Il referendum del 20 e 21 settembre, che deve confermare o respingere la legge di revisione costituzionale dal titolo «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», ha un significato politico. Non è solo uno slogan. O semmai uno slogan dagli effetti negativi sul piano istituzionale. Perché il taglio dei parlamentari non è una ridefinizione organica del ruolo del Parlamento per renderlo più autorevole ed efficiente, bensì un taglio di poltrone, senza un’adeguata legislazione che intervenga sui temi della rappresentanza, del modello elettorale e del funzionamento dell’Assemblea.
Cinque incontri regionali in contemporanea hanno sostituito, causa coronavirus, la 2a delle 4 assemblee del Cammino sinodale della Chiesa tedesca. Francoforte (dove era prevista dal 3 al 5 settembre) non avrebbe potuto ospitare tutti in sicurezza e quindi il 4 settembre i 230 membri si sono divisi tra Berlino, Dortmund, Francoforte, Ludwigshafen e Monaco di Baviera.
C’è un prima e un dopo che divide i percorsi sinodali intrapresi dalla Chiesa cattolica latina a livello locale e universale. C’è un prima del Sinodo panamazzonico e c’è un dopo la sua esortazione postsinodale Querida Amazonia. C’è un prima del coronavirus con la sua normalità e c’è un dopo che ancora non la ritrova.
La decisione di Giovanni Paolo II d’escludere l’ordinazione di fedeli donne è stata interpretata dal più ampio pubblico cattolico ma anche dal clero come una misura definitiva e infallibile. È inesatto. Innanzitutto perché questa decisione definitiva può essere rivista allo stesso livello d’autorità. E poi perché questa era una decisione di tipo disciplinare. Da questo punto di vista è certamente molto severa: un vescovo, un provinciale religioso, un docente di teologia in una facoltà riconosciuta dalla Santa Sede che esprimesse in pubblico un’opinione diversa potrebbe perdere il proprio posto.
Anne Soupa è teologa e biblista cattolica (cf. anche Regno-att. 8,2019,227). Il 21 maggio 2020 ha pubblicamente e provocatoriamente presentato la propria candidatura ad arcivescovo di Lione, dopo che il 6 marzo scorso papa Francesco aveva accettato la rinuncia del card. Ph. Barbarin. Il sito di Confrontations – Associazione di intellettuali cristiani (https://bit.ly/3bXflw3) ha pubblicato il 23 luglio un’intervista a p. Hervé Legrand op a firma di Anne Bernole per la rivista Réforme (4.6.2020) e un approfondimento di taglio teologico sul tema (cf. qui sotto), rielaborato per la rivista Il Regno dallo stesso p. Legrand.
Il 26 luglio abbiamo ricordato il primo anniversario della morte del compianto cardinale Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo emerito di San Cristóbal de La Habana. Osservando il suo agire e cercando di trovare un aggettivo globale per definire il suo lavoro pastorale, appare evidente la caratteristica di «uomo dialogante», merce piuttosto rara nel mondo di oggi. Nel perseguire la linea del dialogo (nella scia dell’Ecclesiam suam, la prima enciclica di Paolo VI), Ortega nel suo ministero di pastore ha totalmente rimosso ogni rancore o rivendicazione, atteggiamenti così diffusi eppure così lontani dal messaggio cristiano.
C’è anche la firma di dom Pedro Casaldáliga – il novantaduenne vescovo emerito della prelatura di São Félix do Araguaia scomparso l’8 agosto – in calce alla Carta ao Povo de Deus (Lettera al popolo di Dio; Regno-doc. 15,2020,463) che 152 vescovi di varie regioni del Brasile hanno sottoscritto il 22 luglio, festa di Maria Maddalena. E le firme del suo immediato successore, dom Leonardo Ulrich Steiner, oggi arcivescovo di Manaus, dell’attuale successore dom Adriano Ciocca Vasino, nonché del card. Claudio Hummes, emerito di São Paulo, presidente della Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM) e della neonata Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia.
La convention democratica di Milwaukee di agosto (svoltasi per lo più in modalità remota, a causa della pandemia) ha nominato ufficialmente Joe Biden (77 anni, cattolico, senatore del Delaware dal 1973 al 2009, e vice di Barack Obama dal 2009 al gennaio 2017) come sfidante di Donald Trump alle elezioni presidenziali del 3 novembre. Candidata alla vicepresidenza nel ticket democratico sarà Kamala Harris, 55 anni già procuratore per il distretto di San Francisco, e senatrice della California dal 2016. Figlia di madre indiana e di padre giamaicano, Harris è cristiana e sposata con un avvocato ebreo.
Vi è una distanza temporale significativa che ci separa dagli eventi il cui ricordo il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e il presidente della Repubblica di Slovenia, Borut Pahor, hanno voluto celebrare a Trieste il 13 luglio 2020 con l’intento di compiere un altro passo verso una definitiva riconciliazione tra le due nazioni, dopo quello compiuto nel 2010 dai tre presidenti di Italia, Croazia e Slovenia.
Un grande europeo, Mario Draghi, con chiarezza e con visione della realtà e del futuro, ha scritto un editoriale sul Financial Times lo scorso 25 marzo per segnalare la gravità della crisi in atto. La pandemia da coronavirus, in quel momento nel pieno della sua esplosione in Europa, veniva definita «una tragedia umana di potenziali proporzioni bibliche».
Le reiterate denunce di papa Francesco contro la cultura dello «scarto» entrano in risonanza anche con il dibattito innescato dalla pandemia nelle stanze dell’istituzione scuola: il forzato adeguamento alle misure di precauzione e di contrasto al contagio ha impresso allo scorso anno scolastico un profilo inedito, sviluppando una didattica compensativa e d’emergenza che, accanto a molte criticità, ha fatto emergere anche potenzialità promettenti e prospettive da coltivare dopo il ritorno alla normalità.
Tutti hanno lavorato per aprire la scuola, però ora tutti devono lavorare per «tenerla aperta e per renderla migliore di prima». Il governo in questi mesi «ha operato bene, pur in una situazione molto difficile». Ma la scuola non è solo il governo. «La scuola sono gli enti locali, sono le scuole intese come soggetti autonomi e sono le famiglie». Per Patrizio Bianchi, ex rettore dell’Università di Ferrara, ordinario di Economia, e durante il lockdown a capo della commissione fortemente voluta dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, «bisogna dimostrare di volere investire in maniera massiccia sulla scuola perché il nostro paese è quello che in Europa ha investito di meno ed è anche quello cresciuto meno».
Se dovessimo valutare l’importanza di un argomento, oltre che dal numero delle pubblicazioni, anche dalla qualità e profondità con cui esso ha fatto la sua comparsa nel dibattito pubblico e specializzato, potremmo dire che il tema degli animali è uno di quelli che maggiormente hanno occupato la scena dei dibattiti filosofici e teologici, ma anche etici, politici, ecologici e perfino dietetici della prima decade del XXI secolo e che, negli anni seguenti, hanno visto la radicalizzazione di alcune tesi abbozzate già sul finire del XX secolo.
Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Antonio Ballarò, Maria Elisabetta Gandolfi, Flavia Giacoboni, Valeria Roncarati, Giuliano Martino, Daniela Sala, Domenico Segna, Paolo Tomassone
Passione per l’uomo, ossia per la sua crescita in pienezza di umanità, e amore alla «città dell’uomo», da edificare con responsabile competenza, in mutua collaborazione con gli altri: due tensioni, fonti di dedizione costante, ancorché variamente modulata, nella vita di Lazzati. Sempre coltivata da fedele laico. Due passioni testimoniate e consegnate ai credenti di oggi, da interpretare e vivere secondo le perennemente nuove esigenze storiche.
Quando si vuole approfondire un fenomeno storico, religioso o culturale bisogna risalire alle origini. Così se vogliamo approcciarci in maniera sincera e competente all’islam dobbiamo conoscere, almeno a grandi linee, la vicenda biografica e il messaggio del profeta Muhammad. Ci aiuta un recente volume di Massimo Campanini, uno dei più rigorosi, influenti e colti islamologi italiani. Esso non è solo l’ennesima biografia di quel grande personaggio. È un’indispensabile guida per avvicinarsi a una religione e a una cultura percepite in Occidente con troppi pregiudizi. Un volume capace d’alternare tratti eruditi e specialistici (come il confronto con numerosi studiosi islamici e non) con spiegazioni illuminanti.
Il volume ricostruisce la biografia di una figura d’indubbio rilievo nella storia del tradizionalismo cattolico postconciliare: Gérard Calvet, fondatore e poi abate del monastero Sainte-Madeleine, in Provenza, nelle località prima di Bédoin (dal luglio 1970) e poi di Barroux (dal dicembre 1981).
Le pagine di questo libro, «per lungo tempo dimenticate, mi sono tornate alla memoria in questi miei anni di età avanzata» (5). Ed ecco L’angelo, la mosca e l’anima. Titolo tratto da Meister Eckhart: «Preghiamo Dio di liberarci anche di Dio e di comprendere e di godere la verità là dove l’angelo più elevato, la mosca e l’anima sono eguali».
Il libro s’apre con un memento ai troppi (anche in ambito accademico) che continuano a confondere: il diritto ecclesiastico è cosa molto diversa dal diritto canonico, ed è anzi quasi un settore contrapposto a quello degli ordinamenti confessionali; viene poi chiarito subito il de qua agitur: gli ecclesiasticisti sono metodologicamente preparati a coniugare la storia degli avvenimenti con la storia delle idee, e quindi possono trovare soluzioni giuridiche in grado di rispondere ai problemi umani nascenti dall’articolazione fra corpo, ragione e spirito, e scusate se è poco!
Nel corso al College de France del 1974, Michel Foucault mette a confronto le difese erette contro la lebbra e la peste. Dinanzi alla minaccia della malattia, la società occidentale ha messo in campo due strategie diverse. La prima, finalizzata a combattere la lebbra, esclude, bandisce, ricaccia il malato oltre il confine della polis. L’altra strategia immunitaria, quella per fronteggiare la peste, al contrario, include, differenzia, ripartisce e assegna nello spazio.
Avvicinarsi all’ebraico non vuol dire soltanto conoscere i caratteri e le parole della «scrittura sacra» in cui è composta gran parte della Bibbia. Significa entrare in una cultura che ha segnato e segna la storia dell’umanità. Per questi e per molti altri motivi è uno strumento utilissimo il Dizionarietto uscito l’anno scorso per «Scholè», un marchio che afferisce alla Morcelliana e che ha già visto la pubblicazione di altre opere simili.
In questo volume, l’autore, già noto per precedenti studi di vaglia, nonché come autorevole interprete di ney (il flauto della musica tradizionale mediorientale), sia come solista che come membro dell’Ensemble Maraghi, a distanza di oltre sette decenni realizza al di là di ogni aspettativa il miracolo che Cuttat non avrebbe pensato più possibile, almeno per un occidentale: non solo la comprensione di un sistema musicale esotico (ma vigente in qualche modo anche in Europa fino al Rinascimento inoltrato), ma il suo utilizzo come chiave indispensabile per la comprensione di una intera civiltà (o insieme di civiltà).
Quando finì di scrivere il suo monumentale racconto sulla guerra civile libanese finita nel 1990, Robert Fisk decise d’intitolarlo Pity the Nation. Il più bravo fra i tanti giornalisti occidentali passati per il Libano, Robert si era ispirato alla famosa poesia che Khalil Gibran aveva inserito ne Il giardino del profeta, pubblicato postumo nel 1932.
Il Libano «non è solo, insieme ricostruiremo Beirut». Lo ha detto il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, nell’incontro avuto il 3 settembre nella cattedrale di San Giorgio con religiosi cristiani e musulmani subito dopo il suo arrivo nella capitale libanese. «Il Libano – afferma Parolin – ha bisogno della comunità internazionale e il mondo ha bisogno dell’esperienza unica del Libano, della solidarietà e della libertà che rappresenta».
È questa l’intesa destinata a cambiare gli equilibri del Medio Oriente? Oppure solo un efficace blitz mediatico, perseguito con caparbietà da Donald Trump e Benjamin Netanyahu per distrarre l’attenzione dal momento politicamente difficile che entrambi stanno attraversando?
Le uniche cose certe sono i morti, i feriti e la paura. Di più non si sa. Da tre anni, la provincia di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, è scossa da violenti attacchi perpetrati da un movimento che si fa chiamare al-Shabaab (come i jihadisti somali, con i quali però non ha rapporti). I miliziani dicono di voler diffondere l’islam. Hanno anche aderito allo Stato islamico. In realtà nessuno sa chi siano e quali siano i loro reali obiettivi.
Non un fulmine a ciel sereno: il golpe che il 18 agosto in Mali ha rovesciato il presidente Ibrahim Boubacar Keïta è giunto al culmine di settimane di proteste, con la popolazione in piazza nella capitale Bamako a chiedere un cambio ai vertici. A guidare le manifestazioni, il Mouvement du 5 Juin/Rassemblement des force patriotiques (M5-RFP), che reclamava la necessità d’«allontanare dal potere dei politici privi di una visione costruttiva».
La riunione della All India Catholic Union (AICU), la più antica e consistente organizzazione cristiana dell’India, ha avuto quest’anno una valenza che va oltre l’impegno a cadenza annuale di recepire, discutere e rilanciare tendenze, necessità e aspirazioni di una parte consistente della cattolicità indiana.
La recente istruzione su La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa (Regno-doc. 15,2020,488ss) mostra una differenza di tono e di contenuti tra la I parte, relativa ai cambiamenti da effettuare nell’impostazione della vita parrocchiale, e la II, dove si ripropongono le norme del Codice di diritto canonico da rispettare nel procedere ai cambiamenti. Quasi un «deciso e robusto “Sì, ma…” nei confronti di sperimentazioni e cambiamenti già in corso nella prassi concreta», scrive Severino Dianich nel primo dei saggi qui proposti, evidenziando alcuni dei percorsi dell’auspicata conversione pastorale della parrocchia che travalicano l’attuale Codice: disegnare diversamente la figura del parroco; acquisire l’urgenza di evangelizzare i «dubbiosi» e i «non credenti»; rivedere, senza svalutarlo, il criterio d’appartenenza alla Chiesa basato sul territorio; sviluppare con decisione le pratiche sinodali.
Nell’altro saggio che proponiamo Alphonse Borras, soffermandosi in particolare sulla questione del raggruppamento delle parrocchie, sulla figura dei laici impegnati e sul rifluire dei diaconi verso la pastorale parrocchiale, individua il limite maggiore dell’istruzione nell’«aver voluto esplicitare le disposizioni del Codice di diritto canonico “dall’alto”, senza tenere conto della vitalità canonica delle legislazioni diocesane». Spetta infatti ai vescovi diocesani accompagnare la vitalità che un canonista auspica per il diritto canonico. Esso deve essere «“pastorale”, cioè a servizio del popolo di Dio».
La recente istruzione su La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa (Regno-doc. 15,2020,488ss) mostra una differenza di tono e di contenuti tra la I parte, relativa ai cambiamenti da effettuare nell’impostazione della vita parrocchiale, e la II, dove si ripropongono le norme del Codice di diritto canonico da rispettare nel procedere ai cambiamenti. Quasi un «deciso e robusto “Sì, ma…” nei confronti di sperimentazioni e cambiamenti già in corso nella prassi concreta», scrive Severino Dianich nel primo dei saggi qui proposti, evidenziando alcuni dei percorsi dell’auspicata conversione pastorale della parrocchia che travalicano l’attuale Codice: disegnare diversamente la figura del parroco; acquisire l’urgenza di evangelizzare i «dubbiosi» e i «non credenti»; rivedere, senza svalutarlo, il criterio d’appartenenza alla Chiesa basato sul territorio; sviluppare con decisione le pratiche sinodali.
Nell’altro saggio che proponiamo Alphonse Borras, soffermandosi in particolare sulla questione del raggruppamento delle parrocchie, sulla figura dei laici impegnati e sul rifluire dei diaconi verso la pastorale parrocchiale, individua il limite maggiore dell’istruzione nell’«aver voluto esplicitare le disposizioni del Codice di diritto canonico “dall’alto”, senza tenere conto della vitalità canonica delle legislazioni diocesane». Spetta infatti ai vescovi diocesani accompagnare la vitalità che un canonista auspica per il diritto canonico. Esso deve essere «“pastorale”, cioè a servizio del popolo di Dio».