il 27,4%). Di questo, circa il 5% (vale a dire 200.000 persone) va in chiesa una volta la settimana; il 17,5% ci va una volta al mese, il 65% raramente o mai.
Intendeva prendere una posizione sulla relazione fra Chiesa, Vangelo e società moderne a 50 anni dalla chiusura del concilio Vaticano II il Colloquio internazionale che si è tenuto a Parigi dal 13 al 15 aprile sul tema «Vaticano II: un evento storico – La posta in gioco oggi. Il Vangelo di fronte alle culture». Era stato proposto e preparato da un comitato scientifico di cui fanno parte Christoph Theobald (Parigi), Mathijs Lamberigts (Lovanio), Gilles Routhier (Québec), Pedro Rubens Ferreira Oliveira (presidente della Federazione internazionale delle università cattoliche, IFCU, Recife), Guy-Réal Thivierge (segretario generale della stessa Federazione) e Philippe Chenaux (Roma).
L'Instrumentum laboris (IL) per la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terrà nell’ottobre prossimo su «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo», è il frutto della recezione e dell’approfondimento richiesto da papa Francesco a conclusione della precedente III Assemblea generale straordinaria, svoltasi nell’ottobre 2104 su «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione».
Tra la fine di maggio e la prima metà di giugno si sono concentrati avvenimenti, commenti e decisioni che, pur sorti in ambiti diversi, hanno finito coll’influenzarsi a vicenda, anche perché accomunati dall’unico denominatore della sessualità umana, tema sensibilissimo nel dibattito ecclesiale odierno, sia per gli aspetti «biopolitici» sia per quelli oggetto del prossimo Sinodo.
Un comunicato della Congregazione della dottrina della fede (CDF), rilasciato il 16 aprile 2015 (http://tinyurl.com/plmtn24) e firmato congiuntamente dai vescovi americani P. Sartain, L. Blair e T. Paprocki e dalle presidenti della Leadership Conference of Women Religious (LCWR) – S. Holland ihm, M. Allen csj, C. Zinn ssj, J.M. Steadman csc – ha annunciato la fine della «valutazione dottrinale» della LCWR (che rappresenta circa l’80% delle 57.000 suore degli Stati Uniti) da parte della CDF.
Tra i primi messaggi di congratulazioni ricevuti da dom Sérgio da Rocha, arcivescovo di Brasilia, per la sua elezione a presidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB) c’è stato quello della Rete nazionale di gruppi cattolici di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT), nata un anno fa per riunire 10 aggregazioni attive in diverse regioni del Brasile. Il suo manifesto fondativo dichiara l’impegno «per una società senza omofobia e discriminazione» e il sostegno «alle iniziative pastorali dei vescovi per orientare e includere nelle comunità quanti vivono in nuove configurazioni famigliari, comprese le unioni tra persone dello stesso sesso».
Far «conoscere la preoccupazione della Chiesa per le gravi conseguenze della crescente attività estrattiva nella nostra regione». Così mons. Pedro Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo, in Perù, e presidente del dipartimento di Giustizia e solidarietà (Dejusol) del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), ha sintetizzato lo scopo dell’audizione della Rete ecclesiale pan-amazzonica (Repam) davanti alla Commissione interamericana dei diritti umani.
La diffusione di armi nel continente africano è strettamente connessa alla vasta conflittualità, generata anche dal processo di decolonizzazione e mai sopita. Risulta, ad esempio, che ben 77 conflitti non statali si sono concentrati nel solo Corno d’Africa nel decennio 2001-2010, coinvolgendo progressivamente altri paesi confinanti come l’Etiopia e il Kenya. Negli anni più recenti, anche in seguito alle cosiddette primavere arabe e ai loro esiti, nonché all’attacco contro il regime di Gheddafi e al caos conseguente, il Nord Africa è afflitto da forti tensioni interne, che stanno sfociando a volte in aperte guerre civili. Tra guerre, aree di crisi e atti di terrorismo in Africa si valutano decine di conflitti in atto, mentre si calcola che solo dal 1° gennaio al 28 febbraio 2015 vi siano stati ben 2.347 episodi di violenza armata in tutto il continente.
Nomusa (il nome è di fantasia), arriva dallo Zimbabwe. Ha 37 anni, due figli e ha rischiato di vedersi rimandata nel paese che ha abbandonato proprio dalle forze dell’ordine sudafricane, appartenenti a quello stato dal quale aveva sperato di trovare aiuto. È infatti una delle centinaia di migranti senza documenti che sono stati identificati e in molti casi arrestati durante i raid congiunti dell’esercito e della polizia noti come operazione Fiela: una parola che in lingua sesotho significa «ripulire» e che in questo contesto suona beffarda.
In più di 1.000 sono state liberate in poche settimane. Sono le donne e le bambine fatte prigioniere da Boko Haram nel nordest della Nigeria, nel momento in cui la capacità della setta di controllare il territorio e di colpire obiettivi sia militari sia civili era al suo massimo. Da quel momento sono passati mesi e nel frattempo è stata costituita una coalizione di paesi africani contro i fondamentalisti, a cui partecipano Camerun, Niger e Ciad: tutti stati, in tempi e modi diversi, colpiti dalle azioni dei guerriglieri estremisti.
Pas de troisème mandat, no al terzo mandato. È questa la parola d’ordine della contestazione che, dal 26 aprile, attraversa le strade di Bujumbura, la capitale del Burundi e continua ancora mentre questo articolo va in stampa. Il giorno prima, il congresso del partito di governo Conseil national pour la défense de la démocratie – Forces pour la défense de la démocratie (CNDD-FDD) aveva dato il via libera a Pierre Nkurunziza, capo dello stato in carica, per candidarsi alle prossime presidenziali. Una decisione contestata, perché, se eletto, Nkurunziza inizierebbe – appunto – il suo terzo mandato, in teoria proibito dalla Costituzione e dagli accordi di Arusha del 1998, firmati per porre fine a una guerra civile effettivamente terminata solo nel 2002.
Ormai da diversi anni mi interesso, da una prospettiva teologica, della vicenda di sette monaci trappisti francesi rapiti in Algeria da un gruppo di fondamentalisti la notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 e uccisi il 21 maggio dello stesso anno – vicenda che anche il recente film francese "Uomini di Dio", di Xavier Beauvois, ha voluto narrare –, i quali hanno vissuto la loro vocazione cristiana nel monastero di Tibhirine, una località dell’Atlas algerino nell’arcidiocesi di Algeri. Grazie all’incontro con la loro esperienza di cristiani in dialogo con l’Islam, che hanno vissuto come «ospiti» in «un oceano di Islam», è nato in me un forte interesse per il dialogo interreligioso cristiano-islamico.
Siamo di fronte alla ricerca di un valente storico del cristianesimo, che ha già al suo attivo numerosi saggi importanti. Le minuziose ricerche di prima mano condotte nei fondi archivistici del Vaticano, di Torino, Chambéry, Digione, Troyes, Grenoble e altri ancora, avrebbero permesso ad Andrea Nicolotti di presentare un volume dalla mole almeno doppia sul ricchissimo materiale raccolto. Da sei anni il suo interesse si è infatti rivolto al lenzuolo custodito nel Duomo di Torino, su cui ha già presentato vari studi e articoli per confutare le teorie dello storico (dilettante) Ian Wilson, il quale collegava il presunto arrivo in Occidente da Costantinopoli della Sindone alle vicende dell’Ordine dei templari, identificandola con l’antichissima e venerata immagine del Mandylion di Edessa e Costantinopoli.
Nel mese di settembre 2014 sono accadute molte cose: prima la notizia dell’arresto dell’ex nunzio e arcivescovo – poi dimesso dallo stato clericale – Jozef Wesolowski per abusi sessuali su ragazzi durante il suo periodo come ambasciatore della Santa Sede in Repubblica Dominicana; due giorni dopo è stato reso pubblico che sul computer di Wesolowski si trovava una grande quantità di materiale pedopornografico.
Basta solo armarsi di pazienza e si verrà ampiamente ripagati dalla lettura di questo intenso volume, ricco di aneddoti e riferimenti storico-biografici sulla «latinoamericanità» dell’attuale pontefice. Con buona pace dei detrattori che lo ritengono un «improvvisato».
Il libro si presenta come un approfondimento critico del tema della «storia» (declinata sia nel versante ontologico della storicità sia in quello epistemologico della storiografia) in Bernard Lonergan (1904-1984). Si tratta forse di un pensatore – è l’autore in parte a dichiararlo nel libro – che, anche a motivo di studi troppo «fedeli» al maestro, ha ingenerato diffidenza o comprensibile riluttanza.
Lungi dal formalismo e dal linguaggio asettico si configura passionale il libro di Francesco Brancato. L’autore, docente di Teologia dogmatica, consapevole dell’insufficienza esegetica della teologia nell’indagine dell’enigma della natura, sente l’urgenza di ricorrere all’interpretazione della scienza e della filosofia, della letteratura e dell’arte per penetrare l’abisso esistenziale con accanto le intelligenze della storia e della modernità.
Isabella D’Este ha sedici anni quando arriva a Mantova, sposa di Francesco II Gonzaga. È il 1490. Quattro anni dopo Carlo VIII inizia la lunga serie delle orrende guerre che rivolteranno l’Italia costringendo i piccoli ducati e le signorie a vorticosi cambi di alleanza e a impensati servaggi. Fra questi c’è il Marchesato di Mantova, bello come una miniatura, e indifendibile a meno che non riesca a tessere una rete, ragnatela di relazioni e alleanze protettive. Una storia fitta fitta che vista dal di fuori delle date e delle battaglie ha un che di respingente. Ma è possibile trovarsi dentro e tutto cambia. Rinascimento privato di Maria Bellonci (Mondadori, 1994) racconta questo periodo attraverso le parole di Isabella già grande, si direbbe in francese.
Gli attuali progetti di riforma della legge che regolamenta le comunità religiose in Vietnam «sono contro il diritto alla libertà di religione e di fede»: così hanno affermato i leader cristiani locali della diocesi di Kontum in una lettera aperta, che raccoglie le opinioni del clero e dei fedeli, inviata lo scorso 28 aprile all’Ufficio per gli affari religiosi (cf. Eglises d’Asie 8.5.2015).
Una catastrofe umanitaria dalle proporzioni gigantesche: è quanto sta accadendo nei mari del Sud-est asiatico alle migliaia di migranti di etnia rohingya in fuga dal Myanmar per scampare a povertà e persecuzioni. I rohingya sono un gruppo etnico poverissimo di fede musulmana, non riconosciuto come minoranza, che vive nella regione occidentale di Rakhine. Imbarcati su mezzi di fortuna al largo delle coste di Thailandia, Malesia e Indonesia, sono in fuga da una situazione ormai trentennale di conflitto interetnico e interreligioso con i birmani rakhine di religione buddhista e islamica.
Numerosi studi e autori si dedicano alla ricerca di spiegazioni che giustifichino il sorprendente successo culturale e politico dell’Occidente. Eppure a metà del IX secolo lo storico musulmano Ibn Khurradadhbeh descriveva l’Europa occidentale come una terra di «eunuchi, donne e uomini schiavi, broccato, pellicce di castoro, colla, zibellini e spade» e poco più. Sei secoli dopo i franchi raggiunsero, in determinati campi della matematica e nelle innovazioni meccaniche, un prestigio pari, se non superiore, a quello dei musulmani e di chiunque altro al mondo. Come era avvenuto che, tra il IX e il XVI secolo, questi «zotici» avessero compiuto tali conquiste?
Perché il Sinodo ordinario del prossimo ottobre possa attuare gli obiettivi di riforma pastorale che si propone, è necessario affrontare una questione teorica molto precisa, che sinora non è stata adeguatamente istruita, ma sta alla base delle scelte che si deciderà di compiere sull’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti. È l’idea cristiana d’indissolubilità del matrimonio, che di fronte ai cambiamenti antropologico-culturali d’oggi deve passare da una concezione «fisica», con un’ipostatizzazione del vincolo coniugale al di là dell’amore dei coniugi, a una «morale», previo lo sviluppo di una concezione teologica della coscienza morale (Giuseppe Angelini). Passando dal livello teorico alla prassi pastorale, per contribuire al dibattito preparatorio è utile rivisitare i criteri tradizionali in base ai quali la Chiesa cattolica non ammette i divorziati risposati alla comunione eucaristica, perché a partire dalla distinzione tra responsabilità soggettiva e situazione oggettiva è possibile individuare una strada che salvaguardi l’indissolubilità del matrimonio sacramentale, ma anche l’esigenza pastorale di riconoscere la testimonianza di unità fedele e feconda di alcune seconde unioni (Aristide Fumagalli).
Nei Lineamenta della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi su «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo» si rinviene, a proposito della cura delle famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali), l’indicazione di approfondire la questione dell’accesso dei «divorziati risposati» ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia. Il presente studio si focalizza su questa circoscritta questione, nella consapevolezza che una sua più adeguata assunzione esigerebbe di inscriverla nell’ampio orizzonte e nella lunga tradizione della dottrina e della disciplina matrimoniale della Chiesa.
C’è chi ha scritto che se l’arcobaleno durasse in cielo più di dieci minuti nessuno lo guarderebbe. Forse è esagerato. Si osservano anche le cose che sono stabilmente là davanti a noi. Il grande albero fuori dalla finestra, le curve delle colline, i profili delle montagne, il tremolar della marina. Tuttavia è vero che la transitorietà dell’arco iridescente induce a chiamare altri a vedere uno spettacolo di breve durata: «Vieni, guarda c’è l’arcobaleno!».
Ho avuto i testi di una veglia di preghiera per le vittime dell’omofobia, ho parlato con alcuni partecipanti e con il padre gesuita che la guidava. Ho posto un paio di domande ai visitatori del mio blog e sulla base di questa istruttoria affronto senza rete la questione. L’affronto narrativamente, che è la via del giornalista. Osservare come pregano gli omosessuali credenti può aiutare a intendere la loro condizione nella Chiesa.