È il 2004 e Anna Politkovskaja scrive un libro rivolto a un Occidente che ammira Putin, Berlusconi capofila, e non gli chiede seriamente conto di niente, abbagliato da PIL in crescita vorticosa e da un consenso popolare che le elezioni si ostinano a fissare intorno al 75%. Ma l’esercito è una geenna.
Graham Greene lo aveva pubblicato in inglese con il titolo The Captain and the Enemy che in Italia è diventato L’uomo dai molti nomi (Mondadori, 1998). Il titolo cambia spesso in traduzione: per farlo suonare bene in un’altra lingua, per inseguire i successi del momento (quanti fiori e laghi e segreti nei romanzi di questo inizio secolo), per renderlo coerente ai titoli dei romanzi che l’autore ha pubblicato già.
Non sono molti gli autori italiani contemporanei che scrivono romanzi in cui Dio sia implicato, direttamente o indirettamente, in misura tale che la trama narrativa ne sia intrisa. Come capita in Marilynne Robinson, ad esempio (la trilogia immensa Gilead, Lila, Casa, tutti Einaudi, e aspettiamo impazienti Jack, in arrivo), oppure in Alice McDermott (L’ora nona, ma in qualche misura anche Qualcuno, entrambi Einaudi).