L’insediamento di Donald Trump come 45° presidente degli Stati Uniti (20 gennaio) rappresenta il trionfo del populismo nella più grande democrazia del mondo. Inoltre, pone le condizioni perché i populisti ottengano ulteriori successi in Europa. La sfida è comprendere che cosa questo significhi per il progetto europeo.
Sul Corriere della sera del 3 e del 5 gennaio scorso sono comparsi tre articoli che trattano della sfida lanciata dal radicalismo islamico al mondo occidentale. Presi insieme questi articoli possono avallare una lettura semplicistica ed «essenzialista» del radicalismo islamico, secondo cui l’islam (tutto quanto?) ha dichiarato guerra all’Occidente che può resistere a questo attacco soltanto riscoprendo e rivalorizzando le proprie radici cristiane (solo queste?).
Con la risoluzione 2.334 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (23 dicembre) si è interrotta la tradizione maturata nel corso degli ultimi decenni di storia diplomatica secondo cui gli Stati Uniti pongono il veto a decisioni che possano sembrare negative nei confronti dello Stato d’Israele. La direttiva è arrivata chiaramente e direttamente dal presidente uscente Barack Obama all’inizio dell’ultimo dei suoi 96 mesi di mandato presidenziale. In realtà non è successo nulla di nuovo.
L'Accordo su alcuni principi fondamentali che regolano le relazioni tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele, firmato a Gerusalemme il 30 dicembre 1993 (Regno-doc. 3,1994, 81), a quasi 25 anni di distanza non è ancora giunto alla sua piena applicazione. Il risultato immediato dell’Accordo fu la normalizzazione delle relazioni tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele, che portò 4 mesi dopo allo scambio degli ambasciatori.
La protesta contro il gasdotto del Nord Dakota ha segnalato una potenziale area di dialogo con la Chiesa cattolica. Nella sua enciclica sull’ambiente, come in altre dichiarazioni, papa Francesco sembra sostenere gli argomenti del movimento di resistenza riguardo a tre questioni fondamentali: i diritti degli indigeni, i diritti idrici e la salvaguardia del creato.
Le scelte compiute sinora sotto il pontificato di Francesco in tema di sinodi e sinodalità autorizzavano più di un’attesa per l’avvio del processo sinodale intestato a «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», che culminerà nell’ottobre 2018 con la celebrazione della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi.
La protezione dei minori non è elemento accessorio della riforma di papa Francesco (cf. Regno-att. 2,2015,83; 10,2016,276). Lo attestano la creazione della Pontificia commissione per la protezione dei minori (marzo 2014), la cui presenza e partecipazione nella vita degli organismi di curia progressivamente è stata inserita, pur con resistenze, e rafforzata. In che modo questo a che fare con la riforma della Chiesa? Ne parliamo con Hans Zollner sj membro della suddetta Pontificia commissione.
E' stato pubblicato lo scorso 6 dicembre 2016 il documento sulla vocazione presbiteriale della Congregazione per il clero Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis. Eccone i tratti di novità che, rispetto alla precedente ratio emanata nel 1970, ne evidenziano un cambio di stile.
Quali insegnamenti si possono trarre, analizzando le soluzioni impiegate in Italia in un secolo di tragedie e terremoti? Ne abbiamo parlato con l’architetto Claudia Manenti, responsabile del Centro studi per l’architettura sacra della diocesi di Bologna, coordinatrice del Laboratorio di progettazione per le chiese provvisorie dell’Emilia. Di quest’ultimo fanno parte 27 architetti e ingegneri i quali hanno offerto 8 progetti di chiese in materiale prefabbricato e di veloce posa in opera, tra i quali la diocesi ne ha scelti 5 che sono tuttora in uso.
Poco meno di 46 milioni: tanti sono in tutto il mondo i «nuovi schiavi», donne, bambini, bambine, ragazzi vittime dei trafficanti di esseri umani. Una gravissima piaga che non accenna a ridursi, come testimonia l’aumento del 28% di persone in situazione di sfruttamento e di schiavitù, secondo le stime dell’Indice globale della schiavitù 2016. E l’Italia è il secondo paese in Europa, con la presenza di 129.000 vittime.
Ostacolo, impedimento, in-tralcio. Non da oggi, nel linguaggio giuridico francese il termine entrave è largamente usato nel campo del diritto del lavoro, dove serve a raccogliere sotto un’unica denominazione – «délits d’entrave», appunto – diverse specie di reati, direttamente o indirettamente lesivi delle libertà sindacali. Da qualche tempo, però, in Francia è altresì denominata «délit d’entrave» una specie assai diversa d’infrazione: quella oggi prevista dal Code de la santé publique all’art. 2.223-2, che punisce comportamenti accomunati dalla finalità (realizzata o anche soltanto perseguita dai loro autori) d’impedire a una donna di abortire o di compiere attività preliminari all’intervento oppure di ottenere informazioni al riguardo.
Che cosa vuol dire essere cristiani nel mondo di oggi? Così Carlo Maria Martini pone profeticamente la domanda già nel 1969, dieci anni prima di approdare a Milano, nel testo che apre la raccolta dei contributi occasionali, ma sempre acuti, del cardinale di Milano, presentati nel volume Cristiani coraggiosi. Laici testimoni nel mondo di oggi.
Il volume curato da Sergio Soave è importante perché fa luce, con un’ampiezza di documentazione ricchissima, su un momento fondamentale della vita di Arturo Paoli (1912-2015; cf. Regno-att. 10,2016, 311), quello della crisi della Gioventù italiana di Azione cattolica (GIAC) del 1953-1954. Merito del volume è quello di tenere insieme una lucida ricostruzione del mondo romano, ecclesiale e politico, con la riflessione e il cammino spirituale, religioso e anche psicologico di Arturo Paoli. Sono preziose le lettere pubblicate, in particolare quelle al presidente della GIAC Mario Rossi e al sostituto alla Segreteria di stato, mons. G.B. Montini.
L'attuale dibattito sulla legittimità e sull’attendibilità del post-secolare è chiamato incessantemente a confrontarsi con lo statuto storico ed epistemologico della modernità, la quale continua a rappresentare un riferimento costante e inestinguibile per qualsivoglia diagnosi o critica del tempo presente. Il volume di Ingolf Dalferth può essere opportunamente salutato come uno dei più illuminanti contributi al dibattito filosofico e teologico sulla secolarizzazione. L’autore è uno dei teologi evangelici più noti e apprezzati a livello internazionale.
Il volto dell’altro; andare incontro all’altro; conoscere l’altro; dialogare con l’altro. Quante volte abbiamo sentito ripetere simili inviti. Ormai sono frasi diventate quotidiani modi di dire più che di agire. Il fatto che stentino ad avere ricadute pratiche fa insorgere il sospetto che il discorso sia meno convincente di quanto non appaia a prima vista. Per scoprirlo occorre mutare prospettiva. Leila della tempesta ci aiuta a farlo. Basta scorrere l’elenco dei personaggi per accorgersi che tra essi ve n’è uno qualificato semplicemente come Altro.
Lettura quasi teologica di Dieci piccoli indiani di Agatha Christie (Mondadori, Milano 1982). È possibile? Proviamo. Un poco un gioco questa lettura, come la filastrocca dei Dieci piccoli indiani che scandisce il ritmo delle morti. Ma la filastrocca si chiude sul verso «e poi non rimase nessuno» ed è proprio così, la fede ce lo dice. Siamo tutti colpevoli e se ci mettiamo al posto di Dio, alla fine proprio nessuno rimane vivo.
Si «sentono degli spari a Bozoum, non sappiamo che cosa succeda», si leggeva la sera del 13 gennaio scorso sul profilo Facebook di p. Aurelio Gazzera, un carmelitano scalzo originario di Cuneo, che da vent’anni vive in Repubblica centrafricana. La situazione nel paese continua a essere lontana dalla normalità: negli ultimi due mesi i morti sono stati una novantina.
Il Sudan del Sud è lo stato più giovane al mondo. È nato solo nel 2011 (cf. Regno-att. 14,2011,441), ma, fin dall’inizio, la sua storia è stata macchiata dalla violenza dalla guerra civile. Un conflitto in cui si mescolano motivi economici, etnici, internazionali. Dal 2013 (cf. Regno-att. 12,2013, 387), si calcolano a migliaia le vittime, 1 milione i rifugiati nei paesi vicini (Etiopia, Uganda, ma anche Kenya, Repubblica democratica del Congo, Repubblica centrafricana), 1,6 milioni gli sfollati interni e più di 40.000 i bambini malnutriti. Che cosa ha scatenato questa emergenza umanitaria?
Non è certo una novità che la Conferenza episcopale congolese sia in prima linea nelle travagliate vicende politiche del proprio paese. Ma forse mai come ora il suo ruolo aveva assunto un peso così determinante da divenire protagonista dei tentativi di risolvere la profonda crisi istituzionale in cui si dibatte la Repubblica democratica del Congo.
L'Indonesia vede acuirsi le pressioni dei gruppi radicali di matrice islamica, anche approssimandosi le elezioni locali del 15 febbraio. Pressioni che, sebbene contrastate dal governo che teme un’infiltrazione del terrorismo mediorientale che s’ispira al sedicente califfato in Siria e Iraq, vanno acuendo la situazione d’incertezza delle minoranze religiose, riconosciute e tutelate dalla Costituzione ma che negli ultimi tempi in particolare si trovano sulla difensiva.
Il 5 gennaio, i giudici dello stato indiano di Chhattisgarh, incaricati di processare per direttissima gli accusati dell’aggressione sessuale subita il 20 giugno 2015 da una suora cattolica, hanno pronunciato un verdetto d’assoluzione «per mancanza di prove». Una sentenza accolta con delusione e sconcerto da molti. Sia dagli esponenti politici dell’opposizione che contrastano le politiche nazionaliste e filo-induiste che guidano il governo centrale, sia dagli attivisti cristiani che nella violenza avevano visto un ulteriore segnale di un «attacco sistematico contro le minoranze in Chhattisgarh».
Negli ultimi mesi una serie di scandali ha scosso la Chiesa argentina. Il primo è esploso nel giugno scorso con la diffusione dei video delle telecamere di sicurezza del monastero Nuestra Señora del Rosario de Fatima, a General Rodríguez, nella provincia di Buenos Aires, in cui si vedeva José Lopez, ex viceministro delle Opere pubbliche nei governi di Néstor Kirchner e Cristina Fernández (2003-2015), trascinare nel convento, in piena notte, con l’aiuto di alcune suore, borse contenenti 9 milioni di dollari prima di essere arrestato.
Man mano che si avvicina il primo anniversario dell’insediamento di Michel Temer alla presidenza della Repubblica (al posto di Dilma Rousseff, sottoposta a impeachment in maggio e destituita nell’agosto scorso), il governo brasiliano avrà confermato non solo il riallineamento agli Stati Uniti in politica estera, per esempio promuovendo la sospensione del Venezuela dal Mercado Común del Sur (MerCoSur), ma soprattutto l’orientamento economico ultraliberista.
Pubblicare a ridosso della Giornata della memoria questo inedito di Paolo De Benedetti, scomparso l’11 dicembre scorso alla vigilia del suo ottantanovesimo compleanno, è un omaggio grato non solo in suo ricordo, ma a quanto della sua fertile riflessione su Dio e sul male, in particolare, è stato disseminato in incontri, dialoghi, trasmissioni, libri… «Dio sulle labbra dell’uomo», scrive presentandolo Piero Stefani – che ha avuto una lunga familiarità con la persona e il pensiero di De Benedetti –, è l’espressione che forse ben definisce «PdB». Il suo è il commentare midrashico alla riscoperta «dei sensi inediti eppur fedeli presenti nella Scrittura» che avviene attraverso il parlarsi «tra frammenti», consapevole di «far proseguire il dialogo ininterrotto di una rivelazione a un tempo conclusa e ancora parlante». Uno stile «marrano», dove c’è «compresenza» di «fedeltà ebraiche e convinzioni cristiane». Uno stile anti-metafisico, «scompigliato» dal silenzio di Dio su Auschwitz, interrogativo cui non c’è risposta e che portò PdB a suggerire al card. Martini la Cattedra dei non credenti del 1992 su «Chi è come te tra i muti?».
Nel volumetto dedicato nel 2016 a ricostruire, sulla base delle sue carte d’archivio, il percorso delle «officine bolognesi» in cui aveva svolto tante attività, Paolo Prodi collocava tra il 1953 e il 1954, mentre frequentava il quarto anno della Facoltà di scienze politiche all’Università cattolica del sacro Cuore, la decisione di «dedicarsi allo studio della storia come condizione preliminare per comprendere il presente e agire per trasformare la realtà».
Paolo Prodi, che è stato anche un nostro abbonato di lunghissima data, ha scritto per la rivista alcuni importanti contributi: «Teologia morale e risposta alla modernità: ripartire da Trento», in Regno-annale 2010, 103; «Solamente cristiano. Il futuro possibile del cattolicesimo», in Regno-att. 2,2009,49; «La storia umana come luogo teologico», Regno-att. 20, 2008,706. La sua ricchissima bibliografia comprende numerosi titoli di cui qui presentiamo un’ampia selezione (red.).
Quando si parla di stimmate il pensiero va innanzitutto a Francesco di Assisi. È giusto che sia così: è da quando egli sul crudo sasso tra Tevere e Arno ricevette da Cristo l’ultimo sigillo (cf. Dante, Paradiso, XI, 106-108) che quei segni nella carne sono collegati in primis al poverello di Assisi. Eppure la prima comparsa in ambito cristiano di questa parola riguarda un’altra figura, la più decisiva rispetto all’annuncio evangelico diretto alle genti.
Aldo Maria Valli scrivo a te per il conflitto su Francesco: è da un anno che ti tengo d’occhio zitto zitto perché diffido – come sai – dei dibattiti sulle opinioni. Ma seguendo il tuo blog «Duc in altum» e leggendo il tuo libretto 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P. (Liberilibri 2016) sono arrivato alla conclusione che le tue forzature documentali e interpretative non potevo più tollerarle.